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Dicius ovvero Detti e proverbi del Campidano di Sardegna
parte tredicesima

Cantu prus ndi teneus, prus ndi ‘oleus. Quanto più ne abbiamo, più ne vogliamo. Universale. È il detto dell’avarizia umana. Non ci accontentiamo mai. Vogliamo sempre di più. È un proverbio vecchio quanto il mondo. È il proverbio dell’incommensurabile egoismo dell’essere umano! Lo dice anche Dante Alighieri…”Ed una lupa, che di tutte brame/ sembrava carca ne la sua magrezza,/ e molte genti fe’ già viver grame;/ questa mi porse tanto di gravezza/ con la paura ch’uscìa di sua vista,/ ch’io perdei la speranza dell’altezza/…

Cantu  prus seus, prus pagu fadeus. Quanto più numerosi siamo di meno facciamo. Il contrario del l’Unione fa la Forza. Per fare certe cose è meglio essere in pochi. Il detto si adatta perfettamente ad una certa categoria di ladri; per cui se si è in troppi, c’è il rischio di farsi scoprire al più presto! Ma si adatta bene anche al popolo sardo: vedi, Centu concas, centu barrìttas.

Cantu ses mannu ses tontu. Quanto sei grande sei tonto. Si dice comunemente alla persona (grande o piccola, di fisico o di età), che commette un errore per ingenuità.

Cara bella e coru malu. Buon viso a cattivo gioco. Universale. Solitamente i sardi mostrano spontaneamente quello che hanno dentro, ma ci sono le eccezioni!.

Cara mala e coru bellu. Viso arcigno e cuore buono. Universale. È l’atteggiamento che deve assumere il genitore, che vuole educare con la giusta severità i propri figli. Sappiamo benissimo che i vizi, più o meno gravi, presi da piccoli è difficile sradicarli. Perciò!

Carràda bèccia fait binu bonu. Universale. Vecchia botte fa buon vino. Si dice dell’anziano per la sua saggezza.

Carràda butta fait binu malu. Botte sporca rende il vino spunto. Si raccomanda ai viticoltori di pulire perfettamente la botti prima di travasare il mosto novello. Ma il detto ci invita a non fidarci mai delle persone di cattiva coscienza. È ben difficile che da loro esca qualcosa di buono!

Celu arrubiu a merì, crasi bella dì. Cielo rosso di sera, bel tempo si spera. Universale. Diciamo inoltre: “Circhiòla a merì, cras bella dì. Arcobaleno di sera, bel tempo si spera. Adattato ai fatti umani, il cielo rosso di sera o l’arcobaleno indicano la schiarirsi di una situazione piuttosto intricata., o l’attenuazione di un conflitto.

Centu concas, centu barrìttas. Cento teste, cento berrette. È il proverbio sardo per eccellenza, perché ci contraddistingue da molti altri popoli, nel bene e nel male! Nel bene perché il detto indica chiaramente che ogni sardo pensa con la propria testa e quindi, difficilmente si lascia convincere a fare una cosa che non sente, ma quando ha deciso di farla, la porta avanti con caparbietà. Nel male, perché la nostra ostinazione ci conduce sino alla testardaggine estrema: conca de arrocca ( testa dura, di granito), che spesso ci impedisce di trovare l’accordo comune o almeno il compromesso, a cui talvolta è necessario giungere. Non dico che trovare due sardi che vadano perfettamente d’accordo sia come trovare un ago nel pagliaio, ma è comunque cosa assai difficile. Il sistema cooperativistico qui da noi, lascia il tempo che trova!

Centu logus, centu modas. Cento luoghi, cento mode. Universale. Si dice anche: “Paese “che” vai, gente che trovi. Qui in Sardegna le usanze cambiano da paese a paese, anche se la distanza in chilometri è breve. Con i mezzi di comunicazione di massa e la tecnologia avanzata, il “globale” sta comunque divorando velocemente ed inesorabilmente il particolare, a meno che questo non imponga la propria identità!

Certu tra fràdis, certu de canis. Lite tra fratelli, lite fra cani. Non sembra vero, ma tra fratelli si litiga spesso e talvolta in modo violento. Quando poi c’è l’eredità di mezzo le cose si complicano talvolta in maniera brutale. Quando l’eredità è piccola: is poburus s’accarrabullant e si pistongiant (i poveri si accapigliano e si picchiano); quando l’eredità è grande: is arriccus si ‘occint pàri, pàri! (i ricchi si ammazzano l’un l’altro!).

Chi mi calàst in gangas, cantu mi calas in cambas! Se tu scorressi vicino alla bocca, quanto scorri vicino alle gambe! (riferito all’acqua del ruscello). È la favola dell’asino che attraversa un ruscello e, pur essendo assetato, non ha la volontà di inchinarsi a bere! Il detto si adatta a quelle persone che per colmo di indolenza, fisica e mentale, si lasciano persino morire di fame!

Chini no arrìscat, no piscat. Chi non rischia non pesca. Chi se ne sta con le mani in mano e non ha il coraggio, all’occorrenza, di prendere decisioni, anche se rischiose, non ha speranza  di migliorare. La paura di perdere il poco che abbiamo, ci induce a non correre alcun rischio e ad accontentarci di una esistenza grama e priva di novità! Il proverbio esorta ad uscire dall’involucro, che ci occlude le meningi e che ci spinge in un sentiero irto d’assillo e d inquietudine! È proprio il contrario del proverbio: “Chi si contenta gode”.

Chini andat in guerra, pappat mali e dromit in terra. Chi va in guerra mangia male e dorme in terra. La guerra porta male a tutti, soprattutto ai soldati che devono rinunciare alle normali comodità della vita militare in tempo di pace. Tutti e due i miei nonni erano Cavalieri di Vittorio Veneto, ma in particolare uno, quello materno, visse la Grande Guerra nei minimi particolari, purtroppo per lui: fu ferito ben quattro volte, ma mai in modo grave, e però fu fatto prigioniero a Caporetto e tenuto per quasi 5 mesi in campo di concentramento austriaco. Mi raccontava spesso dei suoi quasi quattro trascorsi “spensieratamente” sull’Altipiano e soprattutto dei suoi “felicissimi” 5 mesi di prigionia!

Chini appodèrati s fitzius de s’amigu, abbàrrat pagu  a ndi dhus pigài. Chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Universale. Tuttavia una buona amicizia può salvare un amico dal baratro!

Chini arrèguat candu ndi tenit, pappat candu bolit. Chi conserva quando ne ha mangia quando vuole. È un invito, rivolta naturalmente alla povera gente,  al risparmio in tempo di abbondanza. È come(vedi più avanti) chini pentzat a oi y a crasi ponit mesa d-onnya dì.

Chini arrìbat tradu, agàttat is pillonis bolaus. Chi tardi arriva trova gli uccelli volati (male alloggia). Universale. Nelle vicissitudini della vita è necessario essere puntuali, come regola almeno.

Chini ascùrtat in jenna allèna, intèndit su chi no bolit. Chi origlia alle porte altrui sente cose che è meglio non sentire. Soprattutto alle porte dei vicini di casa, c’è il rischio di sentire parlare dei propri mali, elevati a potenza!

Chini bàntat a si e tottu, agàttat in pressi strocidòris. Chi vanta se stesso, trova ben presto chi lo prende in giro. Il millantatore finisce sempre nelle barzellette!

Chini bèffati s aterus, bèffat a si e tottu. Chi si fa beffe degli altri, beffa se stesso. Le beffe assai spesso si ritorcono sulla persona che le fa!

Chini bendit s’allènu, bendit bentu. Chi vende le cose altrui, vende vento. È come fare i conti senza l’oste o vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato!
 

Chini bincit a si e tottu, bincit duas bortas. Chi vince se stesso, vince due volte. Universale. Un peccato colpisce, anche se in maniera diversa, tutti gli uomini: l’invidia. Lo stesso Dante Alighieri, pur animato da grande saggezza, da grandissima cultura e da una fede formidabile, di fronte alla lupa(l’invidia: ed una lupa che di tutte brame..), è costretto a tornare indietro ed implora in suo aiuto tutta la potenza della Fede (il Sole, Dio) e della ragione umana(Virgilio), che però lo convincono che per superare la lupa è necessaria ben altra fatica! Chi riesce a vincere il proprio egoismo vince non due volte, ma cento!


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