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Feste ed eventi del Campidano di Sardegna
Il Castello di Sanluri
Intervista al conte Alberto di Villasanta – a cura di Rosa Mocci -

Attraverso l’intervista ci addentriamo in un periodo cruciale della storia della Sardegna, raccontata in modo affascinante dal conte Alberto di Villasanta. Scopriremo come i sardi siano stati vicini a diventare, nel periodo giudicale, un popolo libero ed una nazione indipendente con un proprio sistema politico e democratico molto avanzato. Quando mi venne affidato l’incarico di incontrare ed intervistare (fu Giuseppe Concas, direttore editoriale della Rivista L’Altra Provincia, a suggerire l’intervista) il conte di Villasanta per sapere qualcosa di più sul Castello di Sanluri, sulla sua storia e sulla storia della famiglia nobiliare , che da molti decenni ne è ormai proprietaria, non avevo ben chiare le idee su quanto avrei potuto chiedere al conte Alberto. Inoltre mi mettevo il problema della disponibilità del conte all’intervista. Riuscita a contattarlo per telefono, fui sbalordita della sua estrema gentilezza e mi recai all’incontro prefissato con molta curiosità. Non capita tutti i giorni di incontrare un nobile in carne ed ossa e di sangue blu! Del castello poi non sapevo più di quanto non fosse scritto sui più diffusi libri di storia sarda, e pensavo di scoprire dalla viva voce dei suoi proprietari e custodi qualche aneddoto o mistero non svelato o fantasma!!! La curiosità era troppo forte. Giunta al castello ho dovuto attendere qualche minuto perché il conte stava ultimando una visita guidata ad una delle tante comitive di visitatori. Quindi abbiamo cominciato una lunga e piacevolissima conversazione. Il conte non ha lesinato entusiasmo, erudizione e passione nel raccontarmi la storia del castello, le sue vicissitudini e gli eventi della storia sarda di cui fu il principale scenario. La mia leggerezza iniziale ha assunto, davanti all’esempio di coscienza civile e sociale del Conte Alberto di Villasanta, la volontà di rendere partecipe il più ampio numero di persone, delle vicende del castello. Più di tutto mi ha colpito la composta indignazione del Conte nel raccontare quanto sia stato ed ancora sia faticoso occuparsi di un bene patrimoniale sardo quando si è abbandonati a se stessi e ci si ricorda di essere sardi soltanto il 28 aprile (sa dì de sa Sardinia – la cacciata dei piemontesi – 28 aprile 1794), o ci si commuove alle conferenze troppo spesso ricche di retorica e povere di dignità. Fu infatti attorno al castello di Sanluri che nel 1409 le truppe del regno d’Arborea si scontrarono con quelle del regno catalano aragonese di Sardegna. La battaglia di Sanluri (sa battàlla)fu una vera e propria disfatta per i sardi. Essa segna l’avvio definitivo della dissoluzione delle aspirazioni nazionalistiche del popolo sardo. Negli anni successivi il Giudicato di Arborea, “cuore” della Nazione Sarda in nuce, che pure era rimasto inviolato nei suoi confini, il cui sovrano era rimasto comunque vivo e le istituzioni statuali valide, si avviò verso un rapido declino e crollo e, con esso, venne meno la speranza di conservare la Sardegna ai sardi. Ancora oggi, dopo la lunga dominazione spagnola e quella sabauda ed a un secolo e mezzo dall’Unità Nazionale Italiana, alla quale comunque tanto ha contribuito il popolo sardo, rivendichiamo la nostra identità e la nostra storia, le nostre cose, di cui il Castello di Sanluri è rimasto emblema ed è ancora “tutto intero” grazie alla cura particolare mostrata nei suoi confronti dalla famiglia dei Villasanta. Sentiamo direttamente dalle parole del Conte Alberto la storia del Castello e con essa, nel poco spazio di queste pagine, la storia del popolo sardo. Il Conte Alberto: “La storia del Castello di Sanluri va vista nell’ambito del periodo giudicale sardo. Il Castello fu costruito nel 119; erroneamente – aggiunge il Conte - molti libri di storia riportano la data del 1355, al confine tra il Giudicato di Arborea ed il Giudicato di Cagliari. Vediamo alcuni fatti storici: - dopo il 1015 arrivarono in Sardegna i Pisani e i Genovesi, chiamati da papa Benedetto VIII° per liberare l’isola dagli attacchi dei Musulmani, che, giunti dalla Spagna e sbarcati in Gallura con una flotta considerevole, si apprestavano non solo all’occupazione della Sardegna tutta, ma anche a portare attacchi alla Chiesa Cristiana. L’importanza della presenza musulmana nel Mediterraneo è enorme, perché anche il periodo giudicale sardo è un risultato di questa presenza. Dal 534 la Sardegna era sotto il dominio bizantino. I bizantini arrivano nell’isola da Bisanzio, passando attraverso il Canale di Sicilia. Dopo la morte di Maometto, nel 632 d. C. gli Arabi fortemente uniti, sentono la necessità di propagare la loro nuova religione, diffondendola attraverso le conquiste. Partendo dal 632 fino al 705 riescono a conquistare integralmente l’Africa; dal 711 al 713, in due soli anni, dopo aver superato lo stretto di Gibilterra arrivano ai Pirenei, conquistando l’intera Spagna. Col nord Africa e la Spagna in mano agli arabi, la situazione dei porti del bacino occidentale del Mediterraneo si era fatta estremamente difficile: venivano infatti a mancare un buon numero di porti per le necessità delle navi del tempo. Le navi, non solo a vela, ma per la maggior parte con equipaggi che remavano, galeazze e galere, avevano necessità di sbarcare nei porti per fare i rifornimenti di viveri ed acqua per gli equipaggi. Quindi ogni viaggio doveva essere organizzato in base ai porti. Con la conquista araba del Mediterraneo occidentale, la presenza dei bizantini in Sardegna è obbligata a calare. I Bizantini infatti per arrivare nell’isola dovevano attraversare il canale di Sicilia, data l’impraticabilità delle coste siciliane meridionali, quelle di fronte alla Tunisia. Questo calo continua a crescere fino a quando, nell’825/827, gli Arabi conquistarono anche Creta e la Sicilia. Per i bizantini era ormai divenuto quasi impossibile raggiungere la Sardegna e non potendola più controllare con la forza dovevano trovare il sistema di guadagnare la fiducia ed il consenso della popolazione. Perché un popolo accetti il controllo di un altro, peraltro divenuto debole, occorre che questo dominio sia non più pesante, ma conveniente. Ecco dunque che nasce una sistemazione diversa. Quelli che erano i rappresentanti di Bisanzio in Sardegna, per poter venire incontro alle esigenze della popolazione, si ritrovarono obbligati ad indire delle assemblee in ciascuno dei Giudicati da loro costituiti. La parola “giudicato” non è infatti di origine sarda, ma bizantina . in un primo momento i Bizantini avevano installato un Giudice solo, che stava a Cagliari e un comandante dell’esercito, che stava a Fordongianus e che aveva il compito di sedare le ribellioni locali. Quando i Musulmani cominciarono ad avere largo spazio nel Mediterraneo occidentale e a sbarcare anche nell’isola, depredando le coste, obbligarono il Giudice Unico ad assorbire in se i due poteri e a trasferirli poi a 4 suoi luogotenenti, stanziati in 4 diverse zone dell’isola e pronti, in caso di attacco musulmano, ad intervenire immediatamente. In ogni Giudicato furono costituiti dei distretti, le Curadorìe e in ciascuna di esse veniva eletto un rappresentante consultore: il Curatore, il quale faceva parte del Consiglio del Giudice. Questa situazione si protrae sino all’880 circa, allorquando il potere bizantino in Sardegna si affievolì quasi del tutto, non riuscendo più i bizantini ad arrivare nell’isola. I Curatori, avendo ormai acquisito poteri maggiori, danno vita a una nuova fase del periodo giudicale. In ogni Giudicato le Curatorie eleggono una propria Assemblea e i Giudici non potevano prendere possesso della propria carica senza il consenso di legittimità dell’Assemblea: non potevano dichiarare guerre o fare pace senza il consenso dell’Assemblea, né potevano condurre trattative di sorta senza la partecipazione diretta dei membri dell’Assemblea”.
Domanda: “Chi erano i membri dell’Assemblea”? Il Conte Alberto: “I membri dell’Assemblea erano i rappresentanti eletti nelle Curatorie, e gli elettori erano coloro che non erano nella posizione sociale di “servi”, ma in quella di liberi (lieros). I cittadini liberi quindi, votavano ed eleggevano i loro rappresentanti e i rappresentanti di tutte le Curatorie e delle “Ville” facevano parte dell’Assemblea, che non aveva carattere permanente, ma veniva convocata di volta in volta. L’Assemblea aveva acquisito poteri non indifferenti nei confronti del Giudice, che non aveva più un forte potere personale, ma doveva necessariamente andare incontro alle esigenze delle Curatorie, che, mediante i loro rappresentanti indicavano quali fossero i loro desiderata. Questa situazione conferisce alla Sardegna un ruolo di priorità nel contesto europeo. Dall’800 in poi in tutta Europa imperava il feudalesimo più spinto; in Sardegna invece nell’880 si aveva una forma di governo politico basato su libere elezioni. Dispiace enormemente sapere che, mentre i sardi conoscono bene, anche perché lo studiano a scuola, quel lungo periodo in cui la Sardegna è stata terra di altri popoli, Fenici, Cartaginesi, Romani, Vandali, Bizantini (per oltre 1000 anni) ed invece il periodo giudicale, durato 500 anni, dall’880 al 1420, a scuola non si studia. Si studia quindi quel periodo storico in cui la Sardegna è stata non protagonista della propria storia, ma vittima della dominazione altrui. Eppure la nostra isola ha dimostrato, nel periodo giudicale di avere un regime democratico assolutamente innovativo per quei tempi”.
Domanda: “Conte, parliamo di “sa die de sa Sardinia” (28 aprile 1794) – la cacciata dei piemontesi) Secondo lei la ricorrenza che è stata scelta per celebrare la “gloria” del popolo sardo, è una ricorrenza giusta o sarebbe preferibile andare più indietro nel tempo e tornare al periodo giudicale”? Il Conte Alberto: “La giornata scelta, coincidendo con la cacciata dei piemontesi, non mi sembra opportuna, anche se molte cose qui da noi sono inopportune, a cominciare dalla bandiera dei Quattro Mori, scelta dalla Regione Sarda. Essa in origine era la bandiera del Regno di Sardegna e Corsica: ebbene tale regno era parte del Regno d’Aragona. Per i sardi sarebbe stato preferibile avere la bandiera del Giudicato di Arborea (vedi bandiera), cioè l’albero sradicato perché è una bandiera di carattere locale, mentre i Quattro Mori rappresentano il primo Moro il regno d’Aragona, il secondo il regno di Maiorca, il terzo il regno di Valencia, il quarto le contee di Barcellona e della catalogna, facenti parte della corona di Aragona. Quando parliamo di Corona d’Aragona non bisogna sbagliare, non si tratta del regno di Aragona, ma di una federazione di regni, che costituivano appunto la Corona d’Aragona. Comunque tornando alla domanda, alla questione della data della celebrazione della Nazione Sarda, quella data coincidente con la cacciata dei piemontesi, mi sembra inadeguata; anche perché pur cacciati il 28 aprile, il 9 di settembre era già tornato in Sardegna un nuovo vicerè , assieme a tutti gli altri nobili cacciati. Prendere questa data come momento celebrativo mi sembra una cosa esasperata. Che si voglia dare alla Sardegna una giornata, nella quale i sardi possano riflettere sul loro passato e dimostrare di essere un popolo unico mi sembra senz’altro positivo, ma non in questo modo…anche perché, poi, mi sembra che la cacciata dei Piemontesi non sia stato un evento, un fenomeno profondamente radicato nel popolo sardo, da un capo all’altro della Sardegna…Non è stato niente di tutto questo, perché i piemontesi sono andati via in modo direi tranquillo…”(Interviene il fratello del conte Alberto, Emanuele...) “Certo non sono state le “5 giornate di Milano”, anzi mi sembra una cosa sciocca andare a prendersela con i piemontesi. Tutto sommato, se voi siete d’accordo, la dominazione sabauda non è stata poi così terribile…” Riprende il conte Alberto: ”Noi, qui in Sardegna, tra le nostre espressioni ne abbiamo una che recita: “ Ti perseguiti il Bogino” (in sardo: “Chi ti currat su Buginu”! o “Chi ti pregonit su Buginu”, o ancora: “ Su Buginu t’impicchit”!...Proprio il Bogino è stato uno dei pochi ministri che si è occupato realmente della Sardegna, nella quale ha cercato di costruire qualcosa di veramente grande. Sua intenzione era di organizzare tutto, dall’Università alla situazione economica, soprattutto quella agricola, ma gli è stato impedito. Nel 1820 è entrata in vigore la Legge delle Chiudende. Tutto sommato faceva parte dei propositi del Bogino. È stata una legge per dare la possibilità agli agricoltori ed anche agli allevatori di avere le proprie terre”.
Domanda: “Io credo che la Legge delle Chiudende sia stata in teoria una buona legge…ma venne messa in pratica in modo abbastanza violento”! Il Conte Alberto: “Bisogna calarsi nella mentalità di quei tempi. Il latifondo sardo era costituito da terreni non facilmente raggiungibili dai paesi. Ebbene, i terreni più lontani la gente non li voleva, perché preferiva avere quelli vicini a casa. Dal momento che tutti volevano quelli più vicini, finivano per prendere soltanto dei pezzettini. Coloro che non erano in grado di acquistare i piccoli appezzamenti vicini e molto ambiti e quindi molto cari, prendevano quelli più lontani, che sono andati sempre più migliorando con il perfezionamento dei mezzi di trasporto”.
Domanda: “Conte torniamo un po’ indietro nel tempo…”. Il Conte Alberto: “ Torniamo al periodo giudicale. Se lo paragoniamo a quanto stava avvenendo in Europa nella stessa epoca, diventa ancor più interessante. Mi riferisco in particolar modo a quel documento del 1215 chiamata “Magna Charta”. Con esso si dice sia nata in Europa e nel Mondo la Democrazia moderna. La Magna Charta è un documento sottoscritto dal re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra e dai suoi feudatari. Giovanni Senza Terra aveva compiuto tante di quelle angherie ai danni dei suoi feudatari, che questi, messolo con le spalle al muro, lo costrinsero a firmare un trattato che determinasse per il futuro i loro rapporti. Ma prestiamo attenzione ai firmatari del trattato: si tratta di re Giovanni e dei suoi baroni, mentre il popolo inglese non è parte in causa. Infatti il trattato è composto da 66 articoli, tra cui ben 65 sono destinati a risolvere i problemi tra sovrano e feudatari. C’è un solo articolo che riguarda il popolo inglese: nel quale si sancisce che nessun cittadino potrà essere privato della propria libertà o dei propri beni, senza aver avuto prima un regolare processo, da tenersi in tempi brevi. Fondamentalmente quindi questo articolo si limita a sancire la garanzia per i singoli cittadini di non essere incarcerati o privati dei propri beni senza regolare processo. Ma dal punto di vista dell’intervento attivo nell’ambito dell’amministrazione e della gestione del paese, ai singoli cittadini non è concesso niente. Riportiamoci in Sardegna. Nell’isola i singoli cittadini avevano il diritto di intervenire nell’amministrazione del paese: pensiamo a cosa possa significare la decisione della guerra e della pace rimessa ai cittadini; pensiamo inoltre al ruolo dello stesso sovrano, il quale non può che essere una persona legittimata dalla volontà popolare. Faccio un esempio: quando Eleonora d’Arborea, nel 1388, decise di stipulare un trattato di pace (La Pace di Eleonora, LPDE del 1388), si rese necessario (il re d’Aragona lo pretese) l’intervento della Corona de Logu, che stabilì la fattibilità del trattato dopo aver avuto il consenso dei rappresentanti della popolazione di ciascuna “villa” (è in nostro possesso e di prossima pubblicazione in questo sito Web, l’elenco completo, di ciascuna “villa” e Curadorìa o Parte o Contrata, di appartenenza, dei rappresentanti firmatari della cosiddetta Pace di Eleonora). Perché ho citato la Magna Charta? Per dimostrare meglio come la Sardegna abbia davvero concretizzato un sistema politico democratico del tutto innovativo per quel periodo storico. La celebrazione di “sa die de sa Sardinia” è scaturita dalla necessità di avere un momento nel quale il popolo sardo potesse sentirsi individuato come identità e caricato di entusiasmi. Abbiamo convissuto per tantissimi secoli con un elemento tragico: la rassegnazione. Quando si desidera qualcosa che non si può avere, davanti ad una carenza così grave che cosa si può fare? Si impara la rassegnazione. Questo sentimento è appunto la rassegnazione e non si è riusciti a trovare un punto di appiglio, un periodo storico degno di essere ricordato e citato come esempio per gli altri. E questo periodo è appunto quello giudicale, durato ben 500 anni, che invece è quasi dimenticato da tutti”!
Domanda: “Vogliamo ora parlare del castello e della Battaglia(sa battàlla )di Sanluri del 1409”? Il Conte Alberto: “Per chiarire è meglio tornare ancora un po’ più indietro nel tempo. È importante farlo. Quando noi esaminiamo il nostro passato e analizziamo la nostra storia, dobbiamo soffermarci anche sulle pagine brutte, per non ripetere gli stessi errori o per tentare di sconfiggere sul nascere gli stessi caratteri negativi che potrebbero ripresentarsi. Facciamo dunque il punto su quanto stava succedendo in Sardegna prima della Battaglia. Eleonora voleva, a tutti i costi, la liberazione del marito Brancaleone Doria, e del figlio Mariano, tenuti prigionieri a Cagliari dal re d’Aragona. – Qui il Conte Alberto fa un excursus personale su Eleonora ed il marito – Brancaleone Doria era un eccellente soldato e grandissimo comandante, ma era piuttosto brutto d’aspetto, ma del resto anche Eleonora era bruttissima. Forse ben pochi sanno che Eleonora d’Arborea fosse brutta d’aspetto, poiché nell’immaginario popolare la si rappresenta sempre come una “splendida amazzone”; era invece molto brutta ed ancor più perché aveva il volto sfigurato da cicatrici, che cercava di nascondere con la pettinatura. Arrivata all’età di 14 anni – età in cui allora si prendeva marito – non trovò nessuno che volesse sposarla. Due anni dopo arrivò il momento del matrimonio anche per la sorella minore, Beatrice. Ma secondo l’usanza neanche Beatrice poteva sposarsi, senza che prima si sposasse la sorella maggiore. Ma Eleonora era talmente brutta che si fece una deroga all’usanza. Del resto non era giusto che Beatrice pagasse per una simile situazione. Ripeto che i difetti del volto di Eleonora già naturalmente brutta erano di gran lunga evidenziati dalle cicatrici del suo volto. Poverina! Da piccola era caduta col visino in un braciere ardente! Ma dopo alcuni anni dal matrimonio di Beatrice anche Eleonora trovò un uomo a cui voler bene e che accettò di stare con lei, Brancaleone Doria, ma le nozze furono celebrate tanti anni dopo, quando lei aveva ormai trentasette anni. Eleonora ebbe comunque due figli da Brancaleone, Federico e Mariano. Nel 1383, mentre lei con i figli si trovava a Genova, con tutti gli onori del rango, quando improvvisamente fu ucciso Ugone III, regnante di Arborea dopo la morte del fratello Mariano IV°, padre di Eleonora, e con Ugone fu ucciso anche il figlio, erede al trono. Eleonora fu invitata a rientrare in Sardegna perché erede al trono era ormai il figlio Federico, che però era ancora minore. Pertanto Eleonora, poiché neppure il marito Brancaleone era presente, perché ospite del re d’Aragona, in Spagna, fu nominata dalla Corona de Logu Giudicessa d’Arborea, al posto del figlio Federico (jughissa de Arboree, contissa de Gociani e biscontissa de Bass). In realtà non era una vera regina ma una regina reggente (jughissa de fattu). Gli Aragonese appresero la notizia prima di Brancaleone e decisero di approfittarne: lo catturarono e lo fecero prigioniero. Così avrebbero potuto ricattare la Giudicessa Eleonora, che aveva sempre manifestato una certa avversione per gli aragonesi, come del resto il padre Mariano IV°. Eleonora si trovò ad essere privata del marito per ben sette anni: sono gli anni in cui lei scelse di vivere qui nel Castello di Sanluri, più vicino a Cagliari, dove era tenuto prigioniero Brancaleone, riportato in Sardegna dagli aragonesi. Poi obbligarono, con l’arma del ricatto, Eleonora a chiedere la pace, nel 1388, per la quale, la stessa regina si impegnò a raccogliere le firme dei rappresentanti di tutti i paesi (ville), Curadorìa per Curadorìa, incaricando i suoi uomini di fiducia”.
( come anzidetto verrà pubblicato, al più presto, in questo sito Web, il documento che contiene l’elenco al completo dei firmatari della Pace di Eleonora del 1388, villa per villa, Contrada per Contrada, e la narrazione dei fatti che precedettero la richiesta di pace) –
Il Castello di Sanluri è oggi Museo Nazionale del Risorgimento Italiano. Il duca d’Aosta Emanuele Filiberto, incaricato sin dal 1915 del Comando della III^ Armata, da lui tenuto sino alla Liberazione di Trieste, raccolse nella reggia di Capodimonte, cimeli, documenti e materiale storico per la costituzione di un museo da realizzare nella Regione Italiana che più delle altre avesse sacrificato i propri figli per il raggiungimento dell’Unità d’Italia. Dopo la vittoria constatò che per ogni 1000 soldati italiani in guerra, ne erano morti 105 e che fra le Regioni la Sardegna aveva offerto il massimo contributo di vite umane, con 139 morti per ogni mille combattenti (cento mila combattenti, tredici mila novecento caduti).
Il generale sardo Nino Villa Santa, pluridecorato al valore, venne incaricato dal duca d’Aosta di trovare in Sardegna un luogo adatto per allestire ed ospitare il Museo. La scelta cadde sul Castello di Sanluri, per il suo grande contributo alla storia sarda ed anche per il suo buono stato di conservazione. Il trasferimento dei cimeli avvenne dopo il restauro del Castello. Ai cimeli della Grande Guerra hanno fatto seguito altri, relativi alle precedenti guerre per l’Indipendenza Italiana. Per i turisti e le scolaresche: vedi nel Web: il castello di Sanluri, nell’attualità. (le visite sono guidate direttamente dal Conte Alberto di Villasanta).

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