Novembre:
Novembre > Onnyassantu …(tutti
i Santi) > Sant’Andrìa( Sant’Andrea – apostolo – 30 novembre).
Sant’Andrea apostolo, fratello di Simon Pietro,
di Bethsaida di Galilea; crocifisso a Patrasso in Grecia nel 60 d. C. Patrono
dei pescatori, è particolarmente venerato in Grecia. Il nome Andrea
deriva dal greco andròs = uomo, virile. È inoltre Santo Patrono
della chiesa Ortodossa, degli Slavi, dell’Austria, della Spagna, dell’Olanda,
della Germania, della Russia, etc. Particolarmente venerato ad Amalfi.
In Sardegna è venerato in tantissimi paesi ed il centro abitato
di Sant’Andrea Frius porta il suo nome: la sua chiesa parrocchiale è
dedicata al Santo. Nel paese di Bono, provincia di Sassari, il 30 novembre,
festeggiano il Santo con la sfilate delle maschere, ricavate da zucche:
non vi è riferimento alcuno all’anglosassone Halloween; si tratta
bensì di un “culto” che affonda le radici nelle antiche tradizioni
pagane, di cui non è ancora certa l’origine. A proposito il sottoscritto
fa riferimento alla danza dei Mammutones di Mamoiada (vedi nel Web Mammutones):
non sfilata dei contadini contro i potenti, come taluno asserisce, bensì,
come io credo, insieme a tanti altri, corteo contro gli spiriti maligni!
Nella sera di Sant’Andrea a Bono i bambini vanno di porta in porta a chiedere
la strenna: dolci tipici, mandorle, nocciole etc…rito che si ripropone
in molti altri paesi della Sardegna, e non solo, il 31 dicembre col più
famoso “dono di San Silvestro”, con “su candeléri”(vedi nel sito
> almanacco di dicembre: 31 dicembre San Silvestro -su candeléri).
Sono tantissime le chiese sarde che portano
il nome di Sant’Andrea o Andrìa, il cui culto in Sardegna fu portato
senz’altro dai monaci greci durante la dominazione bizantina. Alcuni studiosi
legano il nome del Santo alla dominazione spagnola nell’isola, rimarcando
il fatto che molte chiese dedicate al Santo Apostolo portano le stile gotico
– aragonese, ma da una attenta indagine si può desumere che tutti
i santuari di Sant’Andrea Apostolo, in tale stile, furono ricostruiti su
precedenti strutture. Inoltre nei documenti antichi medioevali è
largamente presente il nome Andrea, molto prima dell’arrivo degli spagnoli
nell’isola.
Onnyassantu e Sant’Andrìa
Custu est su mesi de Onnyassantu,
po teni is mortus in sa cumpanjìa,
y a nai po cussus una pregadorìa
andaus tottus su dus a Campussantu.
Custu est puru su mes’’e Sant’Andrìa,
in su celu currit de nuis unu mantu,
calant is follas ‘e is mattas in prantu
a su ‘entu forti e sa pruìn’ a straccìa.
Abini in su mundu dho-y hat tristùra
de certidu ‘e gherra e feli marigòsu
no sulat su ‘entu ‘e sa paxi segùra,
e s’unu cun s’atru ‘olit essi barròsu,
su soli est prus bambu, sa dì prus
iscùra:
finas su celu s’allacàynat lagrimòsu!
Peppi |
Traduzione (letterale) in italiano
Tutti i Santi, Sant’Andrea.
Questo è il mese di Tutti i Santi
per tenere ai morti la compagnia
e a dire per loro una preghiera,
andiamo, il due, nei camposanti.
Questo è pure il mese di Sant’Andrea,
nel cielo corre di nuvole un manto
cadon le foglie dagli alberi in pianto,
al vento forte e la pioggia a dirotto.
La dove nel mondo c’è tristezza
di lotta e di guerra e odio velenoso,
e non soffia il vento della pace,
l’uno con l’altro vuol essere borioso,
il sole è più pallido, il giorno più buio,
persino il cielo s’angustia lacrimoso!
Peppe |
La vigilia di Tutti i Santi
( su éspuru de Onnyassantu):
per tradizione si spilla dalle botti il primo vinello (su piricciòlu):
evviva su piricciòlu, nettare degli dei! Il padre di famiglia (pater
familias), vignaiolo della domenica, toglie il tappo laterale(su tupponéddu)
della botte per infilarci il rubinetto( su grifoni o sa scètta),
indi toglie il tappo centrale(su màfu ) e ripulito il frammento
di sacco o tela d’avvolgimento (su kirriòlu o tzàppu), lo
rimette con leggera pressione. Di poi fa sgorgare il prezioso e frizzante
liquido: il primo assaggio è suo: gli spetta: “Uh, uh! Bonu, balla!
Arrivano parenti, amici e compari del vicinato (su bixinàu), opportunamente
avvisati. Il pater familias vuole, meritatamente, una conferma della bontà
del suo prodotto. E tutti si appressano all’assaggio ben volentieri: “
Bellu, Bellu! Al secondo assaggio: “Druci e pitzia lingua”! (dolce e frizzante!).
al terzo e successivi assaggi: “Bonu, balla; bonu, balla! Quando “gli assaggiatori”
sono arrivati, la strada era spaziosa e dritta, ora al rientro, sembra
una strettoia tutta curve e riguadagnano le proprie abitazioni zigzagando,
da un muro all’altro(strombili, strombili; stontona, stontona; trisia,
trisia; a manu muru. “Su piricciòlu…bonu. Balla”!
2 novembre: giorno
dei morti… Scherzosamente mi torna in mente un aneddoto di seconda elementare:
alla proposta della maestra signorina Ghita Porru Bonelli di esprimere
un pensierino sul due novembre e quindi sulla commemorazione dei morti,
io scrissi: “ Il giorno due novembre la gente va in cimitero per onorare
il “culo” dei morti”! Omisi, mio malgrado la “t”, beccandomi la sonora
ed irriverente risata della maestra e, di conseguenza, dei compagni tutti.
Come se non bastasse, alla fine della lezione e quindi all’uscita da scuola,
tutti, bambini maestri e bidelli, sapevano che io avevo scritto culto senza
la “t”…abominevole!
Novembre è il mese più cantato
dai poeti, forse perché è il più malinconico dell’anno,
a causa del peggioramento meteorologico, per la caduta delle foglie dagli
alberi, per la riduzione delle ore di luce del giorno, ma soprattutto perché,
è il mese dei morti: …
Celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
all’insultar dei nembi e dal profano
piede del volgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli
…
Rapian gli amici una favilla al sole
a illuminar la sotterranea notte
… (Dei Sepolcri di Ugo Foscolo ). Fiori e lumi
ornano i cimiteri, che almeno in quel giorno dell’anno, sono meta di tantissimi
visitatori, che sentono il richiamo del parente e dell’amico scomparsi!
Qui in Sardegna, le domus de janas ed ancor
più le tombe di giganti, di cui l’isola conserva ancora numerosissimi
esempi, costituiscono una chiara ed evidente prova dello straordinario
rispetto che gli antichi sardi avevano per i cari defunti. Il concetto
di morte per i sardi era ed è ancora, in qualche caso, un composito
di mistero e di fatalismo: “s’ora de sa morti” è annunciata da presagi
e riti, che affondano le radici nell’antichità paganeggiante: su
cantidu de sa stria(il canto della civetta); s’aguriu de is canis(l’ululare
dei cani); su sonu de su carru de smorti (il suono del carro della morte).
L’agonia (su sagarru/s’agra)come momento più doloroso e penoso dell’esistenza,
poteva trovare liberazione con l’intervento di una donna o di un
uomo che praticasse l’eutanasia (s’accabbadòri o s’accabbadòra):
non si trattava di persone prive di scrupoli, bensì animate da un
senso di estrema pietà, le quali acceleravano il decorso dell’agonia
premendo, nella maggior parte dei casi, sulla bocca del morente un guanciale.
Le prefiche (is attittadòras) poi avevano il compito(a pagamento)
di piangere il morto.
Dal numero dei rintocchi delle campane si
poteva capire se il morto era una donna, un uomo, un notabile del paese,
un sacerdote o un vescovo. Per i bambini le campane suonavano come a festa
(is arrepìccus po pippiéddu notzénti). Le condoglianze
in cimitero o a casa dei parenti dell’estinto prevedono ancora la solita
frase: “ A dhu conosci in su paradisu o, a dhu conosci in sa santa groria”!
= a rivederlo nel paradiso o, a rivederlo nella santa gloria”! Il lutto(su
luttu o meglio, su corrùttu), da parte dei parenti dell’estinto
era caratterizzato dall’abito nero. Soprattutto la donna vedova rimaneva
in lutto per il resto della sua esistenza. Lo toglieva per poche ore solo
in caso di matrimonio per un figlio o una figlia, o definitivamente nel
raro caso di seconde nozze. Togliersi il lutto si dice in sardo scorruttài.
La donna rimasta vedova ancora giovane, che manteneva fede al marito defunto,
alla sua morte, veniva sepolta con l’abito bianco da sposa e con tutti
i suoi gioielli (is préndas). L’uomo vedovo rimaneva invece per
mesi, talvolta per anni con la barba incolta(braba de viùdu).
3 novembre: il
3 novembre 1918, termina la Prima Guerra Mondiale, iniziata il 24 maggio
del 1915 (per l’Italia). Vi parteciparono 100 mila giovani sardi, di cui
13.602 morirono combattendo, altrettanti furono mutilati o feriti gravi.
Un immenso sacrificio per il popolo sardo, per liberare le terre irredente
del Trentino, della Venezia Giulia e di Trieste, tanto lontane dalla Sardegna.
Un vero esempio di attaccamento alla Patria “Italia”, un atteggiamento
esemplare dettato da coraggio e ardimento, un comportamento da veri e propri
combattenti, risoluti ed audaci (vedi nel sito: racconti e leggende del
Campidano e Dintorni, - “Antioco Cipolla” eroe del Carso -). Ai cavalieri
di Vittorio Veneto, eroi della gloriosa e vittoriosa Brigata Sassari, il
re, Vittorio Emanuele III°, per l’ardimento, l’abnegazione, il coraggio
evidenziati, promise solennemente “mari e monti” e tantissime altre cose,
per risanare la situazione di penosa miseria in cui versava la terra sarda.
Mari e monti i sardi li avevano già e li hanno ancora, di tutte
le altre tantissime cose promesse non ne mantenne solo una!!! Evviva il
re e tutta la sua generosa stirpe. In proposito a tutti i giovani sardi,
e non, consigliamo la lettura dell’opera di Emilio Lussu “Un anno sull’Altipiano”.
Il due Novembre di quest’anno
(2009), durante la doverosa visita al cimitero del mio paese, di nascita
e di residenza, Gonnosfanadiga, mi sono trattenuto in un momento di riflessione
sulla tomba di monsignor Severino Tomasi, prezioso insegnante ed insigne
storico per gli abitanti del Medio Campidano.
Severino Tomasi (1893 – 1969) – parroco in
diverse parrocchie della diocesi di Ales – Terralba, decano del Capitolo
e Vicario Generale della stessa diocesi. Era parroco a Gonnosfanadiga quando
una squadriglia di bombardieri americani, il 17 febbraio del 1943, sganciando
il suo carico di morte sul centro abitato, provocò una immane tragedia.
In quelle circostanze seppe dare conforto, non solo spirituale, ai feriti
ed alle famiglie delle vittime.
Pubblicò a puntate, nella Rivista Diocesana
“Nuovo Cammino”, per oltre un decennio, il risultato del suo eccezionale
lavoro di ricerca sulla storia dei 50 paesi della Diocesi di Ales – Terralba.
La meticolosa e certosina ricerca sulla nostra storia, copre ben 4 secoli,
dal 1560, al 1960, oggi raccolta in due volumi dal titolo, “ Memorie del
Passato” – Appunti di storia diocesana – edito da Cartabianca.
Breve storia del suo passaggio a Gonnosfanadiga:
così lo ricordano gli abitanti di questo borgo. Dopo la morte del
can. Cabitza, ebbe l’incarico di reggere la Parrocchia (del Sacro Cuore),
il vice parroco, teologo Pietro Casti, sino alla nomina del nuovo parroco.
Il 27 aprile del 1941, la seconda domenica dopo Pasqua, prendeva servizio
il nuovo parroco sacerdote Severino Tomasi, figlio del fu Antonio
e di Saba Barbara, nato a Gonnosfanadiga il 25 Febbraio 1893. fu ordinato
sacerdote in Ales il 3 marzo 1918.
Un anno dopo prendeva servizio anche il nuovo
parroco, il reverendo Antonio Piras, fu Francesco e fu Peddis Anna, nativo
anch’egli di Gonnosfanadiga. Proveniva da Guspini, alla quale sede fu trasferito
il viceparroco di Gonnosfanadiga don Aldo Mocci.
Nel 1943 il sac. Severino Tomasi con i suoi
parrocchiani, visse la triste tragedia che si abbatté sulla popolazione
a causa del bombardamento effettuato da aeroplani americani, il giorno
17 febbraio, alle ore 15. Egli come padre spirituale e pastore partecipò
al cordoglio di tutta la popolazione. Ritorna a suo merito l’averci lasciato,
da uomo storico qual era, la cronistoria dettagliata di quel triste avvenimento.
Il 25 marzo 1943, con una festa celebrata appositamente a Nostra Signora
della Salute, fece la consacrazione della parrocchia e della popolazione
al Sacro Cuore di Maria, per implorare la sua protezione sul paese, messo
a dura prova dagli orrori della guerra. Nel 1944 vene dato compimento al
campanile della chiesa del Sacro Cuore. Nei giorni 18 e 19 dicembre 1944
furono collocate le nuove campane, già acquistate fin dal 1940.
Il 24 dicembre, a mezzogiorno in punto si ebbe il primo scampanio. In questa
data si riprese a celebrare la Messa alla mezzanotte. Infatti essa, per
disposizione pontificia, dal 1942, veniva anticipata al pomeriggio
del 24 dicembre.
Ricordare monsignor Tomasi è sempre
un piacere. È stato un uomo eccezionale oltre che un grande parroco.
Un grande storico, l’unico vero storico della diocesi di Ales – Terralba.
A lui si devono tutti i profili storici dei paesi della nostra comunità
diocesana. Per monsignor Severino Tomasi scrivere era la sua più
grande passione. Amava farlo con scrupolosa attenzione e con dovizia
di particolari, tanto che, spesso, nei suoi scritti, ne riportare i nomi,
si trovano anche i soprannomi, necessari per distinguere i casi di omonimia.
Il suo prezioso lavoro è stato ripreso da diversi storici sardi.
Tanti hanno chiesto e continuano a chiedere i suoi testi, per trovarvi
appagamento alla loro sete di sapere. È preziosa la testimonianza,
scrupolosa e dettagliata, sul bombardamento a Gonnosfanadiga. Dobbiamo
a lui, che amava la riservatezza e la pace del silenzio, se ancora oggi
si conoscono i nomi dei caduti di quel funesto 17 febbraio del 1943. Il
sacerdote Severino Tomasi terminava il suo servizio di parroco a Gonnosfanadiga
il 18 settembre 1945, anche lui, come tanti altri sacerdoti, destinato
a trasferirsi per continuare l’opera evangelica. Venne trasferito ad Ales,
dove prese l’incarico di Vicario Generale.
Il racconto del mese. (aneddoto).
Gonnosfanadiga: La “Grotta
della Madonna di Lourdes”; il sogno di
tanti devoti presto si realizzerà.
Sulla sommità della ormai storica gradinata
verrà ultimata la “Grotta”, che ospiterà il simulacro della
Madonna di Lourdes. Il Comitato per la “Gradinata”, coordinato dal presidente
Pinuccio Uccheddu, ha posto serie basi per terminare l’opera incompiuta
e rendere soddisfazione agli abitanti di Gonnosfanadiga e non solo, che
tanto diedero e tanto fecero per quella opera ed il cui sacrificio è
ampiamente documentato negli archivi parrocchiali del Sacro Cuore.
La storia che vi racconto ha per protagonista
Carmine, un ambulante che sognava la “Grotta” della Madonna di Lourdes
a Gonnosfanadiga ed:
Una corona d’oro per la Madonna della Grotta
di Lourdes.
“Il venditore ambulante, che sognava la Grotta
della Madonna di Lourdes in Gonnosfanadiga, non potrà vedere realizzato
il suo sogno, perché il suo spirito trepidante, per lungo tempo
tormentato dall’attesa, fino all’inverosimile, è tornato nelle mani
del Creatore. Dall’aldilà troverà forse soddisfazione e conforto
alle sue suppliche. Nondimeno verrà resa soddisfazione a quanti,
nei paesi del Medio Campidano, della Marmilla, della Trexenta, devotissimi
alla Vergine di Lourdes, non disattesero le parole supplichevoli di quel
uomo, che portava loro calze e scialini e che chiedeva un oggettino d’oro,
una vecchia catenina, un anello consunto, un frammento di braccialetto,
un orecchino e quanto altro, in dono, per portare avanti il sogno, che
covava in petto da lungo tempo, per una visione o qualcosa del genere,
che era in lui un fortissimo stimolo a realizzare quella idea grandiosa:
la “Grotta di Lourdes ed Una Corona d’oro massiccio per la Madonna”, a
Gonnosfanadiga! E quel ambulante tornava in paese con in tasca il fazzoletto
che avvolgeva quelli strani frammenti luccicanti, da cui traspariva, per
lui almeno, l’immagine lucente dei suoi sogni. Premurosamente li riponeva
insieme agli altri già raccolti, per consegnarli poi, di volta in
volta alle persone giuste, che più di lui, umile ed insignificante
creatura, sapevano gestire la cosa, per concretizzare il desiderio più
profondo della sua questua. Ma i tempi diventarono lunghi, sino all’inverosimile.
Per tutti, poi, ed anche per lui sopraggiunse lo scoramento. La chiesa
non riusciva più portare avanti l’opera; la Curia Vescovile aspettava
che il Comune si decidesse a completarla; gli amministratori comunali,
per scaricarsi dell’onere, andavano ripetendo che doveva essere il vescovo
ad impegnarsi.
Sta di fatto che con questi “scarica barile”,
che si sono protratti nel tempo, l’opera è rimasta incompiuta. Quel
povero ambulante poi, non trovando più di che sfamare la sua numerosissima
famiglia andò via dal paese, a trovare lavoro altrove. Di lui e
del suo sogno si parlò a lungo. Ma in seguito tutto è finito
nel dimenticatoio.
Oggi (2009) pochi Gonnesi sanno dove quel uomo
è andato a finire e se è ancora vivo. Ma ciò che più
preme è che nessun Gonnese sa dove sono andati a finire quei numerosissimi
luccicanti frammentini d’oro: se sono stati usati per la realizzazione
della “Grotta” o se sono meticolosamente conservati per concretizzare il
sogno di Carmine, umile e devoto.
Gonnosfanadiga è un paese assai strano:
ci ricordiamo con grande facilità che zia Rita Arberi andava a comprare
il vino con il pentolino del latte, per nascondere, agli occhi della
gente, il suo piccolo vizio, ed invece dimentichiamo o forse vogliamo dimenticare,
le cose di gran lunga più importanti.
È cosa sicura che Carmine, dall’alto dei
cieli sta osservando e vede che finalmente la “Grotta per la Vergine di
Lourdes, all’apice di quella bellissima gradinata, è quasi realizzata.
Il suo sogno, il sogno di tutti i Gonnesi e di quanti, dei paesi del Medio
Campidano, della Marmilla e della Trexenta, hanno contribuito, anche con
un piccolo dono, riposto devozione nelle mani dell’ambulante, si sta per
realizzare. Ma Carmine e quella gente aspettano di vedere anche la statuina
della Madonna e con la splendida corona tutta d’oro massiccio!
Peppi |
|