E' dal 1955 che Giuseppe Motti
inizia concretamente a raccontare, per mezzo della sua espressione più
congeniale, la pittura, la sua tematica particolarmente cara e preferita
su: "il fiume Po". Proprio questo definisce Motti "il pittore del
Po" per essere nato sulla riva del fiume e per aver fatto del fiume
e della sua gente, i protagonisti di quadri immemorabili. Nei suoi dipinti
inondati di luce, l'uomo è raffigurato in un atteggiamento di comparsa
quasi fantasmagorica, i barcaioli del Po consumati dal tempo sono raffigurati
nel loro ambiente naturale, fatto di paludi, arenili e vegetazioni fluviali,
effettuando così la coniugazione del fiume agli uomini. E'
proprio questo il punto di inizio di un discorso vasto e inesauribile sul
tanto amato fiume Po: "....il tema a me piu' congeniale (dice lo stesso
Artista) è il Po, col suo fondo di ghiaia e di sabbia, i suoi argini
insicuri, le sue folte pareti di pioppi così piene di mistero, le
sue rive di saggina, il dilagare potente e sconfinato alla foce, la sua
luce a specchio e, soprattutto, con la sua gente. Quella gente in mezzo
alla quale ho trascorso la mia magra infanzia, che ho portato nella mente
e nel cuore come fantasmi e in mezzo alla quale sempre torno per necessità
di vità.....". Il Motti è stato fra i pochi pittori
d'avanguardia, riconosciuto nei "Chiaristi", a tornare assiduamente
su soggetti e ambienti padani non solo nel periodo giovanile, quando era
fresco e intriso di letture . Giuseppe Motti nacque ad Arena Po nel
1908, nel periodo adolescienziale dopo le scuole dell'obbligo frequenta
l'Accademia "Braidense" di Milano, successivamente interseca la sua vita
artistica con diversi gruppi e movimenti artistici fra cui gli "astrattisti
di Como", il gruppo della "scuola Romana", il gruppo lagunare della
"scuola di Burano" e altri ancora. L'intero percorso artistico della
sua opera fu costellato di dipinti nei quali la concezione che li
sostiene coincide con l'intima vibrazione spirituale che il maestro
colse nei pittori del primo Novecento, quali, fra gli altri, l'opera del
maestro Lilloni, puntando l'attenzione specialmente sull'aspetto umano
, nel quale riconosceva una corrispondenza di sensibilità oltre
che formale. Giuseppe Motti si manifesta da subito attentissimo al
variare delle esperienze pittoriche che si susseguiranno , s'impegnò
fervidamente nella ricerca di una nuova espressività, sempre desunta
da precisi riferimenti e rapporti con il mondo reale, che lo porterà
attraverso varie esperienze alla maturazione di una singolare e personale
qualità pittorica, eppure già nei primi quadri sono perneati,
forse più di quelli più recenti, da una vibrazione commossa
che rappresenta una sorta di "regula", cui non rinunciare. La tematica
del fiume a lui preferita fu dallo stesso pittore ricordata e ribadita
più volte nei suoi scritti: ".....Parlare dunque del Po, col linguaggio
che mi è proprio, cioè con la pittura, significa parlare
di loro: dei braccianti, dei boscaioli, dei barcaioli, dei renaioli, delle
ragazze e dei giovani che di sabato e di domenica "vanno a Po" dalle borgate
o dalle città della Padania, degli uomini all'osteria, dei bambini
lungo gli argini in cerca di nidi, oggi come ieri; in una parola: della
gente che sul fiume fatica, si incontra, ama, ride, soffre, gioisce. E
più mi addentro nel discorso e più lo scopro vasto e inesauribile....".
La fase più decisiva e più interessante artisticamente fu
quella del "secondo dopoguerra" , dopo il periodo in cui fu impegnato nella
resistenza in Val d'Ossola, Giuseppe Motti partecipa e diventa animatore
del movimento "realista" costituitosi a Milano presso la Galleria Borgonuovo.
Questi sono gli anni in cui l'Artista si impegna fervidamente nella ricerca
di una nuova espressività, sempre desunta da precisi riferimenti
e rapporti col mondo reale, che lo porterà attraverso varie esperienze
alla completa maturazione di una singolare e tutta personale qualità
pittorica. Questo fu peraltro il periodo più profiquo per
l'Artista, documentato da innummerevoli dipinti, che riporterà sul
piano dello stile la fonte primaria della sua seduzione; a nostro giudizio
Motti ebbe a operare una sintesi rivoluzionaria dello spiritualismo dei
simbolisti e del naturalismo degli impressionisti in un coniugio tutto
suo. Questa nuova concezione spirituale il Nostro la ebbe a collaudare
proprio a Melegnano, quando diede appunto vita a una serie di quadri che
pur non tradendo la matrice impressionista, si rivestono di valori simbolici,
si trasfigurano alla luce dell'immaginazione, risalendo alle origini di
una purezza di forme: le immagini sembrano così spogliarsi di ogni
dettaglio invadente, si semplificano anche attraverso il colore, depositato
sulle tele anche a larghe campiture. Giuseppe Motti fu anche melegnanese
di adozione per affetti familiari e per durature amicizie; le sue opere,
che possiamo definire filosoficamente l' autoriproduzione hegeliana
del suo "spirito", ovvero la completa autorealizzazione del suo essere
pittore, sono anche fra noi. Quando si parla poi di Motti,
della sua inconfondibile "traccia" lasciata negli anni di sua permanenza
a Melegnano, sovviene spesso la connessione analogica del "culto del fiume"
più volte ricordato dal poeta Guido Oldani, anch'egli nato
sulle rive del Lambro alla "Ca' Bianca". Da pittore intellettuale quale
fu Motti non poteva non entrare in contatto con una cerchia di letterati,
pittori e artisti, fra i quali ricordiamo l'allievo melegnanese Annibale
Follini, poi il maestro di pittura Paolo Marchetti, ma anche la frequentazione
di Mario Monteverdi e Raffaele De Grada sarà significativa nello
sviluppo della sua poetica un po' trasognata. Poichè la narrazione
che si dispiega nei suoi quadri è sempre soggetta al codice di un
immaginario, nel quale le figure paiono galleggiare nella dimensione di
un sogno a occhi semichiusi, che ne riduce la consistenza terrena e ne
esalta le proprietà sovrannaturali. Motti muove dalla convinzione
che l'arte possiede una valenza simbolica congenita, e come tale non si
esaurisce nell'espressione di forme che vivono autonomamente, bensì
il suo senso estremo è di stringersi in un rapporto infinito con
il suo fiume. Di ricorrente attualità sembra ancora essere un'affermazione
che il Maestro fece nel lontano 1971: "......Il Po che dipingevo anche
solo qualche anno fa non è più quello che dipingo oggi. La
mia tavolozza si è fatta più violenta, ha un linguaggio più
drammatico; anche il momento dell'abbandono lirico ha sempre un elemento
di rottura che ne segna la precarietà, perchè la vita di
quella gente, la nostra vita, è sovrastata dal dramma della precarietà;
perchè il pericolo di una lenta distruzione della natura intorno
all'uomo ci fa tutti più o meno consapevolmente rabbrividire. E
allora in me insorge la necessità di porre i miei uomini, i miei
personaggi, come simboli della continuità della vità, di
farli parlare con la staticità e la fermezza di statue che restano...".
L'itinerario artistico di Giuseppe Motti si chiude definitivamente con
la sua morte avvenuta a Milano il 15 aprile 1988, mentre la sua opera,
come quella di ogni autentico artista, resta, per continuare a vivere nel
tempo. Sembra che anticipando ogni spasmo di realtà ora il Motti
ci voglia ricordare i suoi grandi spazi delle acque e del cielo ove liberava
il suo eterno stupore un'uomo di fronte alla natura, quasi un presagio
di dissolvenza finale. |