Gianni Zuccaro ha rappresentato il tipico "illustre inconnu"
fra gli artisti melegnanesi del Secondo Novecento, è curioso il
destino, che la nostra cultura artistica nelle sue attuali condizioni,
riserva agli scultori e pittori che amano e coltivano, come Zuccaro, una
forma di espressività appassionatamente figurativa, rifiutandosi
di aderire alle pasticciatissime genericità che oggi vanno di moda.
Sono gli artisti come il nostro Zuccaro, che così intimamente sentono
la carica emozionale del lavoro ed hanno creduto alla sua universale valenza
di testimonianza lirica e fantastica, sono stati in qualche modo costretti
a lavorare in difesa, quasi a sentirsi in minoranza estranea o intrusa
in un ambiente occupato invece da una maggioranza rumorosa e superficiale.
Gianni Zuccaro è quindi un artista che più di ogni altro
ha presenziato sulla passerella dei grandi maestri in "silenzio" per questo
a nostro avviso merita più di ogni altro un ricordo della sua opera
disseminata nella nostra Melegnano. Giovanni Zuccaro detto Gianni melegnanese
di adozione, nasce a Milano il 15 dicembre 1904, suo padre Guido fu il
famoso pittore e istoriatore delle vetrate artistiche del Duomo di
Milano. Gianni ebbe oltre la pittura, un'altra preminente passione nella
sua vita: la musica. Era altresì appassionato delle opere
del poeta dialettale Carlo Porta (1775-1821), per questo era solito canzonare
sulle rime del poeta o raccontare , in pieno umorismo , le buffe angherie
alle quali venivano sottoposti i milanesi dagli occupanti austriaci che
somministravano regolarmente il danno e poi la beffa, quando il poeta si
vedeva però alle strette soleva dire: "...gh'hoo mièe, gh'hoo
fioeu, sont impiegaa..." parafrasando con ciò la stessa filosofia
del pittore melegnanese. Zuccaro fu un buon conoscitore di Fernand Hodler,
forse il più grande pittore che la Svizzera abbia avuto nello scorso
secolo, di questi il Nostro tenne conto della sua poetica anche da pittore
storico, rivisitando gli episodi che proponeva e dei quali
ricavò un'ottimo insegnamento (si veda la "battaglia del Purton".
Zuccaro ha rappresentato nelle sue scelte pittoriche un'arte lineare, nel
segno tradizionale del post-impressionismo, così come è
lecito leggere dai suoi dipinti. Il pittore Gianni Zuccaro si trovò
a Melegnano a causa dello sfollamento da Milano del padre Guido in seguito
ai bombardamenti aerei dell'ultima Guerra Mondiale (1940-45); lo accompagnava
anche il fratello Giorgio. Tutta la famiglia quindi prese alloggio in Castello
in un locale messogli a disposizione da Angiulin Biggiogero. Il sogno di
papà Guido era il vedere i propri figli Giorgio e Gianni intraprendere
gli studi in musica, ma Giorgio dopo aver frequentato la scuola di un famoso
liutaio milanese preferì la carriera bancaria, mentre Gianni, frequentato
il conservatorio, divenne un brillante professore di violoncello.
Nel 1929 a soli venticinque anni, improvvisamente Gianni mise da parte
il violoncello e decise di seguire l'arte del padre e si convertì
alle arti figurative per il resto della sua vita. Suoi maestri furono,
come abbiamo già detto, il padre Guido, oltre allo scultore Pancera,
autore del monumento alla Vittoria che si trova nella piazza principale
di Monza. Annoverava fra le sue conoscenze anche la preziosa amicizia
con Carrà e con Arturo Martini. Dopo il tourbillon degli anni giovanili
Gianni si affermò definitivamente come pittore in continuazione
al mestiere del padre e per questa rinomanza ebbe a trasferirsi
per lavoro in Sudamerica a San Paolo del Brasile dove fra il 1955
e il 1957 realizzò, tra l'altro, le vetrate sia della Cattedrale
che di un grande ospedale cittadino. Da una ricerca effettuata all'ufficio
Anagrafe del Comune di Melegnano Gianni Zuccaro risultava abitante in Via
Giuseppe Dezza al civico 55, iscritto da Milano in data 4 agosto 1962,
coniugato con Hera Berta svizzera di origine ebrea. Ma quando Zuccaro
rientrò dal Brasile inspiegabilmente tornò a Melegnano, dove
per qualche tempo alloggiò presso l'Albergo Madonna che si trovava
all'inizio di via Roma (lato verso Milano). Gli anni successivi però
lo condussero a vivere da solo, in povertà, trascorreva la
giornata a far quadri il cui unico diversivo erano le visite consentite
ai pochissimi amici fra questi l'Oldani il dottor Bozzini, il rag.Chiarion
il geom.Rossetti e l'allora quasi sconosciuto pittore Marchetti oltre il
già citato Carlo Porro. Il Comune di Melegnano gli concesse in tempi
piu' recenti un alloggio per una sistemazione più consona confacente
ad una sorta di "notrecht" di Hegeliana memoria. Gianni Zuccaro non
ebbe annoverate nel suo palmares molte mostre o iniziative artistiche atte
a far conoscere la sua pittura, per quanto fervessero, invece, nel suo
studio le discussioni, gli incontri le letture e le riflessioni. Diversi
furono i melegnanesi adepti degli Zuccaro: fu allievo del padre Guido il
pittore melegnanese Carlo Biggioggero (1902-1981), mentre allievo di Gianni
fu Carlo Porro il bravo pittore del burgh del Lamber che ha , nei
suoi dipinti, in parte ripreso l'esperienza e l'arte del Nostro. Le tematiche
dell'artista melegnanese furono svariate, la predilezione andava sempre
al paesaggio ed alle figure di arte sacra. Fra queste composizioni vi è
un dipinto di Gianni Zuccaro che fu acquisito per ornare la chiesetta dell'Oratorio
di San Giuseppe di via Lodi. Si tratta di una rappresentazione di
una crocefissione raffigurante l' Ecce Homo con ai piedi la madre
Maria e San Giovanni Apostolo: le dimensioni dell'opera è di
un metro di altezza e circa mezzo di larghezza. La rappresentazione corrisponde
ad un olio che Zuccaro aveva composto in Brasile negli anni Cinquanta,
come episodio centrale di un trittico che contemplava, inoltre, una natività
ed una resurrezione. Le tre tele costituivano uno studio per la realizzazione
del trittico in vetrata. Diversi altri dipinti sono rinvenibili da collezioni
private tra i quali ricordiamo: "il bar del tram" olio su tela
30 x 50, "la chiesetta di San Rocco" con lo scorcio del fabbricato in costruzione
sul lato sinistro olio su tela 30 x 50; "paesaggio lacustre" riferito
a vari dipinti riproducenti località svizzere. In una serie di dipinti
di paesaggi alpini voleva ripetere l'esperienza vissuta dal Segantini,
producendo gli ultimi capolavori: "l'amore alle fonti della vita" e il
trittico delle Alpi: "la natura"," la vita" e" la morte". In tutti questi
dipinti è tutt'ora rinvenibile una sorta di febbrile determinazione
a ricavare e riprodurre le località da lui prescelte senza mai abbondare
nell'enfasi espressionistica, era solito colorare le acque lacustri in
modo variopinto prediligendo con ciò i colori violacei. Pigmenti
violentemente e vulutamente accesi , acidi che si distribuiscono in uno
spolverio di spatolate o di grassi colpi di pennello come in un risoluto
e taciturno combattimanto tra l'epidermide della composizione
, le prospettive e i giochi di luce, fino a che ne risultano, tutte insieme
nell'esito finale, irritate in ogni tratto. Verdi marciti, rossi, gialli
dorati o sporcati da fonde ombre accese di violetto e di cobalto s'inseguono
da un punto all'altro dell'immagime, si dividono e si rimpastano nei rivoli
della definizione plastica come tesserine di un mosaico. Eppure, malgrado
le iperboliche tensioni che Zuccaro ricerca e lascia crescere nella sua
pittura, malgrado l'incalzante ridondanza formale di taluni suoi ritmi,
l'effetto finale e complessivo che questi dipinti lasciano negli occhi
dello spettatore non distratto è quello, sempre, di una misurata,
sobria concentrazione sul tema poetico dell'uomo e del suo simulacro.
In tutta la sua opera vi è il sentimento vivo dell'essere pittore,
sensazione che non è data incontrare di frequente, purtroppo nel
nostro panorama pittorico. Un sentimento di responsabilità totale
verso un'arte accolta come scelta di vita. Un sentimento di puntigliosa
affermazione figurativa per il quale il problema dell'espressione non è
solo affare di gusto, non è solo naturale disposizione della mano,
quel che distingueva Zuccaro dagli altri pittori del suo tempo è
proprio questo. Gianni Zuccaro è stato un'artista che non ha esposto
altro che sè stesso, la propria solitudine, la ritrosità
ai riflettori di un successo non confacente alla sua filosofia di vita,
era per questo solito dire: "...calmi...che la pubblicità serve
solo a vendere quadri e non a migliorare la pittura..." . E questo clima
di sobrietà, questo "silenzio" lasciato negli occhi
occhi dal pur grande clamore delle tinte , dal concerto sonante dei suoi
gesti , è infine la maggiore , anche se più segreta, qualità
del suo lavoro. Gianni Zuccaro muore a Melegnano in estrema povertà
l'8 febbraio 1990, le sue povere cose saranno raccolte dalla moglie accorsa
per l'occasione, mentre viene donato alla locale associazione di pittori
il suo cavalletto. Egli avrebbe senz'altro intonato il motivetto del suo
tanto amato Carlo Porta che diceva così: "..comenza in prima a spacciugà
al pennel in la seggia del negher, e picciura la cà in dove sont
staa....la cà gh'ha ona porta scura....pover lu quell che va dent
! ...." |