Emilio Ferrari è un autore interessante e particolarmente attento,
l'obbiettivo è penetrante, acuto, riesce a instaurare, nel caso
dei ritratti, un rapporto costruttivo, di partecipazione attiva col soggetto
fotografato..... così Fausto Raschiatore esordisce sul catalogo
relativo alla mostra itinerante "Fotografia attualità e tendenze"
il cui allestimento della mostra ha raggiunto - nel 1997 - diverse località
italiane ed estere. Riallacciandoci alla sopracitata pubblicazione
della Nuova Arnica Editrice e rivisitando la monografia dell'Artista
"Emilio Ferrari, l'arte nella fotografia amatoriale" edita con i tipi della
Gemini Grafica snc. nel 1994. che compie un itinerario esaustivo
dei primi trent'anni di attività del Nostro, riteniamo di completare
con questo scritto la questione del "realismo", "l'essenza" indi la questione
dello "spazio e tempo" nella fotografia del Ferrari, letta attraverso le
sue fotografie naturalmente in bianco e nero. I'incipit della nostra incursione,
sull'arte amatoriale del Ferrari, inizia dal paradigma col quale "...Si
ritiene comunemente che la fotografia esprima fedelmente la realtà..."
espressa da alcuni precursori. Questa affermazione non può e non
deve, a mio avviso, essere accomunata al Ferrari che diversamente rappresenta
proprio il suo esatto contrario cioè una sorta di trasformazione
della realtà e oggettività della duplicazione fotografica
e la dimostrazione più palese si rinviene proprio analizzando le
stesse fotografie che l'Artista da diverse esposizioni propone, non da
ultima la presenza con " Images on the road by Giovenzana" a Milano, in
cui il Nostro ha esposto parte della tematica relativa ai ritratti.
Storicamente, proprio sull'espressione relativa alla fedeltà della
realtà Baudelaire, il poeta maledetto, affermava che la foto
era un mezzo in grado di uccidere ogni forma di creatività, capace
solo di condannare l'uomo all'ineluttabilità del dato immediato
ed evidente, un surrogato, quindi, dell'ideologia naturalista. In
antitesi a Baudelaire si situa la posizione dei positivisti, che esaltano
l'innovazione fotografica in quanto in grado di esprimere la funzione concreta
delle cose, laddove l'arte pittorica si dedicava alla ricerca formale,
all'immaginario. L'esaltazione della fotografia è relativa pertanto
alla sua capacità di trasmettere il reale così com'è
: in contrasto con quest'idea sorse il marginale movimento del pittorialismo,
che intendeva costruire fotografie artistiche a livello soggettivo , sulla
falsariga della pittura. La fotografia di Emilio Ferrari evidenzia
appieno il concetto di trasformazione del reale attuato dalla sua impronta
fotografica. Alla base di questo presupposto vi è la constatazione
che nelle fotografie dell'Artista melegnanese vengono poste in evidenza
immagini del mondo che sono ovviamente sempre parziali in quanto determinate
dall'angolo visuale scelto, e nello stesso tempo deformano il reale riducendone
le dimensioni percepite ed offrendo una sensazione puramente visiva.
Supportato da queste e altre considerazioni che vedremo successivamente,
la macchina fotografica, nelle mani del Ferrari, cessa di essere lo strumento
che rappresenta automaticamente il reale, per divenire un semplice fatto
di convenzione simile alla lingua. Il significato dei messaggi fotografici
del Nostro non sono oggettivi, ma culturalmente determinati. La fotografia
del Nostro è simultaneamente immagine riprodotta e atto che si esaurisce
in sè. L'immagine non può essere pensata separata dal suo
mondo costitutivo: essenzialmente in ciò consiste la dimensione
pragmatica di ogni prospettiva fotografica. Il fotografico è
in sè una categoria di pensiero in costante rapporto specifico con
segni, tempo, spazio, reale, soggetto ed essere. Nella Monografia
del 1994, vi è sostenuto che l'aspetto più importante del
dispositivo fotografico dell'Artista melegnanese sia stato il marchio che
contrassegna ineluttabilmente ogni sua pellicola fotografica. Ancor
prima, quindi, di essere un'immagine, la fotografia del Ferrari, è
un'impronta, una traccia, un marchio. Un marchio che appartiene a
quell'insieme di segni in grado di mantenere una relazione di connessione
reale con loro referente. L'immagine fotografica di Emilio Ferrari si riduce
essenzialmente ad un semplice taglio della realtà ed il fotografo
è colui il quale lavora, ha a che fare con questa recisione, passando
tutto ciò che le stà intorno al suo filtro per diventare
poi una sequenza di colpi usciti dalla sua "Reflex". A livello temporale
il taglio, che il Ferrari adotta, deve presupporre che il corso del
tempo non ha piu' senso agli occhi della fotografia, poichè l'atto
fotografico taglia, l'otturatore ghigliottina la durata, stabilisce in
altri termini un fuori tempo e della cosa fotografata non resta che un
ricordo di un arresto. L'atto fotografico fa morire chiunque sia
sorpreso in movimento, come Euridice nel momento in cui si volta Orfeo;
infine la sua temporalità è esclusivamente la temporalità
dell'istante, di un tempo senza precedente nè posteriorità.
E' così che Ferrari mette il fruitore nella condizione di sapere,
seppure a posteriori, i contenuti del seppur breve colloquio che c'è
stato al momento dello scatto e in camera oscura, durante la definizione
formale dell'immagine, tra autore e soggetto, senza distinzioni tra uomo
o donna, bianco o di colore, giovane o vecchio, grande o piccolo; E' imparziale,
non si lascia influenzare, è dotato di gusto estetico e sensibilità
sociale. L'impronta fotochimica è sincrona perchè tutti i
cristalli di alogenuro che compongono la trama puntinata della superficie
sensibile sono toccati simultaneamente e sono nello stesso tempo tagliati
dalla loro sorgente luminosa. Il procedimento avviene tutto d'un sol colpo:
tale sincronismo differenzia radicalmente la fotografia dalla pittura,
nell'ambito di quest'ultima il pittore appunto compone. Inoltre se il pittore
ha la possibilità di intervenire continuamente sulla rappresentazione
in atto, modificando, ritoccando, correggendo, nessuna possibilità
è diversamente concessa al fotografo, al quale è precluso
ogni intervento successivo al clic. Una volta che il taglio è
stato dato, tutto resta inesorabilmente fissato. Il lavoro della pittura
è interminabile, quello della fotografia istantaneo e tagliente.
La foto può anche essere intesa come tanatografia. La frazione
di secondo che cattura è eterna, sfugge alla temporalità
ed entra istantaneamente nell'altro mondo. In quell'attimo, in quel mentre,
in quel frammento, alla temporalità si sovrappone un'altra temporalità,
che è infinita nell'immobilità totale che nell'Autore si
rinvengono nei ritratti del tenebroso "Carlo Rivolta" e del poeta
"Guido Oldani" suo caro amico d'infanzia, oltre che nella tematica relativa
agli scatti dell’ex fabbrica Broggi Izar di Melegnano. L'atto fotografico
è quindi da una parte un'interruzione della continuità del
reale, dall'altra un attraversamento che consente il passaggio dal
tempo evolutivo al tempo fisso. Tale passaggio evoca ancestrali paure,
in esso possiamo possiamo ancora ritrovare il terrificante sguardi di Medusa,
che raggela ogni essere vivente che si sovrapponga al suo impietoso sguardo.
Ogni fotografia taglia nel vivo per perpetuare il morto: con un colpo di
bisturi, decapita il tempo, preleva l'istante e lo imbalsama sotto bende
di pellicola traspartente, in maniera piatta e bene in vista al fine di
conservarlo e preservarlo dalla propria perdita, così è il
sentimento che provo ammirando i "nudi di donna del 1995". La meravigliosa
potenza della foto del Ferrari è proprio quella di salvare oggetti
e persone dalla sparizione facendoli sparire. Circa il taglio spaziale
della fotografia di Emilio Ferrari, preliminarmente vi è da dire
che lo spazio fotografico, a differenza di quello pittorico, non è
dato, nè si costruisce gradualmente, ma come abbiamo già
detto, viene riempito improvvisamente dall'atto del fotografo, che
tronca il visibile e determina l'immagine come un tutto tagliando inesorabilmente
fuori vari aspetti che non compariranno nell'immagine. Sulla rivista "Foto
Cine 80" del giugno 95 compaiono ben cinque pagine dedicate a Ferrari dal
titolo "l'occhio del bianconero" titolo dal duplice senso in quanto l'Artista
melegnanese ritrae volentieri uomini e donne di colore evidenziando quella
parte di ritratto che meglio intravvede "....è tendenzialmente un
ritrattista riflessivo, cioè di quelli che pensano, di quelli che
non scattano se prima per una, dieci volte non hanno calcolato l'ambiente
le luci, l'inquadratura. E guardando i suoi lavori se ne ha conferma. Ritratti
di grande effetto, stampati magnificamente dopo prove e riprove fino all'esasperazione.
I suoi personaggi una volta fotografati e stampati sembrano continuare
a vivere sulla carta.....". Toranado ora ad analizzare l'inquadratura:
in quanto selezione lo spazio fotografico implica sempre un fuori-campo,
un residuo, un qualcosa che la foto non mostra ma che è altrettanto
importante di ciò che mostra, se non di più. Lo spazio assente
percepito come presente, entra in contatto con lo spazio fotografico, ogni
fotografia di Ferrari presenta una visione parziale che nasconde una presenza
invisibile. Si può infine dire che l'atto fotografico, ritagliando
una situazione di immobilità, mette fuori campo il tempo stesso,
che scivola, scompare, mentre rimane solo l'immobile.. |