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Dicius ovvero Detti e proverbi del Campidano di Sardegna
Introduzione

Candu no tenis nudda de fài – mi naràt sa bon’ama de babbu – scràffi su cù a is gattus”! (“Quando non hai niente da fare – mi diceva sempre la buonanima di mio padre – graffia il sedere ai gatti”! Un passatempo come un altro, più semplice di un cruciverba, ma più pericoloso, perché i gatti non sempre accettano certe carezze! Io invece, nei ritagli di tempo, mi sono messo a fare un gioco, meno pericoloso del graffiare il deretano ad un felino domestico, ma senz’altro più complicato di un semplice cruciverba: scrivere dei sardi, della loro storia, cultura e lingua. Le soddisfazioni che sopravanzano sono senza dubbio più appaganti dell’una e dell’altra cosa. Permane il rischio di annoiare chi legge le mie frioleras (facezie), ma non posso fare a meno di correrlo, perché altrimenti terrei tutto per me e chiuderei il discorso. Mi rincuora il pensiero che a tanta gente del Campidano, di Sardegna, d’Italia e…etc. etc.  potrebbe interessare conoscere il significato di certe espressioni tipiche della lingua sarda (e non solo): detti, proverbi, sentenze, massime, di un popolo che ha pensato tanto, ha detto tanto, ma ha scritto pochissimo! Nei detti e proverbi sono custoditi usi, costumi, insegnamenti, che segnano il tracciato lasciato in eredità dagli anziani alle giovani generazioni. I suggerimenti in essi contenuti costituiscono un tesoro di incalcolabile valore. Nella vita quotidiana indicano (o tentano almeno) come alleviare le sofferenze e lenire la miseria della povera gente e puniscono (almeno teoricamente) la tracotanza dei prepotenti. Ancor più i proverbi richiamano all’ordine costituito uomo – natura e uomo – Dio, e sono adattabili al passato, al presente ed al futuro. Essi hanno come sostanza l’esperienza umana: maestra di vita; sono nati con l’uomo, del quale hanno improntato la tradizione e le manifestazioni scritte: dai geroglifici egiziani, alla Bibbia, alle antiche scritture indiane, alle grandi letterature classiche della Grecia e di Roma antiche. Uno dei più grandi filosofi dell’antichità, Aristotele, li chiamò “axiòmata”, cioè principi della filosofia. Altri li hanno chiamati “parabolae”, cioè comparazioni, similitudini, metafore, allegorie. Si chiamano proverbi perché si adoperano in altro senso rispetto a quello propriamente letterale. Questa mia ricerca è in parte un “excursus memoriae”:  una rivisitazione dei miei ricordi, cioè di cose che io ho già sentito, ma su cui non mi ero mai soffermato ad una analisi approfondita. Uso la lingua del Campidano, perché per me è quella di origine. Per questa mi attengo alle regole della grammatica e della sintassi della lingua sarda, nella variante campidanese, pur con qualche sconfinamento fonetico. Non intendo qui soffermarmi alla “questione della lingua sarda”, più in là, apriremo un dibattito ad hoc, opportunamente predisposto.

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