parte quarta A
morri y a proi no serbit a pregai. Per morire e per piovere non serve pregare.
Il
proverbio si adatta a chi si trova in una situazione, nella quale le
preghiere
contano poco. È inutile quindi pregare per evitare la morte,
come è altrettanto
inutile pregare affinché (dopo tanta siccità) arrivi
finalmente la pioggia. Se
poi arriva il terremoto o il vaiolo o il colèra, le preghiere
servono ben poco
ad evitare il male. I sardi in genere hanno fede solida, ma non credono
assolutamente
che con l’intervento di Dio o di chi per lui, si possano evitare le
calamità
naturali. Spetta agli uomini prevedere e predisporre i ripari, quando
prevenire
è assai difficile. A nai
faulas po scì(ri) beridàdis. Raccontare frottole per sapere la
verità. Quando per
la nostra tracotante e incontenibile curiosità vogliamo sapere
la verità su un
fatto, da una persona, che invece non la vuole assolutamente rivelare,
aggiriamo l’ostacolo raccontando un sacco di bugie, per spingere
l’interlocutore reticente a mostrarci che i fatti sono andati
diversamente,
facendolo cascare nella nostra rete. A nci
bogai is de corti po arriccì is de
monti. Mandar via i
vicini per
ricevere i lontani. L’essere troppo ospitali con chi viene da lontano
può
portare a disguidi con i nostri vicini.
Per educazione civile e religiosa siamo tenuti ad ospitare gli
immigrati. Ma
non possiamo per questi trascurare i nostri vicini bisognosi. Questo
detto
poneva e pone moltissimi interrogativi. A orza
de crobu no morrit burriccu.
Per desiderio del corvo non muore l’asino. Nella vita
non possiamo pretendere tutto secondo le nostre voglie; ancora meno se
la
realizzazione dei nostri desideri si ricava dalle disgrazie degli altri. A
pagai a Santa Maria. A
pagare a Santa Maria. Il giorno di Santa Maria, 15 agosto,
segnava la chiusura dell’anno agricolo e quindi il saldo per i
braccianti, da
parte dei padroni delle terre. Oggi l’espressione è usata
diversamente:
infatti, quando uno reclama un debito, che non si vuole restituire, gli
si
risponde: “A pagai a Santa Maria”! Si aggiunge: “ A pagai a su mesi de
austu,
s’atru, pustis de custu”! = “A pagare al mese di agosto, l’altro, dopo
di
questo”! Come a dire: “ Alle calende greche”! A
pagai y a morri, nc’est sempri tempus. Per pagare e per morire c’è sempre
tempo. Quando un
debitore è assillato da un creditore, risponde così. E
aggiunge: “Pressixedda
tenis”! = “Quanta fretta hai”! A
pampàdas; a pei scrùtzu; a pei mìggia; a pei
incarèddu.
(A)carponi (dei bambini); a piedi scalzi; con un
piede nudo e l’altro con un calzino; a saltelli. Quando si incontrano
due padri
di famiglia o due madri e ci si chiede: “De acumenti
andaus”? (Come andiamo?) Spesso si risponde con una delle
precedenti espressioni, per definire l’andamento economico familiare
non del
tutto stabile). ( vedi: a lingua tira tira). A
perdonai si podit a iscaresci no! Perdonare si può, dimenticare no! Il
proverbio ha
bisogno di ben poche spiegazioni. Aggiungo che per i sardi è
assai difficile
anche perdonare o diciamo pure che per il perdono seguono le
indicazioni di
Sant’Agostino o, al massimo, concedono lo stesso perdono che Dante Alighieri (agostiniano), nella Divina
Commedia, accorda alle persone che tanta offesa a lui “recarono”. A
pentzai y a nai s’abarrat pagu, a fai
nci bolit meda. A pensare e a
dire
basta poco, ma per fare ci vuole molto. Il detto si adatta benissimo a
molti
uomini politici, che pensano tanto, dicono tantissimo, ma fanno ben
poco. A
poburu no depast, a Santu no
promittast. Paga il
debito ai poveri,
non promettere inutilmente ai Santi. Sono due avvertimenti, ai quali
nella vita
bisogna immancabilmente adeguarsi. A
pompa manna y a prexu.
In grande festa. Quando tutto va bene. Questa
espressione è usata in senso ironico per ricordare al povero,
che per un certo
periodo di momentaneo benessere si è lasciato andare alle feste
ed ai bagordi,
senza pensare al ritorno alla normale povertà. Ma anche al ricco
che ha
dilapidato in feste e banchetti le sue sostanze e si ritrova in
miseria. Si
dice anche da parte dei provinciali (bidduncus = abitanti dei paesi),
nei
confronti dei cagliaritani (casteddaius = abitanti della città):
“ Guardali, il
giorno della paga (stipendio), sono in grande festa( a
pompa manna y a prexu), poi, per il resto del mese sono in
miseria (càscanta
famini). A
sa beccesa camisas arrandàdas. Alla vecchiaia camicie col
pizzo. Forse nel
tentativo di nascondere le rughe. I sardi sono comunque orgogliosi
delle rughe,
perché sono segno di grande esperienza e simbolo di saggezza. Il
detto si usa piuttosto
per definire le situazioni economiche della vita: quando si è
giovani e si ha
bisogno di molti soldi, per farsi una famiglia, per farsi la casa, etc.
etc. i
soldi sono pochi (camicie del mercatino rionale); quando si è
anziani talvolta
si hanno più soldi che in gioventù. Il detto di risposta: Deus donat su cixiri
a ki no portat dentis. Dio da i ceci a chi
non ha i denti. Per dire che quando si ha l’entusiasmo di realizzare
qualcosa,
manca la possibilità economica. Spesso invece, c’è la
possibilità economica, ma
manca il coraggio o la capacità. A sa
mammai camisas arrandàdas, a su
babbai proceddeddus cottus y a sa/u pippia/u bellas
nadiàdas. Alla
mamma camicie col pizzo, al babbo maialetti arrosto,
al(la) bambina/o sonori
sculaccioni. Come a dire: a ciascuno il suo! È uno
scioglilingua, che viene
canticchiato (imbàbapippìus),
per
intrattenere i bambini. La scena: il babbo porta il (la)bambino/a (o i
bambini,
anche due o tre) sulle ginocchia e intona il ” trallalero”: y a sa mammai… A sa moda de Gavoi: moi po moi. Come a Gavoi: moggio per moggio. Che
significa: un
moggio di grano seminato, un moggio raccolto. Sta a mettere in evidenza
quanto poco
renda agli agricoltori il lavoro dei campi. Si usa questo detto anche
per
definire situazioni diverse dal lavoro dei campi: circostanze in cui si
ritrovano, contadini e non, che lavorano tanto per un misero raccolto. A
santu setzidì in domu.
A santo”siediti”a casa. Per i nostri nonni e per le
loro famiglie, l’unico modo di uscire dal proprio paese era di andare
alle
feste dei paesi vicini: feste religiose e popolari, sempre comunque in
onore
dei Santi; ci si recava nei rispettivi santuari: Santu
Sisìnni (Sisinnio) di Villacidro, Santu
Luxòri (Lussorio) di Arbus, Santa Vida (Vitalia)
de Serrenti e de Biddesorris (Villasor), Santa Mariacquas
de Sardara, Santa Maria de Guspini,
Sant’Antoni (Antonio) de Santadi, Santu Irorxu (Giorgio)
de Guspini, Nosta Sennora de Bonaria de
Marceddì, Sant’Arega (Greca) de Deximu
(Decimomannu), Santu Nigoba (Nicola) de Arcidano, Santu Sidoru (Isidoro) de Pabillonis, Santa
Sera (Severa) de Gonnus (Gonnosfanadiga), etc.
etc.
Erano i figli che solitamente, il giorno della vigilia, chiedevano al
genitore:
“E crasi babbai a cali festa andaus”?
“E domani, babbo, a quale festa andiamo”? Risposta: “ Andaus a sa festa de santu
setzidì in domu”! “Andiamo alla festa
di santo siediti in casa”! A
si da ghettai de paba in coddu. Dalla spalla all’omero. È
la situazione in cui
si trovano due persone invischiate in un affare poco pulito e una volta
scoperti si accusano a vicenda. Situazioni del genere capitano spesso
tra
bambini e tra ragazzi, talvolta anche tra adulti. A si
dhu torrai Deus. Che
Dio possa rendervelo. È un ringraziamento di
cuore di chi riceve un bene di cui ha tanto bisogno, ma scarse
possibilità di
renderlo. A si
dhu torrai in domu nosta. A buon rendere. È il ringraziamento
di chi riceve
qualcosa in casa d’altri ed è pronto a renderlo in casa sua. A si
fai sa gruxi de manu ‘e manca.
Farsi il segno della croce con la mano sinistra. Il
gesto, a quanto ho appreso da alcuni
anziani, sta ad indicare lo scampato pericolo. Ma non ho capito
il
perché del segno della croce con la sinistra, semmai il
contrario! Altri invece
hanno detto che si tratta del gesto di uno che, per scampare eventuali
pericoli, invoca, tanto insensatamente, quanto inopportunamente, non
Dio ma il
suo contrario. A si
pesai in kintas.
Alzarsi in cinte. È proprio della persona che pecca
d’orgoglio e si altera oltremodo, invece di mantenere la calma, anche
se ha la
ragione dalla sua parte. Quand’ero ancora un bambino e discutevo
animatamente
con mia madre per qualcosa su cui vantavo la ragione, alterandomi
più del
necessario, mi rispondeva: “Mancai ti
pesist in kintas, cun mimi, cussu puru nci perdis”! “Anche
se ti alteri,
con me, ci perdi anche quello”! |