Racconti e leggende del Campidano e Dintorni
“Antioco Cipolla” Eroe del Carso
Bombòh...Valìgia
Nel piazzale della chiesa, prima dell’uscita del Santo per
la processione, sfilò, con fare da esperto, un petardo dalla grossa
faretra, che portava a tracolla e reggendolo in verticale con indice e
pollice della sinistra , diede fuoco con la brace del sigaro, sempre acceso,
in bocca, per l’occorrenza e a fuoco dentro, per abitudine presa in guerra
e: “Schhh...! E noi bambini, disposti intorno a lui, con tono sommesso:
“Valigia”..! - “Boomhh”..! E noi, in contemporanea: “ Bombòh”..!
Rotò il collo bovino, da destra a sinistra e viceversa, con occhi
ferini: gli era parso d’aver udito il suo soprannome. E noi lì a
sorridere irriverenti. Nell’incertezza, fissò lo sguardo truce nel
vuoto mugugnando incomprensibili imprecazioni. Un altro petardo: “Schhh”..!
- “Valigia”..! - “Boomhh”..! - “Bombòh”..!
Il nostro sorriso da
impertinenti lo mandò su tutte le furie ed il suo urlo da tricheco
ci mise in fuga come lepri. Dopo un po’ tornammo a lui, però con
contegno più riguardoso. Lo chiamavamo Antioco, Cipolla di soprannome,
perché così si chiamavano il padre ed il nonno, ma il loro
vero cognome era Sitzia. Nato in un tugurio di via Forraxeddu e allevato
come un animale, come tale era cresciuto, apprendendo ben presto a badare
da solo all’unica, necessaria esigenza e soddisfazione della sua esistenza:
riempire la pancia. A scuola non c’era mai stato; sapeva che quella era
solo per i signori, non per i poveracci e tanto meno per i pezzenti del
suo rango. Era venuto su un giovane di uno e sessantacinque di statura,
con braccia e spalle possenti e collo bovino. A queste caratteristiche
da lottatore faceva riscontro un animo docile e mansueto: rispondeva alle
domande con un sì o con un no; si prestava ai più umili lavori,
come la pulizia delle latrine, ai più pesanti, anche per mettere
in mostra i suoi muscoli; preferiva stare coi bambini, coi quali si sentiva
a suo agio, nonostante il rischio della derisione. Alla visita militare
di leva lo scartarono per il giudizio di non idoneità mentale, infrangendo
il sogno, per lungo tempo covato in petto, di indossare la divisa. Allo
scoppio della Prima Guerra Mondiale, le prime feroci e sanguinose battaglie,
sul fronte italiano, nel 1915, furono per lui l’evento, che segnò,
almeno provvisoriamente, la fine della sue sventure: richiamato infatti
alla visita militare, fu riconosciuto idoneo di prima categoria al servizio
ed arruolato. Alcuni mesi dopo, in seguito a breve addestramento, si trovò
sul fronte di guerra, in prima linea. L’inverno del “16 fu molto rigido,
ma lui sembrava abituato anche al freddo dell’Altipiano. Il rancio era
insoddisfacente, ma finiva di riempire la pancia con gli avanzi dei commilitoni
schizzinosi. Imparò ben presto anche a bere il Grappa ed a scolarsi
il quartino del compagno astemio. Fumò il primo sigaro ed imparò
a tenerlo acceso “a fuoco dentro”. Ebbe anche gli scarponi, per la prima
volta in vita sua, e li tenne con grande cura. Per naturale docilità
si affezionò ai compagni, che spesso lo deridevano per l’ingenuità,
ma non se ne accorse mai! Anche per lui arrivò il giorno del primo
assalto. Lo videro saltare i fossi, superare le balze ed i cespugli, con
la sua andatura da scimmione, in mezzo alla mischia: fucile 91 in braccio,
baionetta inastata, nella furia dell’assalto: “A Savoia, a Savoia! - e
lui - Aiohh, a boccì brebeis”! (“aiohh, ad ammazzare le pecore”!
Pareva più un cinghiale ferito contro la muta dei cani, che un essere
umano con la divisa di soldato. Nelle cose della vita imparava sempre tardi,
lì dopo il primo assalto era già un veterano. I compagni
finirono di schernire quel giovanotto dalle spalle possenti, il collo bovino
e l’andatura da scimmione, anzi evidenziarono spesso il desiderio di stare
vicini a lui durante il rancio. Ai successivi assalti era sempre lì,
tra i primi: 91 in braccio, baionetta inastata: “Aiohh, a boccì
brebeis”! Quel sardaccio era una furia scatenata ed i superiori lo additavano
come esempio. Prima dell’assalto non mostrava segni di umano smarrimento
come gli altri, appariva invece trepidante per l’attesa: “Aiohh, a boccì
brebeis”! Era ammirato e si sentiva felice; lo chiamavano eroe ed i suoi
occhi brillavano di gioia, anche se non capiva che cosa veramente significasse,
quella parola, ma percepiva che era qualcosa di grande e d’importante:
“Aiohh, a boccì brebeis”! La sua baionetta pungeva come i tanti
pungiglioni di uno sciame di gigantesche api. Durante le tantissime sortite,
fu ferito ben quattro volte, la quarta in modo grave: il proiettile di
un fucile asburgico passò da parte a parte il suo costato sinistro.
Fu soccorso e riportato al campo; la ferita era seria, ma i danni causati
non erano irrimediabili, non per lui almeno. Giacque per diverso tempo
in un lettino dell’ospedale militare di Mestre. L’infermità del
corpo non gli impediva tuttavia di essere con la mente in prima linea,
all’assalto, con i compagni di quella avventura, terribile per tutti, ma
non per lui: “Aiohh, a boccì brebeis ”! Ed i compagni lanciati all’assalto
sentivano la presenza virtuale di quel sardaccio, dall’andatura di scimmione,
spalle possenti e collo da bue: “Aiohh, a boccì brebeis”! E venne
il giorno dell’ultimo assalto, più feroce e disumano del solito
e quei coraggiosi della Brigata Sassari misero in evidenza la generosità
e lo spirito patriottico del Popolo Sardo: “A Savoia, a Savoia; aiohh,
a boccì brebeis”! Gli Austriaci non resistettero a tanta tenacia
e spirito combattivo. Pur proposto per la medaglia, a prova di tanta abnegazione,
Antioco non ricevette alcuna decorazione e noi ancora oggi ci chiediamo
che cosa possa essere successo, ma da parole che lui andava spesso mugugnando
e che riecheggiavano i giorni della guerra e gli assalti esasperati e le
urla dei feriti e dei morenti ed il fragore della battaglia, trasparivano
i fatti di un episodio che nella sua mente rimaneva ingarbugliato e vago:
un punto di domanda, che sarebbe stata per sempre senza risposta. –“Durante
il rientro al campo da una furiosa battaglia nel tardo autunno del 1917,
Antioco, per sua disavventura, trovò, nei pressi di un anfratto,
il corpo riverso di un giovanissimo tenente austriaco, ormai cadavere per
un evidente squarcio rossastro in pieno petto. Avendone ammirato i lineamenti,
il pallido volto marcato da due bellissimi occhi celesti, sbarrati, che
cercò inutilmente di chiudere, la divisa perfetta, elegantissima,
la sciabola lucente, dal manico argenteo, che non prese per rispetto; il
suo sguardo fu attirato dagli stivali, perfetti, lucidissimi come mai ne
aveva visti. Avvicinato il suo scarpone infangato, constatò con
gioia che la taglia era la stessa, giusta, giusta. Li desiderò e
tentò di sfilarglieli; tanto a lui non sarebbero più serviti.
Ma le gambe erano ormai irrigidite e non uscivano, nonostante i diversi
tentativi. Prese con decisione il coltello e le recise all’altezza del
ginocchio. Durante la macabra operazione ebbe qualche scrupolo ma, non
notando segni di sofferenza da parte del morto, continuò! Infilò
poi nello zaino gli stivali con le gambe dentro e dopo uno sguardo quasi
di scusa a quel pallido, bellissimo volto, riprese la corsa verso il campo.
Né allora, né mai avrebbe potuto percepire d’aver fatto qualcosa
d’inconsulto. Il suo gesto non fu condiviso da un capitano piemontese,
che per quello, per lui, orrendo scempio, minacciò di portarlo davanti
alla corte marziale. Per sua fortuna la presenza del suo tenente sardo,
che di lui sapeva tante cose…, servì a scongiurare il peggio: “Mannaggia
Antioco, mannaggia, che mi hai combinato”? Gli andava ripetendo. “No, no!
Signor tenente, non era mannaccia,(1) era
giusta, giusta per il mio piede”! Nel 1919, il rientro a casa per i sopravvissuti
fu motivo di indescrivibile gioia; per lui fu il ritorno allo stato animalesco,
nel quale era nato e cresciuto: quel sardaccio, dalle spalle possenti ,
collo bovino e andatura da scimmione, era tornato a pulire latrine! --
I rintocchi delle campane annunciarono l’uscita del Santo dalla chiesa
e l’inizio della processione e noi ragazzi dell’Azione Cattolica, in doppia
fila davanti al Santo, con Antioco che ci precedeva di alcuni metri...
un altro petardo: “Schhh..! - “Valigia”..! - “Boomh”..! - “Bombòh”..!
Al rimbombo dei petardi negli occhi lucenti del sardaccio si snodava una
magica moviola di soldati lanciati all’assalto, tra le balze , i cespugli
e le forre del Carso, 91 in braccio, baionetta inastata: “A Savoia, a Savoia”!
- “Aiohh, a boccì brebeis”..!
Sitzia Antioco, di
Peppino e di Concas Giuliana, nato a Gonnosfanadiga il 5 novembre del 1893.
Alla visita militare di leva fu giudicato non
idoneo per deficienza mentale.
Già riformato, fu rivisitato
nel 1915, giudicato idoneo di prima categoria ed arruolato col
n° 39603 di matricola. (N.d.e.:
potenza taumatutgica di una dichiarazione di guerra!)
Nel novembre dello stesso anno si trovava già
in territorio di guerra.
Quando morì, nel 1967, godeva
unicamente della pensione sociale. (N.d.e.:
così la Patria ringrazia!)
(1) significa di taglia
superiore. |
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