Febbraio:
Freardzu - Friaxu.
Dal latino februarius.
Per gli antichi romani era il mese della purificazione, dedicato ad una
antica divinità etrusca, Februus,
il dio degli inferi, al quale si offrivano sacrifici, verso la metà
del mese. Sino all’epoca dei decemviri (decemviri legibus scribundis –
Roma 453 – 449 a.C.), Februarius era l’ultimo mese dell’anno. A Februa
dea della purificazione, erano dedicate le solennità religiose del
le idi di febbraio. Si tratta della dea Giunone Februata, moglie di Giove,
dea dell’opulenza e della purificazione, celebrata appunto nei Lupercalia
(13/14– idi – di febbraio)o feste della purificazione. Il nome sardo del
mese, Friaxu
(camp.) freardzu
(log.), a parte frebariu
della parlata di Nuoro, potrebbe non derivare da Februus, bensì
da frius
= freddo: è infatti il mese più freddo (friaròsu)
dell’anno.
14 febbraio: San Valentino.
Sotto questo nome, nel Martirologio Romano,
alla data del 14 febbraio, vengono ricordati due martiri cristiani: un
sacerdote romano, decapitato sulla Via Flaminia, sotto l’imperatore Claudio
II, nel 270 d. C. e un vescovo di Terni, decapitato a Roma nel 273. A prescindere
dalla questione dell’identità tra i due martiri, è certo
che il culto di San Valentino in Roma ha tradizioni antichissime. Lo conferma
persino l’esistenza del Cimitero di San Valentino, sulla Via Flaminia.
È molto interessante l’interpretazione popolare data alla
festa di San Valentino, divenuto il Patrono degli innamorati; forse in
base alla credenza, diffusa nel Medioevo, soprattutto in Francia ed in
Inghilterra, che il 14 Febbraio, gli uccelli cominciano ad accoppiarsi:
preludio alla Primavera!
Nell’alba radiosa della Letteratura Italiana,
si inserisce perfettamente la poesia della Scuola Siciliana e proprio al
“Patron” della Scuola, l’imperatore Federico II (di Svevia), si deve la
proposta di Tenzone Poetica, cioè sfida, tra i migliori poeti della
Scuola: Jacopo Mostacci, Pier della Vigna e Jacopo da Lentini( vedi nel
Web – Letteratura Italiana - La Scuola Poetica Siciliana): l’argomento
proposto è l’AMORE! Verso e rima sono quelli del “sonetto”: 14 versi
endecasillabi, suddivisi in due quartine (ottastico), a rima alternata
(AB/AB) o baciata(AA/BB) o combaciata(AB/BA)
e in due terzine (esastico), (CDE/CDE
o CDC/DCD o CCD/DEE).
.
l'Amore
Mostacci scrive che l’amore è solo
piacere
“Sollicitando un poco meo savere
E con lui mi volendo dilettare
Un dubbio che mi misi ad avere
A voi lo mando a determinare.
Ogn’uom dice ch’amor ha potere
E li coraggi ristringe ad amare
Ma no li voglio consentire
Però ch’amore no parse mi pare
Ben trova l’om una morositate
La quale par che nasca di piacere
E zò vol dir om che sia amore;
e no li saccio altra qualitate,
ma zò da voi lo voglio audire
però ven faccio sentenziatore.
|
Piero della Vigna scrive che l’amore è
solo sentimento spirituale
“Però ch’amore non si po’ vedere
E no si tratta corporalmente
Manti ne son di si folle sapere
Che credono ch’amor sia niente
Ma poi ch’amore si face sentire
Dentro dal cor signoreggia la gente
Molto maggiore presio deve avere
Che se “l vedessen visibilmente.
Per la virtude de la calamita
Come lo ferro attira no si vede
Ma si lo tira signorevolmente
E questa cosa a credere m’invita
Ch’amore sia, e dami grande fede
Che tuttor sia creduto tra la gente.
|
Jacopo da Lentini scrive: “Il vero
amore è piacere e sentimento insieme”!
“Amore è un desio che ven dal core
Per abbondanza di gran piacimento;
e gli occhi in prima generan l’amore
e lo core gli da nutricamento.
Ben è alcuna fiata om amatore
Senza vedere so innamoramento
Ma quell’amor che strigne con furore
Da la vista de li occhi ha nascimento;
che gli occhi rappresentan a lo core
d’onni cosa che veden bono e rio
com’è formata naturalmente
e lo cor, che di zò è concepitore
imagina e li piace quel desio
e quest’amore regna tra la gente.
Jacopo da Lentini nella letteratura europea è
conosciuto come l’inventore del sonetto. |
Versione in prosa in Lingua italiana (Peppe)
“Stimolando tutte le mie conoscenze
e la mia sensibilità
E indagando così per piacere
e per gioco
Mi è venuto un grosso dubbio
Che però rimando a voi per
arrivare ad una soluzione.
Tutti dicono che l’amore ha il potere
Di costringere ad amare anche i
più coraggiosi,
ma io non voglio accettare questa
diceria,
questo amore io non lo conosco.
L’uomo trova un solo amore
Ed è solo quello che nasce
dal piacere:
è questo l’unico vero amore.
Non gli riconosco altra qualità.
Ma voglio sentire il vostro parere,
perciò rimando a voi il
giudizio.
|
Poiché l’amore non si può
vedere
E non è una cosa materiale
Molti credono, in modo errato
Che l’amore vero non esista;
ma quando l’amore si fa sentire
domina il cuore della gente
ed ha un pregio maggiore
di qualsiasi cosa visibile.
E come il potere della calamita
Che attira il ferro e non si vede
come,
ma si lo attira con grande fermezza.
Questo fatto mi spinge a credere
Che questo sia l’amore, e credo
senza dubbio,
che la gente la pensi come me.
|
L’amore è un sentimento
che nasce dal cuore
E dà un grandissimo piacere:
sono gli occhi che prima danno
vita all’amore,
ed il cuore gli da nutrimento.
È vero che talvolta l’uomo
ama
E non s’accorge del suo innamoramento
Ma l’amore che stringe con furore
Nasce proprio dagli occhi.
Sono gli occhi che portano al cuore
Tutto ciò che è bello
e brutto,
così come la natura lo presenta;
ed il cuore, che riceve quel impulso
accetta con piacere quel sentimento:
per la gente questo è il
vero amore!
|
Lo stesso imperatore Federico II, giudicò
vincitore il “sonetto” di Iacopo da Lentini, perché meglio rispondente
alla concezione comune dell’amore. Da Adamo ed Eva ad oggi, l’Amore
è l’essenza della vita degli esseri umani sulla Terra, e principio
della Intera Umanità (leggi in Rime del Campidano e Dintorni :
“Sa Nêa de su Mundu” – trilogia ).
17 febbraio: Di primo meriggio, Gonnosfanadiga
e Cagliari furono sottoposte ad un violento bombardamento, da parte della
Aviazione Americana.
I
quel primo meriggio del 17 febbraio 1943, uno spesso strato di nuvole ricopriva
la Sardegna Meridionale, mentre, quasi per fatalità, sopra il centro
abitato di Gonnosfanadiga, il sole proiettava liberamente i suoi raggi,
invitando la gente ad uscire di casa, per godersi quel tepore quasi primaverile.
Nessuno mai avrebbe potuto immaginare che quel cielo limpido nascondesse
una terrificante tragedia. Improvvisamente, dalla penombra della montagna,
apparvero 12 bombardieri americani B25 “Mitchell” (fortezze volanti) del
310° Bomb Group, disposti in volo su tre file e tre di loro sganciarono
il loro carico di morte sul paese: 588 spezzoni da venti libbre ciascuno,
molti dei quali colpirono in pieno il centro, causando un vero e proprio
massacro di vite umane: 83 morti, di cui 43 ancora in tenera età
e più di 150 feriti, alcuni del quali moriranno in seguito. Il sangue
di tanti innocenti irrorò le strade di Gonnosfanadiga: Fu un fatale
errore? Molti hanno intraveduto in quel atto non insolito, un punto del
programma della strategia americana, tesa a creare confusione e panico
nella gente. Altri effondono vaghe giustificazioni: “Erano inseguiti dai
Caccia Tedeschi”, pertanto si erano liberati del pesante carico”! Ma solo
tre e gli altri invece? Scaricheranno il loro carico di morte, 20 minuti
dopo nella città di Cagliari! Intanto facciamo notare che tra i
morti ed i feriti di Gonnosfanadiga, parecchi risultavano colpiti da proiettili
di mitragliatrice, ed ancora oggi in alcuni muri delle case di Via Marconi
e di Via Cagliari, rimangono visibili i segni delle schegge delle
bombe a frantumazione, ma anche dei proiettili delle mitragliatrici di
bordo! Qui è opportuno inserire due delle tante testimonianze,
che costituiscono prova inopinabile delle cattive intenzioni degli americani:
1^) A. S. (non c’è più); “ Era l’estate del 1943, verso metà
luglio, in territorio di Spadula ( che si trova proprio al centro del Medio
Campidano), in agro di Gonnosfanadiga, alla guida di una mietitrebbia,
nonostante fossi giovane di 23 anni. Verso le 10 del mattino, improvvisamente
tre “caccia” americani, li riconobbi dalla sagoma, sorvolarono il territorio,
a bassa quota, proprio sopra la mia testa. Rimasi ad osservarli, forse
per curiosità o forse per diffidenza. Ad un certo punto uno dei
tre si staccò dal gruppo, volteggiò nell’aria con la chiara
intenzione di tornare indietro. Infatti puntò nella direzione della
mietitrebbia. L’istinto e qualcos’ altro mi avevano spinto ad abbandonare
velocemente la macchina e a rifugiarmi nei cespugli vicini. Il caccia puntò
verso il bersaglio: Scorsi il fumo del cannoncino di bordo e subito dopo
la mietitrebbia in frantumi. Salutai con la riverenza del “gesto del braccio”
seguito da una serie infinita di parolacce (a sa sadra) il pilota
dell’aereo e l’America Intera”! 2^): R. C. ( non c’è più
- giugno del 1943): Stavo rientrando a casa, col piccolo gregge; ero proprio
vicino alle sorgenti di Nitzas( oggi sorgente di Madre Teresa, due km.
a est del centro abitato di Gonnosfanadiga), allorquando mi passo in testa
la sagoma di un aereo americano, lo riconobbi subito. All’improvviso vidi
che cambiava direzione e da lontano mi accorsi che tornava verso di me.
Mi buttai dentro un vecchio bacino per acqua, ma vuoto, ai limiti della
strada. Capii che il pilota si era accorto della mia mossa; scivolai, con
la velocità del fulmine, fuori dal bacino gettandomi dentro una
siepe. Un lato del bacino andò in frantumi, colpito dal proiettile
del cannoncino dell’aereo, ed ancora è così, a distanza di
50 anni, a testimonianza di quanto vi ho detto”!
Sappiamo che l’Italia era nemica in guerra
degli americani, ma ciò non giustifica assolutamente la loro “amorevolezza”
nei confronti della popolazione civile!
Credo infine che la vera spiegazione di tutto
quanto sopra si trovi nelle parola “guerra” ed in tutto ciò di orrendo
che essa comporta. Pure se sono trascorsi 67 anni, gli spazi lasciati vuoti
da quel bombardamento sono ancora umidi di lacrime; e non chiedono più
misericordia e neppure giustizia, ma protestano con vigore contro quelli
uomini, ai quali è ancora gradito il termine “guerra”!
Il 17 febbraio 1993, a 50 anni dall’eccidio,
il Comune di Gonnosfanadiga dedicò ai caduti del bombardamento una
statua in bronzo “ la Pietà Sarda”,
opera dello scultore Efisio Cadoni di Villacidro: fu eretta nella ex Piazza
Mercato, ribattezzata Piazza 17 Febbraio, all’altezza dell’incrocio tra
la Via Porru Bonelli e la Via Roma, teatro di uno dei punti più
palesi del massacro.
Anche io, per quel evento, volli
dedicare una mia rima: Su 17 de Friaxu de su corantatresi – cantzoni sarda
– ballàda campidanesa. (il 17 febbraio del 1943 – canzone sarda
– ballata campidanese.
De su bombardamentu s’annu, sa dì,
su mèsi Su dexesètti ‘e friaxu de su corantatrèsi
No eus a scaresci mai!
In Pratz’’e su Marcàu dho-y hat u’ monumèntu:
“Una mamma in bratzus stringit forti, forti
su fillu, spedditzàu de su bombardamèntu”!
in arregòdu de una dì de mala sorti:
de xelu sa morti – calàda
fiat in Gonnus,
intendiu iant is tronus – in s’airi
lucenti
e po-y cussa genti – una dì
de arregodài!
A is tres ‘e merì, doxi aeroplanus
cumparrint in s’airi limpia e sulena,
no funti de is nostus, ma americanus,
de bombas portant sa brenti beni prena:
dolori e pena - de su xelu puliu
a mannu e pitiu – donant e tristesa
e de tanti mabesa – sinnu hant a
lassai!
Calant in sa ‘idda ‘e s’umbra ‘e su monti,
ghettant su ‘iaxi de bombas e spetzonis,
su fumu s’indi pesat de s’unu a s’atru ponti,
lassendi in custu logu mortus e distrutzionis,
de pippius e hominis – su sanguni
innotzenti
iscurrit callenti – me is pratzas
e bia, bia,
isprama e timorìa - po sempri
hat a abarrài!
Ita mali hadi fattu su populu gonnesu,
po si deppi minesci una tali punitzioni,
e is americanus, benius de tesu, ‘e tesu
poita tirriànta aici custa popolatzioni?
No nc’esti spiegatzioni - est nexi
‘e su distino,
populu miserinu - de aici podit èssi
:
« Est ca teniant prèssi -
is Moiras de fibai » !
De aici funti fattas is cosas de su mùndu:
tottu in dh’una ki seus in prexu y allirghìa,
arribat propiu s’hora de su sperevùndu
e nosi toccat prantu, dolori e tribulìa:
de Gesusu e Maria - su nomini tzerriaus,
a manus giuntas pregaus - tristus
e timorosus,
cun is ogus lambrigosus - po nosi
meraculài!
Poita tanti tirria in sa facci ‘e sa Terra,
e no teneus mai paxi e trankillidàdi?
Sempri inveci seus in certidu e gherra,
poita eus scaresciu pedronu e bonidàdi!
Sen’’e tzivilidàdi - sempri
accarrabulàus,
ke canis iscappiàus - bessius
de cadèna,
pistu si ‘onaus e pèna - amori
no teneus mai !
De s’annu, sa dì, su mesi, de su bombardamèntu,
In sa menti ‘e is gonnesus unu pentzamèntu,
Po sempri hat a abarrai !
Su dexesetti ‘e Friaxu de su norantatresi.
Peppi |
Traduzione (letterale)in italiano
L’anno, il giorno, il mese del bombardamento,
del 17 febbraio del millenovecentoquarantatre,
non dimenticheremo mai!
(canzone sarda – ballata campidanese)
In Piazza Mercato c’è un monumento:
“Una madre stringe forte fra le braccia
il figlio dilaniato dalle bombe”!
In ricordo di un giorno di grande sventura:
dal cielo la morte – scese in Gonnosfanadiga.
Si sentì un frastuono – nell’aria luminosa
E per quel popolo fu – un triste giorno da ricordare!
Alle tre del meriggio, dodici aeroplani,
compaiono nell’aria limpida e serena,
non sono dei nostri, ma americani,
hanno di bombe la pancia piena
dolore e pena – porteranno e tristezza
e di tanta cattiveria – lasceranno la prova!
Picchiano sul paese dall’ombra della montagna,
gettano il carico di bombe e spezzoni,
il fumo si leva dall’uno all’altro ponte
lasciando in questo posto morte e distruzioni.
Di bimbi e d’adulti – il sangue innocente
Scorre caldo – nei cortili e nelle strade,
spavento e terrore – rimarrà per sempre!
Che male ha fatto il popolo gonnese,
per meritarsi una simile punizione?
Gli americani venuti da lontano,
perché odiavano tanto questa gente?
Non c’è spiegazione – è colpa del destino,
popolo sfortunato! – Solo così può essere:
“E’ che avevano fretta – le Parche di filare”!
Così sono fatte le cose del mondo:
nel momento in cui siamo in allegria e felicità
arriva l’ora di cadere nel baratro senza fondo,
e rimangono lacrime, dolore e angoscia:
di Gesù e Maria – invochiamo il nome,
pregando a mani giunte – mesti e spauriti,
con gli occhi in lacrime – chiedendo il miracolo!
Perché tanto odio sulla faccia della Terra?
E non abbiamo mai pace e serenità?
Sempre invece siamo in lotta e in guerra,
poiché abbiamo smarrito il perdono e la bontà!
Senza civiltà – sempre accapigliati
Come cani slegati – usciti di catena
Dolore ci diamo e pena – e mai un po’ d’amore!
Dell’anno, del giorno, del mese del bombardamento,
nella memoria dei gonnesi un ricordo angosciato
rimarrà per sempre!
Il 17 febbraio del 1993
Peppe |
Abbiamo anzitempo raccolto, su quel tragico
episodio, diverse testimonianze: 1^) E. S.
(di anni 89 al 2009) – “Avevo appena finito di lavare i piatti e mettere
a posto la cucina, allorquando mi attirò fuori dall’uscio di casa
un forte rombo di aerei. C’era con me una giovanissima signora, A. P. di
Decimomannu, moglie del sergente N. de B. del reparto artiglieria dislocato
nelle casermette di Campo Scuìddu (i cui ruderi esistono ancora,
all’uscita del paese, lungo la Strada Statale per Villacidro). Nell’osservare
le sagome argentee provai meraviglia, poiché sembravano uscite dalla
montagna e le contai a voce alta: - tre, sei, nove, dodici..La giovane
donna, al mio fianco, visibilmente turbata esclamò: “ Gesù
mio, non sono dei nostri”! Subito dopo si udì il crepitio delle
esplosioni ed una nuvola nera di fumo si alzò sui tetti delle case.
Le sagome lucenti scivolarono via nascondendosi dentro le nuvole. Nella
paura scappammo via, dimenticando persino i nostri due bambini, che rimasero
tranquillamente a giocare sopra un mucchio di sabbia.
2^) A. C. (non c’è più): “Ero
appena rientrato al lavoro, in falegnameria, in Via Porru Bonelli, quando,
poco prima delle tre del meriggio, si sentì un forte rombo, che
mi parve un tuono, anche per i nuvoloni che si ergevano a ponente. Mi resi
conto subito che si trattava di aerei, si udì un suono di ferraglia
e subito dopo le esplosioni. Rimasi pochi istanti in riflessione e poi
via di corsa verso casa, per la Via Cagliari, seguendo la scia del fumo
nero che si alzava dai tetti. Nei pressi della casa del sig. S. F. mi si
presentò agli occhi una scena agghiacciante: corpi riversi, dilaniati,
resti umani, frammenti e sangue dappertutto. Una giovanissima donna, G.
G. chiedeva in lacrime che le restituissero le gambe completamente maciullate.
Arrivavano in soccorso altre persone ed io mi presi cura di un bimbo, che
in pianto mi indicava il suo braccino penzolante (A. G.). una donna poco
più avanti andava raccogliendo in un cestino, in preda alla più
completa confusione mentale ed al terrore insieme, i resti della sua bimba
( A. E. ). Lì vicino giaceva il corpicino di un altri bimbo, ormai
privo di vita( A. S.). Poco più avanti altri tre bambini (i fratelli
A.)erano a terra in pianto per le numerose ferite riportate (tuttavia non
mortali). E via veloce a casa, oltre il torrente Rio Piras. Per fortuna
lì le bombe non erano cadute”!
3^) B. P. (non c’è più): “ Stavo
ripulendo la cucina, c’era anche mio marito; i nostri due bambini G.
e L. giocavano tranquillamente nell’orto antistante la casa, nei pressi
del torrente. Sentimmo le esplosioni e mio marito corse in fretta per far
rientrare i bambini. Essi, purtroppo giacevano a terra sanguinanti, G.
il maggiore sanguinava da un ginocchio, ma la ferita non sembrava grave
perché il bambino si reggeva in piedi; la manina sinistra del piccolo
era invece a terra, nettamente staccata dal braccio. Mio marito prese il
piccolo in braccio e via verso l’ambulatorio di dottor C. Corsi dietro
anch’io, tenendo tra le mani la piccola mano del bambino, nella più
completa disperazione. Lungo il tragitto, davanti agli occhi mi si presentò
uno spettacolo terrificante: in Piazza Mercato passammo sopra i corpi distesi
di agonizzanti o già cadaveri. Riconobbi zio P. G., E. S. militare;
un bambino P.M. giaceva in un bagno di sangue. Rimproverai un bambino che
tentava di sfilare l’orologio dal polso di un cadavere (L. E.), che
giaceva nei pressi del pozzo. Seppi poi che si trattava del figlio E. E.
All’altezza del Municipio il marciapiede era pieno di corpi riversi, urlanti
o già in silenzio perpetuo. Poco più giù inciampai
sul corpo senza vita di una anziana signora ( G. S.). Molti feriti
o già cadaveri li stavano già rimuovendo. Il medico non c’era
in ambulatorio e ci dirigemmo in fretta verso l’ospedale militare di Campo
‘e Scuiddu. Quando arrivammo ci si presentò davanti agli occhi una
scena allucinante. Cercando di tenerla calda strofinavo continuamente la
manina del bambino. Un infermiere si prese subito cura del bambino e dallo
sguardo di un medico appena sopraggiunto capì che sarebbe rimasto
mutilato per sempre; intanto mi chiedevano dove fossi stata ferita, per
il fatto che zoppicavo vistosamente. Solo allora mi accorsi che avevo percorso
tutto il tragitto con un piede con la scarpa e l’altro senza: ciò
non alleggerì né aumentò la mia già tanto grande
disperazione”! Tutti gli anni in questo borgo viene commemorato il tragico
episodio, con la partecipazione di rappresentanze politiche, militari ed
ecclesiastiche. Vengono invitate anche le scolaresche e vi partecipa spontaneamente
tantissima gente. Dopo la S. Messa in suffragio si scende in corteo dalla
chiesa del Sacro Cuore, alla Piazza 17 Febbraio ed è solitamente
il sindaco, con la fascia tricolore, per l’occasione, che commenta il fatto
e depone con le proprie mani una corona di fiori sulla base della statua.
Ricordo che partecipai per la prima volta alla manifestazione quand’ero
in quinta elementare ( solo le quinte classi vi partecipavano) e la maestra
Ghita Porru Bonelli ci preparò alla cerimonia: uno di noi doveva
recitare nella Piazzetta, davanti a tutti, un brevissimo discorso per i
caduti del bombardamento: toccò a G. O. che in italiano era il più
bravo di tutti! In precedenza la maestra ci raccontò dell’eccidio,
al quale aveva assistito in prima persona e nonostante fosse passato tanto
tempo dal fatto, e pur essendo una maestra tutta d’un pezzo e dal temperamento
saldo e burbero, non ebbe la forza di trattenere le lacrime soprattutto
quando ci parlò di una famiglia sfollata da Cagliari: una giovane
donna, tre figli, due maschietti ed una bimba di pochi mesi e l’anziana
suocera. Il marito della giovane donna, un commerciante cagliaritano, dopo
l’ennesimo bombardamento della città, in uno dei quali aveva perso
la vita il padre, preferì affidare la sua famiglia a lontani parenti
di Gonnosfanadiga, che abitavano nella casa proprio di fronte a Piazza
Mercato. Al centro del cortile della casa, il tradizionale pozzo, c’era
e c’è ancora, vicino al quale, in quel giorno maledetto, la
famigliola fu massacrata da una bomba a frammentazione: la giovane donna
e i due bambini furono dilaniati dal micidiale ordigno; una scheggia
trafisse il petto della bimba da parte a parte e conficcandosi nel seno
della donna anziana che la portava in braccio: ma il corpicino della bimba
attutì la violenza del “frammento”, salvandole la vita. L’anziana
signora sopravvisse, ma nella più folle demenza!
Ho parecchie altre testimonianze, ma credo
basti quanto detto. |