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Onomastica gotica
Gli Ostrogoti
Gli Ostrogoti
Gli Ostrogoti sono strettamente apparentati al Visigoti. Sul problema del nome si veda alla  nota 15. 
Essi si posizionarono sul Mar Nero più a oriente rispetto ai cugini, con i quali occupavano il territorio dal fiume Don fino alla foce del Danubio. La parte più orientale di questa regione è praticamente costituita da una steppa sabbiosa: ecco il motivo per cui i Goti orientali furono chiamati anche Greutingi (got. Gri-u-t-ugg-ōs, dal germ. *greuta = ted. Griess = ghiaia). Si è già fatto cenno del regno del mitico re Ostrogotha, come anche delle incursioni dei Goti sotto diversi imperatori romani tra i quali Claudio II che li sconfigge e riceve per questo il titolo di Gotico. Anche sotto Costantino i Goti invadono la Tracia e la Mesia, ma vengono respinti. 
Il re Giberich consolida il possesso della Dacia con una grande vittoria sui Vandali (circa 337 d.C.); a lui succede Ermanarich che fonda un gigantesco regno polietnico con centro nell’attuale Ucraina e per questo viene chiamato il più grande degli Amali, che è la schiatta più antica e nobile presso i Goti e significa "gli infaticabili" (24)
Egli deve affrontare la terribile ondata unna alla quale si oppone valorosamente pur soccombendo (secondo la leggenda ripresa da Jordanes e da Ammiano Marcellino muore a 110 anni suicida), mentre i Visigoti, come si è già visto, fuggono in territorio romano. 
Pur sottomessi, gli Ostrogoti mantengono i loro territori e i loro re che dipendono però dal Khan unno, al quale cerca di sottrarsi il successore di Ermanarich, Winithar, che viene presto sconfitto.
Gli succedono rispettivamente Hunimund e Thurismund; dopo un lungo periodo di interregno diventa re Walahmar,  nipote di Winithar, che divide il regno coi suoi due fratelli Theodemer e Widemer. 
Da questo momento la storia degli Ostrogoti diventa più importante ed entra nel vivo degli avvenimenti perché ai tre fratelli riesce, dopo la morte di Attila col quale hanno combattuto ai Campi Catalaunici, di liberarsi della signoria unna sconfiggendo i suoi figli ed eredi. Proprio nel giorno di quella vittoria, secondo la leggenda, nasce a Theodemer da una concubina un figlio che sarà il futuro Theoderich der Grosse (Teodorico il Grande) (454). (25)
II rapporto con Bisanzio intanto si turba per le pretese di un altro principe goto, Teoderich Strabone (lo strabico), per cui il piccolo Teoderich deve andare a otto anni come ostaggio alla corte dell'imperatore Leone a Bisanzio. Qui egli rimane fino a diciotto anni, profittando straordinariamente dell'educazione romano - bizantina che gli viene impartita e che sarà così importante per il suo futuro e per quello del suo regno in Italia. 
Walahmar muore e diventa re effettivo Theodemer, il padre di Teodorich, che deve marciare subito contro Suebi e Alamanni; durante la campagna del padre il giovane Teoderich torna da Bisanzio (472), raduna circa seimila seguaci, oltrepassa il Danubio e sconfigge e uccide il Khan dei Sarmati, occupando e trattenendo in suo possesso la città di Singidunum.
E’ questa la prima impresa in cui rifulgono la tempra e il valore del futuro conquistatore d’Italia.
Intanto la popolazione gotica soffre per mancanza di cibo in seguito alla ristrettezza della sede e all'insufficienza agricola, né bastano a nutrire tanta gente le razzie contro i popoli vicini. 
Il re Theodemer si vede così costretto dalla sua gente a cercare terra e spazio a spese dell’impero romano: egli convince il fratello Widemer a dirigersi verso l’Italia, avendo intenzione di volgersi personalmente contro l'impero d’Oriente. Widemer viene però stornato dall’Italia attraverso ricche regalie e finisce in Gallia dove la sua gente si fonderà con i Visigoti qui residenti. Theodemer invece entra in Mesia, strappa all'Imperatore le città di Naisso e Ulpiana ma subito dopo muore. 
Diventa re, ad appena ventun anni, suo figlio Teoderich. Egli deve continuamente misurarsi, nei tredici anni che seguono, con l'astuta politica di Zenone che, nonostante Teoderich lo abbia aiutato nella contesa con l'usurpatore Basilisco, gli contrappone Strabone fino alla morte di quest'ultimo. 
Il giovane re goto rappresenta per Bisanzio un costante pericolo: bisogna indirizzarlo altrove,  ecco che è opportuno servirsene contro Odovakar diventato padrone d'Italia. Là dovrà andare Teoderich, tentare di sconfiggerlo e reggere l'Italia in nome dell'Imperatore; non importa l’esito della contesa, Zenone ne uscirà comunque sempre vincitore. Teoderich si decide quindi, spinto anche dal suo popolo, alla migrazione in Italia, e proprio di una vera migrazione si tratta, in quanto i guerrieri sono seguiti da donne, vecchi, bambini e schiavi su carri tirati faticosamente da buoi. 
Sono all'incirca 250.000 persone in marcia da Novae in Tracia, sede del re, lungo il corso del Danubio verso ovest, tenendosi sulla riva romana, quella destra, passando per Singidunum e Sirmium, sempre combattendo contro Bulgari e Sarmati, anche se le maggiori difficoltà vengono dai Gepidi che alla fine vengono sconfitti ma rallentano molto la marcia della carovana.
I Goti risalgono il corso della Sava, arrampicandosi faticosamente su impervie montagne fin sul crinale delle Alpi e raggiungono l’Isonzo che forma il confine d'Italia.
E’ il luglio del 489 d. C. 
Penetrato sul suolo italico, Theoderich affronta Odovakar e, dopo averlo ucciso, forse di sua mano, resta unico signore d'Italia. Tuttavia l’imperatore non vuole concedergli nulla, ritenendosi l’unico legittimo possessore dell’Italia e anche quando riconosce lo stato di fatto venutosi a creare, lo fa subordinando il ruolo di Theoderich che resterà sempre e soltanto ‘princeps’, oltre che re dei Goti. 
Le doti personali del re ostrogoto rifulgono soprattutto nel concetto di nazione e nel tentativo di amalgamare Goti e Romani, pur mantenendo divise le prerogative per cui ai primi tocca l'uso delle armi e ai secondi la gestione e l'amministrazione dello stato. Ma troppo tenace sarà l'avversione di Bisanzio e della chiesa di Roma, i veri artefici del fallimento di questa idea. 
Vani sono quindi tutti gli espedienti politici di Theoderich per fissare più saldamente l'edificio che sta costruendo e per evitare, ove possibile, l’uso delle armi. Fallisce anche la politica dei matrimoni inaugurata da lui stesso sposando Audofleda, sorella del re franco Chlodwig, cattolico e quindi ben visto dalla chiesa romana, e maritando sua sorella Amalafrida al re vandalo Thrasamund. Due figlie naturali avute da una concubina prima del matrimonio, Theudigoto e Ostrogotho, le marita rispettivamente ad Alarich, re dei Visigoti e a Sigismund, re dei Burgundi. Unisce inoltre in matrimonio (515) la figlia Amalasuintha con il visigoto Eutharich, della gente degli Amali, e la nipote Amalaberga con il re dei Turingi, Erminfrid.
Ma Chlodwig rimane comunque un pericolo per i Goti; Amalafrida, morto il marito, viene accusata sotto il di lui successore, Hildiric, di cospirazione contro il re e il regno dei vandali, per cui è incarcerata e uccisa. Il re turingio, Erminfrid, viene assalito e sconfitto nel 531 dai Franchi di Theuderich.
Per la popolazione italica il regno di Theodorich è tuttavia un periodo di pace dopo tanti conflitti; l'unica guerra da lui mossa è quella in Provenza, e quindi fuori dai confini italiani, per soccorrere i cugini visigoti a malpartito con i Franchi. 
La parola guida di questi anni è tolleranza per tutte le religioni, compresa quella ebraica, e gli ebrei dimostreranno di non aver dimenticato questa benignità nei loro confronti allorché difenderanno Napoli durante l'assedio delle truppe imperiali, nella lunga guerra intrapresa da Bisanzio contro i discendenti del Re.                                                          
II grande sovrano muore il 30 agosto 526 e sarà ricordato col nome di Dietrich von Bern (Bern = Verona) in tutte le saghe germaniche nelle quali rifulge sempre come esempio di valore, moderazione e lealtà.
Alla sua morte segue un rapido sfacelo del regno, nonostante gli sforzi della figlia Amalasuintha, sua unica erede, di conservare il trono a sé e al figlioletto Athalarich. Ma gli stati cuscinetto creati da suo padre a nord del paese si sono sfaldati, la politica delle alleanze matrimoniali è fallita in pieno: l’Italia è isolata politicamente e destinata a essere ben presto vittima del sogno giustinianeo di restaurazione.
Il destino degli Ostrogoti precipita rapidamente, sebbene Amalasuintha cerchi di conquistarsi in tutti i modi l’elemento romano della popolazione abbassando le tasse e rilasciando i prigionieri “politici”, come si direbbe oggi. Così facendo, suscita però le antipatie dei Goti i quali, tra l’altro, non vedono con favore che la loro massima carica sia occupata da una donna.
Amalasuintha finisce ammazzata in bagno e le succede il cugino Theodahad che già da tempo cospirava contro di lei. Questi è uomo infido, vile, codardo, e siccome l’Imperatore Giustiniano, prendendo a pretesto l’uccisione di Amalasuintha, dichiara guerra ai Goti (535) con l’intenzione di levarseli finalmente di torno, Theodahad gli si sottomette immediatamente perché intanto Belisario è sbarcato in Sicilia e dalla Dalmazia sta arrivando un altro esercito imperiale. Tanta è la sua viltà che i Goti lo eliminano rapidamente eleggendo al suo posto Widichis, il Wittich della saga germanica, valorosissimo guerriero anche se non di nobile schiatta. Egli restaura gli antichi costumi assembleari e diffida a ragione della popolazione e del clero italici, perché papa Silverio invita Belisario, che intanto dopo lungo assedio ha conquistato e lasciato saccheggiare Napoli, ad occupare la città eterna.
Il nuovo re ostrogoto arma allora il suo esercito, composto anche di truppe corazzate, e si affretta alla volta di Roma, dove è rinchiuso Belisario, cominciandone l'assedio.
Il suo primo assalto è respinto dai Bizantini che gli infliggono gravissime perdite grazie ai micidiali arcieri unni a cavallo, arruolati dagli imperiali, contro i quali Widichis non sa opporre alcuna difesa; la città e i dintorni sono devastati dalla pestilenza e dalla fame che non risparmiano nessuno, nemmeno gli assedianti. 
E’ praticamente l'inizio di quella tremenda guerra gotica (535 - 553) che infurierà per quasi venti anni sul suolo italico riducendo il paese a una landa desolata, abitata da pochi sopravvissuti. 
Uno dei comandanti di Belisario, Giovanni l'Armeno, detto il Sanguinario, riesce a uscire dalla città e a dirigersi verso nord. Nella capitale è restata anche Mathasuintha, la malfidata moglie di re Widichis, che sta cercando un accordo con Bisanzio alle spalle del marito.
Poiché Ravenna è minacciata dalla schiera bizantina, i Goti, preoccupati, levano l'assedio a Roma, durato un anno e nove giorni: è il primo dei cinque che si susseguiranno nei venti anni di guerra. 
Nel frattempo l'imperatore Giustiniano manda in Italia l’anziano generale Narsete, con lo scopo di portare aiuto a Belisario e affrettare la conclusione delle ostilità. Ma tra i due comandanti nascono incomprensioni e dopo qualche tempo Giustiniano, accortosi dell’errore commesso, richiama Narsete a Bisanzio.
La situazione di Widichis, assediato a Ravenna, non migliora nonostante l’arrivo dei Franchi che, col pretesto di recare aiuto ai Goti, in realtà devastano e saccheggiano le già misere popolazioni italiche finché sono costretti a ritirarsi (539) per le malattie che fanno strage tra le loro file.
Belisario, rimasto finalmente solo al comando, stringe Ravenna in una morsa così ferrea che la città nel 540 si arrende e il generale bizantino può entrarvi trionfalmente. Widichis e il suo seguito vengono fatti prigionieri e trasportati a Bisanzio, dove il re goto morirà poco dopo. 
La sconfitta di Widichis e il trionfo di Belisario sembrano segnare la fine per il popolo gotico, ma tanta è l'avidità degli esattori delle tasse di Bisanzio e il malgoverno dei successori di Belisario, i quali pensano solo ad arricchirsi personalmente, che gli italici cominciano a capire che i bizantini sono peggiori dei barbari. 
Intorno a Hildibad prima e a Erarich poi si raccolgono tutte le genti gotiche, ma siccome il primo viene ucciso per invidie e rivalità e il secondo per vigliaccheria nei confronti di Bisanzio, nel 542 viene eletto re Baduila, detto Totila, comandante del castello di Tarvisio,. 
Il giovane sovrano ottiene immediatamente una serie di successi contro i capitani imperiali e riconquista anche Napoli, mostrandosi giusto e benigno con la popolazione. 
Per avere una probabilità di successo, Totila capisce di doversi appoggiare agli schiavi e ai coloni, taglieggiati dai bizantini, e di dover spremere le tasse necessarie dal grande latifondo che però appartiene anche alla Chiesa, la quale sta diventando sempre più ricca per le continue donazioni dei fedeli. Questa politica gli aliena naturalmente le simpatie del clero romano che incita continuamente alla cacciata del barbaro ariano, e quando Totila si volge contro Roma, l'imperatore, sollecitato dal Papa, rimanda in Italia Belisario. 
Il generale bizantino non riesce però ad opporsi con successo al suo avversario che entra in una città stremata da un lungo assedio e praticamente vuota di abitanti (546), per  abbandonarla incomprensibilmente subito dopo, diretto verso sud, e riconquistarla dopo tre anni, nel 549. 
Giustiniano continua a rifiutare la pace offertagli da Totila. Segue un lungo periodo di tregua dovuta a problemi interni all'impero e all’indecisione dell’imperatore, che solo nel 551 sceglie Narsete per continuare la guerra contro i Goti. 
Questi capisce subito che senza una ricca profusione di denaro il problema gotico è irrisolvibile, pertanto insiste presso Giustiniano finché ottiene i mezzi necessari per portare l’attacco all’Italia questa volta dal nord, partendo da Salona in Dalmazia.
Conscio del pericolo, Totila cerca l’offensiva attaccando Ancona per mare e per terra. Ma la battaglia navale si risolve in una disfatta e l’esercito toglie precipitosamente l’assedio alla città fuggendo verso Rimini dove una nutrita guarnigione potrà forse offrire riparo.
II morale di Totila e della sua gente è molto scosso da questa sconfitta, tanto più che Narsete sta avvicinandosi con un poderoso esercito. Totila gli manda allora incontro un suo valoroso generale, Theia, che crea uno sbarramento a Verona, deciso ad aspettare il generale bizantino sulla linea del Po. Ma l'astuto Narsete riesce egualmente a passare tenendosi su vie secondarie della costa adriatica. Si dirige poi verso i monti non potendo proseguire lungo la via Flaminia, sbarrata dalla fortezza imprendibile di Petra Pertusa in mano ai Goti. 
A questa notizia, Totila, che è a Roma, esce dalla città senza aspettare il ritorno di Theia e si fa incontro agli imperiali, anche se sa che l'esercito bizantino è molto più numeroso e bene armato, accresciuto per di più da un contingente longobardo temutissimo, oltre che dai nemici per la proverbiale ferocia in battaglia, anche dalla popolazione italica che ne ha le case bruciate e le donne violentate.
I due eserciti si fronteggiano in una località chiamata Busta Gallorum (sepolcro dei Galli) perché proprio lì, secoli prima, Camillo aveva battuto i Celti e ne aveva cremato i cadaveri: è Tadinae, l’attuale Gualdo Tadino in provincia di Perugia.
Totila attacca improvvisamente, cercando di compensare con la sorpresa l'inferiorità numerica, ma Narsete lascia penetrare in profondità la cavalleria gotica per poi annientarla in un turbinio di frecce; invano i cavalieri cercano di arretrare, perché dietro a loro stanno sopraggiungendo i guerrieri appiedati. È un vero e proprio massacro; i pedoni vengono calpestati dalla propria cavalleria in una strage che si fa sempre più grave col passare delle ore.
Muoiono seimila goti e anche i prigionieri vengono immediatamente uccisi: Totila, in compagnia di cinque fidi, cerca scampo col favore dell'oscurità incipiente ma viene ferito. Un paggio del suo seguito e tre guerrieri cercano di porlo in salvo portandolo fuori dalla mischia e poi, raggiunto un piccolo villaggio nei pressi, forse Caprara, tentano invano di curargli la ferita. Il re dei Goti muore e in agosto il suo elmo tempestato di gemme e la sua veste insanguinata arrivano a Bisanzio come segno trionfale di vittoria. (552)
Dopo questa sconfitta i Goti superstiti fuggono verso nord, mentre Narsete marcia alla volta di Roma che riconquista senza sforzo.
Ora restano solo due alternative: o la resa e la conseguente sottomissione all'imperatore o la lotta ad oltranza e Theia sceglie di combattere fino in fondo. Raccolto un piccolo esercito, si dirige a tappe forzate in Campania, accampandosi ai  piedi del  Vesuvio;  qui i due eserciti si fronteggiano per due mesi senza che Narsete attacchi, benché sia grandemente superiore in numero. 
I Goti non hanno più rifornimenti, i pochi nobili goti che ancora tengono città e castelli non possono essere di alcun aiuto, poiché Narsete ha fatto intorno a loro terra bruciata. Essi si spingono allora sul mons lactarius, i monti Lattari di fronte al Vesuvio, poi, pressati dalla fame e dalla disperazione, si gettano all'attacco, Theia in testa a tutti (marzo 553). 
Quando il valoroso re goto è ucciso dalle forze soverchianti dei nemici e i bizantini mostrano ai nemici il suo capo mozzato alto su una picca, i Goti non vogliono comunque arrendersi e combattono fino a notte e anche il giorno seguente, ben consci che si tratta della loro ultima battaglia. 
Dopo due giorni di combattimenti chiedono a Narsete di aver salva la vita se se ne andranno dall'Italia. Il vecchio generale accetta. Così gli ultimi Goti, nemmeno mille uomini, attraversano il paese diretti a nord, valicano le Alpi e scompaiono nel nulla, mentre in Italia le città ancora in loro mano si arrendono una dopo l'altra a Narsete. 
Note
24 Sul termine Amali cfr. sotto la voce Amalasuintha. Quanto a Ermanarich, il suo regno si estendeva dal Mar Nero al mar Baltico comprendendo numerose tribù soggiogate, fra le quali gli Eruli, i Venedi, gli Esti e una serie di popolazioni di origine finnica. Questa dominazione esercitò anche diversi influssi linguistici sul lituano e lo slavo, come dimostrano alcuni prestiti: p. es. il lit. szárwas deriva dal got. sarwa = armi; l’antico slavo mĭcĭ dal got. meheis = spada (cfr. anche il finn. miekka). Schönfeld, cit. p. 807.
25 Questa importante battaglia nella quale trovò la morte il figlio maggiore di Attila, Ellac, si svolse nel 454 sulle rive di un fiume pannonico, il Nedao, che finora non è stato ancora identificato. In realtà sembra che durante gli scontri gli Ostrogoti, ex federati degli Unni, si tenessero piuttosto defilati e che il peso della battaglia cadesse tutto su Ardarich, re dei Gepidi, che era stato primo consigliere di Attila e che voleva fargli succedere, fra tutti gli eredi, il principe Gheism, figlio del re unno e di una sua sorella. In seguito a questa vittoria Gepidi e Ostrogoti si impossessarono, col beneplacito dell’imperatore Marciano, dei territori che erano stati degli Unni; ai Goti fu assegnata quella zona della Pannonia che si trovava tra le città di Sirmium e Vindobona. E proprio qui probabilmente sulle rive dell'odierno lago di Neusiedl, se non lo stesso giorno, certo lo stesso anno della battaglia, nacque Teodorich da Theodemer e dalla sua favorita Ereleva, che quasi certamente non era di origine gotica.
abbreviazioni
a.a.t. = antico alto tedesco ted. = tedesco  ags. =  anglosassone airl.  = antico irlandese aisl. = antico islandese an. = antico nordico celt. = celtico finn. = finnico
a.germ. = antico germanico Först. = Förstemann gall. = gallico germ. = germanico gr. = greco got. = gotico ie. = indoeuropeo lat. = latino
nordgerm. = germanico settentrionale lit. = lituano

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