Alla fine del IV secolo d.C. l'Impero Romano d'Occidente è dominato da una grande figura di generale imperiale, Flavio Stilicone, di origine vandalica, nominato dall'Imperatore Teodosio nel 395, sul letto di morte, tutore del fìglioletto Onorio che gli succede sul trono imperiale. Con la forza delle armi Stilicone riesce a tenere a bada le tribù barbare che circa venti anni prima si sono messe in moto in tutta Europa sotto la spinta degli Unni e che ora premono sui confini dell'Impero; tra queste popolazioni sono particolarmente irrequieti i Visigoti che alla morte di Teodosio si sono sollevati contro Bisanzio. Il loro giovane, nuovo re Alarico, che di lì a quindici anni prenderà e saccheggerà Roma, dalla Tracia, dove è acquartierato coi suoi, attraversa la Macedonia , la Tessaglia , l'Arcadia ed entra in Grecia conquistando Sparta, Corinto e Atene. Stilicone gli si fa incontro e lo sconfìgge severamente presso l'Istmo di Corinto ma non lo annienta, con questa mossa intendendo limitare l'influenza dell'eunuco Eutropio che domina l'altro figlio di Teodosio, Arcadio, Imperatore della metà orientale dell'Impero romano. Ravenna è intanto diventata la città più importante dell'occidente e il Cristianesimo, ormai religione di stato, si è diffuso ovunque anche se qua e là gli dei pagani sopravvivono tenacemente e sorgono, particolarmente in Africa, dispute ereticali. In questa provincia, dove la civiltà romana, da Augusto in poi, si è sedimentata e ha messo radici profonde, coesistono in questo periodo i movimenti scismatici dei circumcellioni e dei donatisti insieme con l'insegnamento dei più grandi dottori della Chiesa come Tertulliano, Cipriano, Agostino. Vi sono quindi due distinte chiese e due distinte gerarchie, quella cattolica e la donatista. La provincia d'Africa aveva avuto la sua massima estensione e il maggior sviluppo all'epoca degli Antonini ma dal tempo di Diocleziano in poi si era ridotta per estensione e numero di abitanti: le province erano sei: l'antica Mauretania tingitana (Tingis era l'odierna Tangeri in Marocco), all'estremo ovest, unita alla provincia hispanica (Baetica) che le stava di fronte oltre lo stretto di Gibilterra; la Mauritania orientale che era stata divisa in Mauretania caesariensis, con capoluogo Caesarea (oggi Tènés in Algeria) e Mauretania sitifensis con capoluogo Sitifìs (l'odierna Sétif in Algeria), alla quale era stata annessa l'antica Numidia. La provincia proconsolare di Africa, più a est, era stata a sua volta divisa in provincia zeugitana (con Cartagine) e byzacena, mentre ancor più a oriente, oltre la piccola Sirte, c'era la provincia tripolitana e, oltre ancora, la Cyrenaica e l'Aegyptus, entrato a far parte dell'Impero nel 30 d.C., con l'annessione operata da Ottaviano. Il potere militare era nelle mani del "comes Africae" dal quale dipendevano i "duces" della Mauritania e di Tripoli: vi erano inoltre, a sud, dei "castella" che presidiavano il limes edificato fra il II e III sec. d.C., lungo i tratti montuosi dei rilievi aurasici, con un gran numero di soldati (limitanei) che difendevano il territorio dalle aggressioni dei Mauri, in quanto era sempre incombente il pericolo di un attacco da parte delle tribù nomadi del deserto di origine berbera - tenute però a bada fino a metà del IV secolo. I possedimenti africani erano molto importanti per l'approvvigionamento non solo di Roma e di Ravenna, ma, insieme alla Sicilia e all'Illiria, dell'intera Italia: dall'Africa arrivavano infatti con la flotta frumentaria, appositamente costruita, grano, olio, marmo. Tale importanza si era accresciuta in seguito al fallimento delle riforme agrarie in Italia, per cui la carica di proconsole d'Africa era venuta ad assumere grandissimo rilievo poiché permetteva di condizionare, attraverso una sorta di ricatto alimentare, la politica italiana del tempo. Ogni movimento secessionista africano aveva sempre ricercato l'appoggio dei donatisti: primo era stato, fra il 375 e il 378, Firmo, figlio di quel Nubel che Ammiano Marcellino definisce "regulus per nationes mauricas potentissimus". L'Imperatore Graziano gli aveva mandato contro il padre del futuro imperatore Teodosio, Teodosio anch'egli, che era "magister militum"; il generale romano aveva ben presto avuto la meglio sul ribelle, avvalendosi anche dell'aiuto di un fratello di Firmus, Gildone, e la rapida conclusione della guerra era stata suggellata dal suicidio di Firmo. Il fratello/Caino Gildone era stato ricompensato dall'Imperatore col titolo e la carica di "comes et magister utriusque militiae per Africam" e il vittorioso Teodosio con la decapitazione. Tale importantissima carica aveva permesso a Gildone di crearsi enormi ricchezze e una fitta rete di interessi, complicità e protezioni non solo in Africa ma anche a Roma, tanto che una sua figlia era andata sposa a un nipote dell'Imperatore Teodosio, intanto succeduto a Graziano. Tutto ciò non aveva però impedito al moro di cercare di attuare una politica autonomistica, arrivando, lui cristiano donatista, ad allearsi con i pagani e trasformando poco a poco il suo titolo di "comes" in quello arbitrario di sovrano assoluto. Il suo territorio si stendeva, come avverte il poeta Claudiano
nel suo De bello gildonico":
"..... quod Nilus et Atlas dissidet: occiduis quod Gadibus arida Barce, quodque Paraetonio secedit litore Ganges " (158/160),
dalla catena montuosa dell'Atlante, sulla quale, secondo la leggenda, poggiava il cielo, fino al Nilo, avendo a occidente Cadice nell'isola di Leon (Gade) e la città di El-Mary in Libia (Barce), e a oriente la città di El Barech in Egitto (Paraetonio). Egli regnava quindi, in breve, sulla parte settentrionale delle attuali Algeria e Libia. Ora Gildone, perseguendo la sua politica di autonomia che lo ha portato ad allearsi con Eutropio, compie in questo stesso anno, il 395, il primo passo, il più ovvio, quello cioè di interrompere i rifornimenti all'Italia e a Roma in particolare, creando grandissimo disagio in un paese quasi allo stremo per le invasioni barbariche sempre incombenti e la decadenza economica. A queste gravi difficoltà da voce poetica, non
senza efficacia, il solito Claudiano, panegirista di Stilicone e dell'Imperatore
Onorio, descrivendo la prostrazione di una Roma personificata:
"Vox tennis, tardique gradus, oculique latentes Interius: fugere genae; ieiuna lacertos Exedit macies: humeris vix sustinet aegris Squalentem clypeum: laxata casside prodit Canitiem, plenamque trahit rubiginis hastam " (De bello gildonico, 21/25)
(La voce flebile, lenti i passi, gli occhi infossati e
le guance incavate dalla magrezza: la fame le divora le membra e appena
riesce a sostenere sulle spalle inferme uno scudo tutto rovinato mentre
dall'elmo, ormai troppo largo, fuoriescono i capelli bianchi e trascina
un'asta piena di ruggine).
Sul territorio che già fu di Roma Gildone si comporta
da crudele despota: alla sua corte sfarzosa è un susseguirsi di
violenze, omicidi e orge; nessuno è più sicuro della sua
vita, soprattutto chi ha una moglie bella o molte ricchezze; le più
nobili matrone e le più avvenenti fanciulle d'Africa sono costrette
a subire gli amplessi dei barbari Mauri, attraverso i quali Gildone pensa
di ricavare il rampollo di una razza nuova, una specie di mostro della
natura, un neonato pezzato:
"..... Nec damna pudoris Turpia sufficiunt. Mauris clarissima quaeque Fastidita datur: media Chartagine ductae, Barbara Sidoniae subeunt connubio matres. Aethiopem nobis generum, Nasamona maritum, lugerit: exterret cunabula discolor infans (De bello gildonico, 188/193)
(...e l'aver tolto loro l'onore è ancora poca cosa! Le più nobili vengono consegnate, piene di ribrezzo, ai Mauri; le madri sidonie, trascinate a Cartagine, devono sottomettersi a barbari amplessi. Quello assegna un etiope per genero e un nasamone per marito, cosi che un neonato di due colori farà inorridire la sua culla). I più saldi vincoli familiari, insieme a quei sani
costumi che discendono da un sobrio tenore di vita, sono ormai scomparsi:
"....connubia mille: Non ulli generis nexus, non pignora curae; Sed numero languet pietas. Haec copia vulgi. Umbratus dux ipse rosis, et marcidus ibit Unguentis, crudusque cibo, titubansque Lyaeo, Confectus senio, morbis stuprisque solutus ". (De bello gildonico, 441/446)
(Mille sono le unioni ma non v'è alcun legame di sangue, alcuna cura dei figli; l'affetto viene a mancare in considerazione del loro gran numero. Di qui discende la grande abbondanza di popolazione. Lo stesso capo marcerà ombreggiato dalle rose e fradicio di essenze profumate, senza aver digerito la gran quantità di cibo e barcollante per il vino bevuto, estenuato dagli stravizi, dalle malattie e dagli stupri). Contro il moro Stilicone gioca la carta, quasi sempre vincente, dell'odio tra consanguinei: prepara alcuni contingenti di truppe e mette alla loro testa il cattolico e antidonatista Mascezel, fratello di Gildone, costretto a fuggire dall'Africa e a rifugiarsi a Ravenna perché perseguitato dal più potente fratello. Ma i suoi figli sono rimasti in patria e Gildone li ha fatti uccidere entrambi: di qui l'odio implacabile di Mascezel contro il congiunto. Dal porto di Pisa si appresta a partire il fior fiore delle legioni, quella Gioviana, l'Augustea, quella degli Invincibili, ma siccome l'inverno incombente non permette una sicura navigazione, la flotta attracca a Cagliari per aspettare in quel porto riparato il momento più propizio al passaggio in Africa. Lo sbarco viene effettuato nella primavera successiva (398): contro le truppe romane Gildone ha mobilitato un gran numero di popolazioni africane, particolarmente esperte nell'uso dell'arco, ma insufficientemente equipaggiate - i cavalieri non possiedono nemmeno lo scudo e si proteggono protendendo con la mano sinistra il loro mantelletto - e disordinate nello schierarsi in battaglia. Lo scontro avviene a sud di Zama, presso Teveste (oggi Tebessa in Algeria) ed è subito violentissimo: le truppe imperiali sono inferiori di numero ma molto meglio addestrate e in breve tempo sbaragliano le forze messe in campo da Gildone che dapprima riesce a fuggire ma poi, catturato in una grotta, viene giustiziato per strangolamento nel luglio dello stesso anno. |