home page indietro
De bello gildonico
Claudius Claudianus
1.    Redditus imperiis Auster, subiectaque rursum 
2.    Alterius convexa poli: rectore sub uno 
3.     Conspirat geminus frenis communibus orbis.
4.    Iunximus Europen Libyae: concordia fratrum
5.    Plena redit: patriis quod solum defuit armis,
6.    Tertius occubuit nati virtute tyrannus.
7.    Horret adhuc animus, manifestaque gaudia differt,
8.    Dum stupet, et tanto cunctatur credere voto.
9.    Necdum Cinyphias exercitus attigit oras;
10.    Iam domitus Gildon. Nullis victoria nodis
11.    Haesit, non terrae spatio, non obiice ponti.
12.    Congressum, profugum, captum, vox nuntiat una;
13.    Rumoremque sui  praevenit laurea belli.
14.    Quo, precor, haec effecta Deo? robusta vetusque
15.    Tempore tam parvo potuit dementia vinci?
16.    Quem veniens indixit hiems, ver perculit hostem?
17.    Exitii iam Roma timens, et fessa negatis
18.    Frugibus, ad rapidi limen tendebat Olympi,
19.    Non solito vultu, non qualis iura Britannis
20.    Dividit, aut trepidos submittit fascibus Indos.
21.    Vox tenuis, tardique gradus, oculique latentes
22.    Interius: fugere genae ieiuna lacertos
23.    Exedit macies: humeris vix sustinet aegris
24.    Squalentem clypeum: laxata casside prodit
25.    Canitiem, plenamque trahit rubiginis hastam.
26.    Attigit ut tandem coelum, genibusque Tonantis 
27.    Procubuit, tales orditur moesta querelas:
28.    Si mea mansuris meruerunt moenia nasci,
29.    Iupiter, auguriis; si stant immota Sibyllae
30.    Carmina, Tarpeias si necdum respuis arces;
31.    Advenio supplex, non ut proculcet Araxen
32.    Consul ovans, nostraeve premant pharetrata secures
33.    Susa, nec ut rubris aquilas figamus arenis.
34.    Haec nobis, haec ante dabas: nunc pabula tantum
35.    Roma precor: miserere tuae, pater optime, gentis.
36.    Extremam defende famem. Satiavimus iram,
37.    Si qua fuit: lugenda Getis, et flenda Suevis
38.    Hausimus: ipsa meos exhorret Parthia casus.
39.    Quid referam morbive luem, tumulosve repletos
40.     Stragibus, et crebras corrupto sidere mortes?
41.     Aut fluvium per tecta vagum, summisque minantem
42.     Collibus? Ingentes vexi submersa carinas;
43.     Remorumque sonos, et Pyrrhae saecula, sensi.
44.     Hei mihi! Quo Latiae vires, Urbisque potestas
45.     [Decidit!] in qualem paulatim fluximus umbram!
46.     Armato quondam populo, Patrumque vigebam
47.     Consiliis: domui terras, urbesque revinxi
48.     Legibus: ad Solem victrix utrumque cucurri.
49.     Postquam iura ferox in se communia Caesar
50.     Transtulit, et lapsi mores, desuetaque priscis
51.     Artibus in gremium pacis servile recessi,
52.     Tot mihi pro meritis Lybiam Nilumque dedere,
53.     Ut dominam plebem, bellatoremque senatum,
54.     Classibus aestivis alerent, geminoque vicissim
55.     Litore diversi complerent horrea venti.
La guerra contro Gildone
L’Africa è stata resa all’impero e riconquistata la volta di un cielo straniero. I due mondi si trovano d’accordo sotto le redini di un unico eroe.(1) Abbiamo riunito l’Europa alla Libia: piena concordia ritorna tra i fratelli, l’unica cosa che mancava alle armi patrie; un terzo tiranno (2) è perito sotto i colpi di un valoroso guerriero. Ancora rabbrividisce l’animo e rimanda le pubbliche manifestazioni di gioia perché, pieno di stupore, esita a credere a così grande avvenimento.
L’esercito non aveva ancora toccato le spiagge cinifie (3) che Gildone era già vinto. Nessuna difficoltà, non le grandi distese né l’ostacolo dei mari ha ritardato la vittoria. La stessa voce annuncia che v’è stata battaglia, che è fuggito, che è stato catturato e la notizia del trionfo ha anticipato quella della guerra.
Quale dio è autore di tali successi? Un furore fortificato dal tempo è stato vinto in un lasso così breve? La primavera ha annientato quel nemico che l’inverno incombente aveva annunciato. 
Già Roma, temendo la rovina e spossata per la mancanza di grano, volgeva i suoi passi alle nobili porte dell’Olimpo senza il consueto aspetto, quello che distribuì ai Britanni il diritto o sottomise ai fasci gli Indi smarriti. La voce flebile, lenti i passi, gli occhi infossati e le guance scavate dalla magrezza: la fame le divora le membra e appena riesce a sostenere sulle spalle inferme uno scudo tutto rovinato, mentre dall’elmo, ormai troppo largo, spuntano i capelli bianchi e trascina un’asta piena di ruggine.
Toccato finalmente il cielo, Roma abbraccia le ginocchia del Tonante dando sfogo ai suoi tristi lamenti: “O Giove, se il destino ha promesso alle mie mura sorgenti una durata eterna, se gli oracoli della Sibilla restano irrevocabili, se la roccia Tarpea non ha ancora meritato il tuo disprezzo, giungo supplice non perché il console trionfante calpesti Arasse (4) o le nostre asce sconfiggano i suoi abitanti portatori di faretra e nemmeno perché tu ci permetta di conficcare le nostre aquile sulle arene rosseggianti. Questi favori ce li accordavi un tempo: ora chiedo soltanto il cibo; abbi pietà, padre mio, della tua gente, proteggila da questa fame che potrebbe essere l’ultima. Il tuo sdegno, se sei adirato, non è stato saziato? 
Ho sofferto mali che strapperebbero lacrime e lamenti ai Geti (5) e ai Suebi (6); il Parto (7) stesso inorridirebbe al racconto di tanti disastri. Che mai dovrò riferirti? Del morbo appestante o delle tombe riempite dalle stragi o dei tanti cadaveri sotto un cielo infetto? Oppure del Tevere che vaga tra le mie case e minaccia la sommità dei miei colli? Le navi galleggianti sui miei palazzi? Ho udito il rumore dei remi e sentito rinascere l’epoca di Pirro (8). Ahimè! Che traguardi raggiunsero le forze latine e la potenza dell’Urbe e che vana ombra è restata della mia grandezza!
Vi fu un tempo in cui, forte delle armi del popolo e della saggezza dei padri, dominai l’universo, asservii le nazioni alle mie leggi e portai la vittoria da un polo all’altro. Dopo che l’ambizioso Cesare ebbe rapito ai popoli i loro diritti (9) e i costumi decaddero, mi ritirai, dimentica dell’antica disciplina, nel seno di una pace che significava per me schiavitù. Per tutti questi miei meriti ottenni la Libia e l’Egitto affinché potessi nutrire il popolo sovrano e il senato arbitro delle guerre con le flotte estive e su entrambi i litorali venti diversi riempissero i miei granai. 
NOTE
1 Flavio Stilicone, il grande generale imperiale di origine vandalica al quale l’imperatore Teodosio aveva affidato, morendo, la tutela dei due figli Arcadio e Onorio e la salvaguardia dell’impero. 
2 Gildone. Il primo era stato Alarico, giovane re dei Visigoti che Stilicone sconfisse una prima volta nel 396 d.C. presso l’istmo di Corinto e una seconda il 6 aprile 402 a Pollenzo, una località a sud di Asti. Il secondo fu Radagaiso, che si era messo a capo di un enorme esercito composto di Unni, Sarmati e Goti e fu sconfitto rovinosamente da Stilicone a Fiesole nel 406.
3 Il Cinife era un fiume africano che scorreva fra le due Sirti. Per metonimia: africane.
4 Arasse, ora Bend Emir, il fiume più importante della Persia. I persiani erano noti come infallibili arcieri a cavallo. 
5 I Geti erano una popolazione della Tracia simili ai Daci, insediati originariamente tra i Balcani e il Danubio. Furono sospinti poi dai re macedoni sulla riva settentrionale del grande fiume. Con questo nome generico però Claudiano intende indicare sempre i Goti.
6 Grande popolazione germanica sulle coste del Mar Baltico da dove si estese in seguito verso occidente e meridione.
7 I Parti erano una popolazione scitica a sud della Ircania e a N.E. delle Pylae Caspiae, celebri per le loro evoluzioni sul cavallo e la loro bravura di arcieri (Iust. 41, 1 segg.) e famosi anche per la loro malafede Cfr. Hor. Ep, 2, 1, 112.
8 Nel 281 a.C. la colonia greca di Tarentum (l’odierna Taranto) chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro contro la minaccia costituita da Roma, della quale si temevano le mire espansionistiche in Magna Grecia. Dal 280 al 276 a.C. egli condusse la guerra in Italia meridionale e in Sicilia infruttuosamente, nonostante potesse contare sull’utilizzo bellico degli elefanti, sconosciuti ai Romani, e dovette far ritorno in Grecia.
9 Claudiano allude alla carica di dittatore a vita conferita nel 44 a.C. a Cesare il quale ebbe così concentrato nelle sue mani un potere immenso che gli consentì di legiferare liberamente.

Visitatori dal 22 aprile 2004
Torna all'inizio pagina
sito curato da