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De bello gildonico pag. 2
Claudius Claudianus
56.     Stabat certa salus: Memphis si forte negasset, 
57.     Pensaban Pharium Gaetulis messibus annum.
58.     Frugiferas certare rates, lateque videbam
59.     Punica Niliacis concurrere carbasa velis.
60.     Cum subiit par Roma mihi, divisaque sumsit
61.     Aequales Aurora togas, Aegyptia rura
62.     In partem cessere nova: spes unica nobis
63.     Restabat Libye, quae vix aegreque fovebat, 
64.     Solo ducta Noto: nunquam secura futuri,
65.     Semper inops, ventique fidem poscebat et anni.
66.     Hanc quoque nunc Gildon rapuit sub fine cadentis
67.     Autumni: pavido metimur coerula voto, 
68.     Puppis si qua venit, si quid fortasse potenti
69.    Vel pudor extorsit domino, vel praedo reliquit.
70.     Pascimur arbitrio Mauri: nec debita reddi,
71.     Sed sua concedi, iactat; gaudetque diurnos,
72.     Ut famulae, praebere cibos; vitamque famemque
73.     Librat barbarico fastu, vulgique superbit
74.     Fletibus, et tantae suspendit fata ruinae.
75.     Romuleas vendit segetes, et possidet arva
76.    Vulneribus quaesita meis: ideone tot annos
77.     Flebile cum tumida bellum Carthagine gessi?
78.     Idcirco voluit, contemta luce, reverti
79.     Regulus? haec damnis, genitor, Cannensibus emi?
80.     Incassum toties lituis navalibus arsit
81.     Hispanum Siculumque fretum? vastataque tellus,
82.     Totque duces caesi, ruptaque emissus ab Alpe
83.     Poenus et, attonitae iam proximus Hannibal Urbi?
84.     Scilicet, ut domitis frueretur barbarus Afris,
85.     Maro sustinui Martem, noctesque cruentas
86.     Collina pro turre tuli? Gildonis ad usum
87.     Carthago ter victa ruit? Hoc mille gementis
88.     Italiae clades, impensaque saecula bello,
89.     Hoc Fabius, fortisque mihi Marcellus agebant,
90.     Ut Gildon cumularet opes? Haurire venena
91.     Compulimus dirum Syphacem, fractumque Metello
92.     Traximus immanem Marii sub vincla Iugurtham?
93.     Et Numidae Gildonis erunt? Pro funera tanta!
94.     Pro labor! In Bocchi regnum sudavit uterque
95.     Scipio? Romano vicistis sanguine, Mauri?
96.     Ille diu miles populus, qui praefuit orbi,
97.     Qui trabeas et sceptra dabat, quem semper in armis
98.     Horribilem gentes, placidum sensere subactae,
99.     Nunc inhonorus, egens, perfert miserabile pacis
100. Supplicium; nulloque palam circumdatus hoste,
101. Obsessi discrimen habet. Per singula letum
102. Impendet momenta mihi; dubitandaque pauci
103. Praescribunt alimenta dies: heu prospera fata!
104. Quid mihi septenos montes, turbamque dedisti,
105. Quae parvo non posset ali? Felicior essem
106. Angustis opibus: mallem tolerare Sabinos,
107. Et Veios; brevior duxi securius aevum.
108. Ipsa nocet moles: utinam remeare liceret
109. Ad veteres fines, et moenia pauperis Anci!
La salvezza dalla carestia era sicura: se Menfi (10) mi avesse negato i suoi prodotti, avrai compensato l’anno fario (11) con messi getule (12): vedevo navi che trasportavano a gara messi e la mussola punica (13) giungere in ogni dove su vele egiziane.
D’improvviso mi si parò davanti un’altra Roma (14), mia rivale, e l’Oriente indossò una toga simile alla mia e l’Egitto ne divenne una parte. L’unica mia speranza era la Libia che, mai sicura del futuro, sempre povera, invocando continuamente la fedeltà del vento e delle stagioni, riusciva a stento a nutrirmi sulle ali del Noto (15). Anche questa mi è stata sottratta da Gildone alla fine d'autunno: oggi, con occhio spaurito, misuro l’azzurro del cielo per vedere se mai arrivi qualche nave che abbia carpito qualcosa a quel prepotente e alla vergogna o se quel predone ci abbia lasciato qualcosa. Ci nutriamo secondo l’arbitrio del mauro che si vanta non di restituire quanto deve ma di concedere del suo e che gode nell’offrirci razioni giornaliere come si fa con le schiave, pesando vita e fame col suo barbarico orgoglio, insuperbendo per le preghiere del mio popolo e tenendoci così sospesa sul capo una rovina tanto grande. 
Vende le mie messi e regna sui campi che ho acquistato con le mie ferite; per questo risultato ho condotto una guerra così luttuosa per tanti anni con la superba Cartagine? Per questo Regolo (16), disdegnando la luce del giorno, volle ritornarsene all’Ade? Questo, padre mio, ho acquistato con la sconfitta di Canne (17) ? Le mie flotte portarono invano il fuoco dei combattimenti sui mari di Spagna e di Sicilia? Per questo avrei visto le mie pianure devastate, i miei generali uccisi, i cartaginesi avventarsi dalle sommità alpine, Annibale ormai in prossimità dell’Urbe attonita (18) ? Per questo, per attaccare l’africano al giogo di un barbaro, avrei sostenuto combattimenti entro le mie mura e passato notti insanguinate alla porta Collina (19) ? Per questo, per il vantaggio di Gildone, Cartagine rovinò dopo tre disfatte (20) ? Tra i gemiti dell’Italia per tanti disastri, dopo aver consacrato tanti secoli alla guerra, l’abnegazione di Fabio (21) e le imprese di Marcello (22) servirebbero soltanto ad arricchire Gildone? Per questo ho costretto il selvaggio Siface (23) a bere una coppa avvelenata e ho trascinato il barbaro Giugurta, già sconfitto da Metello, dietro le catene di Mario?(24) E i Numidi dovrebbero appartenere a Gildone? Dopo tanti immani massacri e tante fatiche  inutili! E’ stato per dare un trono a Bocco (25) che gli Scipioni (26) hanno versato il loro sudore? Hai trionfato col sangue romano, Mauro?
Questo popolo, da tempo guerriero, che ha governato l’universo, creato consoli e re, mostrando ai ribelli la sua potenza e ai supplici la sua clemenza, questo popolo, nella vergogna e nella miseria, subisce ora i mali miserabili della pace e, senza essere accerchiato da un solo nemico, prova tutti gli orrori di un assedio. La morte minaccia a ogni istante la mia testa, mentre insicuri alimenti mi permettono appena qualche giorno di vita. Destini altre volte propizi! Perché mi hai dato i sette colli e gente che i miei scarsi rimedi non potranno nutrire? Con minori ricchezze sarei più felice! Preferirei essere ancora esposta alle forze dei Sabini (27) e dei Veienti! (28) Se fossi stata meno estesa, avrei vissuto con minori allarmi, poiché la mia stessa grandezza mi minaccia. Se fosse possibile riprendere i vecchi confini e le mura di Anco (29), tanto povero! 
 
NOTE
10 Menfi era una città del medio Egitto, residenza dei re egiziani, famosa per le piramidi e come centro del culto del bue Api. Oggi villaggio di Menf (tre miglia a sud del Cairo).
11 fario = di Faro, isoletta presso Alessandria, quindi per metonimia: egiziano.
12 I Getuli erano una popolazione dell’Africa N.O., stanziati originariamente nella parte meridionale della Mauritania Tingitana, che si estese poi nella Mauritania Caesarensis settentrionale, attraverso la Numidia, fino alle Sirti.
13 I Fenici erano particolarmente abili nella produzione di questo finissimo tessuto di cotone. 
14 Cartagine.
15  Vento del sud chiamato anche Austro.
16 Marco Attilio Regolo, già console nel 267 a.C., fu fatto prigioniero dai Cartaginesi e da loro inviato a Roma nel 249 per trattare la pace e la restituzione dei prigionieri. Invece egli indusse il senato a rifiutare entrambe le offerte ritenendo che i Cartaginesi fossero allo stremo. Per mantenere la parola data, fece ritorno a Cartagine dove fu messo a morte: secondo la leggenda lo si accecò esponendolo in pieno sole dopo avergli cucito le palpebre in modo che non potesse chiuderle, quindi fu rinchiuso in una botte irta di chiodi fatta rotolare giù da un pendio.
17 Luogo della cruenta battaglia fra Annibale e i Romani che subirono la più grande disfatta della loro storia. (216 a.C.)
18 Il poeta allude alla seconda guerra punica (219 – 201 a.C.) e alla famosa traversata delle Alpi effettuata da Annibale, alle sconfitte romane del Ticino, della Trebbia (218 a.C.) e del Trasimeno (217 a.C.) e allo sgomento che pervase l’Urbe.
19 Porta Collina era la porta della cinta serviana a Roma dove nell’81 a.C. venne combattuta una accanita battaglia fra Silla e gli insorti sanniti comandati da M. Ponzio Telesino. Questo capo, raggiunti i colli Albani e cercato di mantenere i collegamenti con C. Mario il giovane, assediato a Preneste, aveva tentato di prendere Roma di sorpresa. Venne prevenuto da Silla che pose il campo davanti a porta Collina e affrontò la battaglia. Il successo arrise all’ala destra romana al comando di Licinio Crasso; l’ala sinistra invece non resse l’urto nemico e ripiegò verso la città. Venne allora sbarrata la porta Collina. Preclusa la ritirata, i fuggiaschi furono costretti a fronteggiare nuovamente i Sanniti e, rincuorati dalla presenza e dal valore di Silla, riuscirono a conseguire la totale vittoria. Ponzio morì combattendo. Egli e i suoi ufficiali vennero decapitati e le loro teste gettate sotto le mura di Preneste a monito di C.Mario il giovane, che infatti poco dopo si arrendeva e veniva a sua volta ucciso. Finiva così la guerra civile.
20 Le tre guerre puniche contro Cartagine: 264 -241 a.C., 219 - 201 a.C., 151 - 146 a. C.
21 Probabilmente Quinto Fabio Massimo, “il temporeggiatore” della guerra contro Annibale.
22 Probabilmente M. Claudio Marcello vincitore di Annibale presso Nola, espugnatore di Siracusa, vincitore di Viridomaro, re degli Insubri
23 Siface, re dei Massesili, dimoranti nella Numidia orientale, in un territorio pressappoco corrispondente alla odierna Algeria. Durante la seconda guerra punica fu alleato dei Romani contro i Cartaginesi coi quali più tardi finì per allearsi tanto da sposare la figlia di Asdrubale. Quando Publio Cornelio Scipione Africano sbarcò in Africa assediando Utica, le forze di Siface, unitesi ai Cartaginesi, lo costrinsero a chiudersi in un campo trincerato. Alla fine però Siface venne sconfitto e fatto prigioniero. Morì prima del trionfo di Scipione.
24 Giugurta (160 circa a.C. - Roma 104 a.C.), nipote di Massinissa e re di Numidia. Per l’uccisione dei cugini , figli dello zio, dovette far guerra coi romani che riportarono, sotto il comando di Cecilio Metello, detto Numidico, una notevole vittoria sul fiume Muthul (108). Ma poiché la guerra sembrava procedere troppo lentamente, i cavalieri, accostatisi al partito popolare, fecero eleggere console per il 107 Mario ottenendo che gli fosse affidato il comando delle operazioni in Numidia. Dopo aver conquistato molte città, Mario inflisse a Cirta una grave sconfitta alle forze congiunte di Giugurta e Hocco I, suo suocero e alleato. Questi poi, per ingraziarsi il vincitore, si lasciò indurre dal giovane Silla, allora questore di Mario, a consegnare il genero ai Romani (105). Giugurta fu trasportato a Roma e ucciso.
25 Re della Mauretania, amico ora dei Romani, ora di Giugurta e alla fine traditore di quest’ultimo.
26  Il poeta allude a P. Cornelius Scipio Africanus maior, vincitore dei Cartaginesi in Spagna e Africa (battaglia di Zama, 202 a.C.) e a P. Cornelius Scipio Aemilianus Africanus minor, figlio di L.Emilio Paolo, figlio adottivo di P.Cornelio Scipione (figlio del primo africano), valente generale che distrusse Cartagine (146).
27 I Sabini, giunti nelle vicinanze dell’odierno Lazio dalla costa adriatica intorno al X – IX secolo a.C., fondarono le città di Reate, Nurcai e Cures. Grazie alla sua posizione strategica vicino al Tevere e alla Salaria, Cures (nei pressi dell’odierno paese di Talocci) diventò ricca. I Sabini costituirono una delle più antiche razze italiche e un gran numero di loro si fuse coi Romani. Catone crede che la loro prima dimora fosse intorno ad Aminternum, cioè presso la base del Gran Sasso d’Italia. E’ certo però che da tempo antichissimo i Sabini occuparono la fertile valle del Velino e vi si stabilirono. Da qui sembra che scendessero verso il basso Tevere venendo a contatto con la nuova città di Roma. E’ certo che una parte della popolazione di Roma era di origine sabina. Ciò non impedì che le altre popolazioni della Sabinia fossero spesso in guerra con Roma. La prima grande guerra fra Romani e Sabini fu combattuta nell’anno 290 a.C. I Romani, guidati dal console Manlio Curio Dentato, vinsero e sottoposero al loro dominio le città sabine. Nota la leggenda del ratto delle Sabine.
28 La città etrusca di Veio condusse diverse guerre contro Roma: nel 483 a.C. per oltre un decennio. Nel 480 i consoli Cneo Manlio e Marco Fabio riportarono una schiacciante vittoria e nel 475 sbaragliarono le forze congiunte di Veienti e Sabini. Nel 438 Fidene, piccolo ma importantissimo centro fortificato lungo il corso del Tevere, si ribellò ai Romani unendosi a Veio ma la guerra finì con la distruzione di Fidene e il ritiro di Veio. Nel 406 i Romani assediarono Veio: Marco Furio Camillo fece costruire una galleria sotto le mura e sbucò fino all’Acropoli. Veio venne presa e rasa al suolo.
29 Anco Marcio, nipote di Numa, quarto re di Roma (638 – 614 a.C.).

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