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De bello gildonico pag. 3
Claudius Claudianus
110. Sufficerent Etrusca mihi Campanaque culta,
111. Et Quinti Curiique seges; patriaeque petenti
112. Rusticus inferret proprias dictator aristas.
113. Nunc quid agam? Libyam Gildon tenet, altera Nilu.
114. Ast ego, quae terras humeris pontumque subegi,
115. Deseror: emeritae iam praemia nulla senectae.
116. Di, quibus iratis crevi, succurrite tandem:
117. Exorate patrem: tuque, o, quae vecta per altum,
118. Sponte Palatinis mutasti collibus Idam,
119. Praelatoque lavas Phrygios Almone leones
120. Maternis precibus natum iam flecte, Cybebe.
121. Seu prohibent Parcae, falsisque elusa vetustas
122. Auspiciis: alio saltem prosternite casu,
123. Et poenae mutate genus. Porsenna reducat
124. Tarquinios: removet ferales Allia pugnas.
125. Me potius saevi manibus permittite Pyrrhi:
126. Me Senonum furiis, Brenni me reddite flammis.
127. Cuncta fame leviora mihi. Sic fata, refusis
128. Obticuit lacrymis. Mater Cytherea, parensque
129. Flet Mavors, sanctaeque memor Tritonia Vesta.
130. Nec Cybele sicco nec stabat lumine Iuno.
131. Moerent indigetes, et si quos Roma recepit,
132. Aut dedit ipsa Deos. Genitor iam corda remitti
133. Coeperat, et sacrum dextra sedare tumultum;
134. Cum procul, insanis quatiens ululatibus axem,
135. Et contusa genas, mediis apparet in astris
136. Africa: rescissae vestes, et spicea passim
137. Serta iacent: lacero crinales vertice dentes,
138. Effractum pendebat ebur; talique superbas
139. Irrupit clamore fores. Quid, magne, moraris,
140. Iupiter, avulso nexu, pelagique solutis
141. Legibus, iratum populis immittere fratrem?
142. Mergi prima peto. Veniant [praerupta] Pachyno
143. Aequora: laxatis subsidant Syrtibus urbes.
144. Si mihi Gildonem nequeunt abducere fata,
145. Me rape Gildoni. Felicior illa perustae
146. Pars Libyae, nimio quae se munita calore
147. Defendit, tantique vacat secura tyranni.
148. Crescat zona rubens: medius flagrantis Olympi
149. Me quoque limes agat: melius deserta iacebo,
150. Vomeris impatiens.Pulsis dominentur aratris
151. Dipsades, et sitiens attollat gleba cerastas.
152. Quid me temperies iuvit? Quid mitior aether?
153. Gildoni foecunda fui: iam Solis habenae
154. Bis senas torquent hiemes, cervicibus ex quo
155. Haeret triste iugum. Nostris iam luctibus ille
156. Consenuit, regnumque sibi tot vindicat annos.
157. Atque utinam regnum! Privato iure tenetur,
158. Exigui specie fundi, quod Nilus et Atlas
159. Dissidet: occiduis quod Gadibus arida Barce,
160. Quodque Paraetonio secedit litore Ganges;
161. Hoc sibi transcripsit proprium: pars tertia mundi,
162. Unius praedonis ager. Distantibus idem
163. Inter se vitiis cinctus quodcumque profunda
164. Traxit avaritia, luxu peiore refundit.
165.   Instat terribilis vivis, morientibus haeres,
166.  Virginibus raptor, thalamis obscoenus adulter. 
La Toscana e la Campania, le messi di Cincinnato (30) e di Curio (31) sarebbero sufficienti ai miei bisogni e, fedele al suo aratro, un dittatore offrirebbe il raccolto alla patria che lo reclama!
Che farò oggi? La Libia è di Gildone e l’Egitto ce l’ha la mia rivale. Ed io, che accolsi tra le mie braccia terre e mare, mi lascio andare, mentre alla mia vecchiezza si rifiuta il premio che essa merita! O Dei, del cui sdegno mi sono nutrita, soccorrete alfine! Calmate il Padre, e tu, Cibele (32), che, portata dalle onde, hai lasciato l’Ida per il monte Palatino e lavi i tuoi leoni nell’acqua di Almone (33), che preferisci a quella di Frigia! Muovi con le tue preghiere tuo figlio! Se però le Parche (34)  non lo permettono, se l’antichità fu il trastullo di auguri menzogneri, allora sacrificate Roma con un altro flagello e mutate lo strumento della vostra vendetta! Che Porsenna (35) faccia ritornare i Tarquini, che Allia (36) rinnovi i suoi funesti combattimenti: consegnatemi piuttosto nelle mani del barbaro Pirro, al furore dei Senoni (37), alle fiamme di Brenno (38). Tutto mi sembrerà meno crudele di questa carestia.”
A queste parole piange e smette di parlare. Insieme a lei piangono Citerea (39) e Marte, padre dei romani. Anche Minerva piange al ricordo della casta Vesta e Giunone e Cibele hanno gli occhi bagnati di lacrime. Gli eroi che Roma venera e gli Dei, se ve ne sono, che ricevette o creò lei stessa, si abbandonano al dolore. Anche Giove comincia a commuoversi ma calma con la mano questa rumorosa tristezza. 
D’un tratto, in mezzo agli astri, colpiti dalle sue urla clamorose, appare l’Africa, col volto martoriato, le vesti a brandelli, le spighe della sua ghirlanda sparse qua e là, l’avorio che le fermava la chioma è spezzato e i pezzetti sono impigliati ai capelli. Essa irrompe dentro le porte celesti urlando: “Sommo Giove, perché permetti che tuo fratello adirato (40), sconvolti tutti i legami della natura e distrutte le leggi del mare, si scateni contro gli umani? Ti chiedo allora di annegare per prima, che fin qui arrivino i mari siciliani, che le città siano sommerse e dischiusi i mari della Sirte (41). Se il destino non può togliermi Gildone, almeno togli me a lui. Invidio la felicità di questa parte della Libia, bruciata dal sole: l’eccesso di calore è per essa un bastione che la mette al riparo dal tiranno. Che la zona assolata si estenda, che il cerchio che divide il cielo avvolga anche me coi suoi fuochi; senza coltivazioni e senza abitanti sarei più felice! Che le vipere regnino dove prima crescevano le spighe, che la zolla assetata generi serpenti! A che mi è servito un clima più dolce, un cielo più mite? Sono stata feconda solo per Gildone. Da quando al mio collo è attaccato questo giogo fatale, il Sole ha già volto le sue briglie per dodici inverni; costui è invecchiato in mezzo ai nostri lutti, possedendo da tanti anni quel regno. E che regno è mai? Come se si trattasse di un campicello, egli lo occupa con una sorta di diritto privato, fra Nilo e Atlante, con Gade e l’arida Barce a occidente, dal litorale di Paretonio al Gange (42). Se lo è preso come fosse suo: la terza parte del mondo è il fondo di un solo predone. Si è accaparrato tutto, armatosi di vizi tra loro diversi, con una profonda avarizia, e lo ha restituito con un fasto ancor peggiore. 
Incalza terribile i vivi, erede dei moribondi, seduttore di vergini, adultero osceno nel letto coniugale.
 
NOTE
30 Lucio Quintio Cincinnato, senatore romano e console nel 460 a. C. Allo scadere del mandato si ritirò in un suo campicello; nel 458 fu creato dittatore per combattere gli Equi e i Volsci che minacciavano Roma. Li sconfisse e li costrinse a passare sotto il giogo, per cui gli furono tributati onori trionfali. Nel 439 dovette lasciare ancora l’aratro per assumere la dittatura e opporsi a Spurio Melio che aspirava alla tirannia. Questi, citato in tribunale, si rifiutò di comparirvi e fu ucciso.
31 Probabilmente M. Curio Dentato, vincitore dei Sabini. Cfr. nota 27.
32  Cibele era divinità frigia, identificata in Grecia e a Roma con la “Grande Madre” degli dei. Aveva sul capo una corona simile alle mura di una città ed era portata da un carro tirato da leoni. Il suo rito orgiastico era affidato ai Coribanti ed era accompagnato dalla frenesia di flauti, cimbali, tamburelli e timpani. Il luogo era l’Ida, la catena di monti che va dalla Frigia alla Troade e specialmente il monte Dindimo. Uno degli oggetti sacri al suo culto era una pietra che Attalo di Pergamo donò ai Romani, portata solennemente a Roma dalla Galazia nel 204 a.C. e custodita nel tempio della Vittoria sul Palatino col nome di Bona Dea.
33 L’Almone era un piccolo affluente del Tevere a sud di Roma, dove i sacerdoti di Cibele ogni anno lavavano la statua della dea e tutti gli arredi sacri appartenenti al suo culto.
34 Le Parche, figlie della Notte, erano tre: Cloto, Lachesi e Atropo: la prima teneva la conocchia, la seconda avvolgeva il filo al fuso, la terza lo tagliava con le cesoie.
35 Re etrusco di Chiusi che, secondo una tradizione romana, sollecitato da Tarquinio il Superbo per essere ricollocato sul trono, avrebbe assediato Roma ponendo il campo sul Gianicolo ma poi, ammirato per la resistenza dei Romani (famosi gli episodi di Orazio Coclite, di Clelia e di Muzio Scevola), avrebbe desistito dall’assedio e, restituiti gli ostaggi, avrebbe offerto doni alla città. 
36 Affluente di sinistra del Tevere, celebre per la battaglia svoltasi presso la sua foce nel 390. A.C. nella quale i Romani vennero sconfitti dai Galli.
37 Senoni, popolazione della Gallia Lugdunese, con capitale Agedincum, oggi Sens. Cfr. Caes. B. G. 5, 54, 2 ed altr.
38 Capo delle orde galliche che nel 390 a.C., sconfitti i Romani all’Allia, raggiunse Roma e assediò il Campidoglio. Mentre si stava patteggiando la pace, i Romani, accortisi che i Galli usavano pesi falsi per pesare l’oro che esigevano per lasciare Roma, protestarono. Secondo la leggenda Brenno gettò la propria spada sul piatto gridando: “Guai ai vinti!” (Vae victis!)
39 Soprannome di Venere dall’isola di Citera che le era sacra.
40 Posidone/Nettuno, re del mare.
41 Le Sirti erano due grandi insenature e bassi fondi sulle coste dell’Africa e precisamente: Sirtis maior, presso la Cirenaica, oggi golfo di Sidra; Sirtis minor, a sud della Bizacena, oggi golfo di Gabes.
42 Il territorio usurpato da Gildone si stendeva dalla catena montuosa dell’Atlante, sulla quale, secondo la leggenda, poggiava il cielo, fino al Nilo, avendo a occidente Cadice nell’isola di Leon (Gade) e la città di El-Mary in Libia (Barce), e a oriente la città di El-Barech in Egitto (Paraetonius)

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