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De bello gildonico pag. 4
Claudius Claudianus
167.   Nulla quies: oritur, praeda cessante, libido;
168.   Divitibusque dies, et nox metuenda maritis. 
169.  Quisquis vel locuples, pulchra vel coniuge notus,
170.  Crimine pulsator falso: si crimina desunt,
171.  Accitus conviva perit; mors nulla refugit
172.  Artificem: varios succos spumasque requirit
173.  Serpentum virides, et adhuc ignota novercis
174.  Gramina. Si quisquam vultu praesentia damnet,
175.  Liberiusve gemat, dapibus crudelis in ipsis
176.  Emicat ad nutum stricto mucrone minister.
177.  Fixus quisque toro tacita formidine libat
178.  Carnifice epulas; incertaque pocula pallens
179.  Haurit, et intentos capiti circumspicit enses.
180.  Splendet Tartareo furialis mensa paratu,
181.  Caede madens, atrox gladio suspecta veneno.
182.  Ut vino calefacta Venus, tum saevior ardet
183.  Luxuries: mixtis redolent unguenta coronis.
184.  Crinitoe inter famulos, pubemque canoram,
185.  Orbatas iubet ire nurus, nuperque parentis
186.  Arridere viris. Phalarin, tormentaque flammae,
187.  Profuit, et Siculi mugitus ferre iuvenci,
188.  Quam tales audire choros. Nec damna pudoris
189.  Turpia sufficiunt. Mauris clarissima quaeque
190.  Fastidita datur: media Carthagine ductae,
191.  Barbara Sidoniae subeunt connubia matres.
192.  Aethiopem nobis generum, Nasamona maritum,
193.  Iugerit: exterret cunabula discolor infans.
194.  His fretus sociis, ipso iam principe maior
195.  Incedit. Peditum praecurrunt  agmina longe:
196.  Circumdant equitum turmae, regesque clientes,
197.  Quos nostris ditat spoliis: proturbat avita
198.  Quemque domo: veteres detrudit rure colonos.
199.  Exiliis dispersa feror: nunquamne reverti
200.  Fas erit, errantesque solo iam reddere cives?
201.  Iret adhuc in verba dolor, ni Iupiter alto
202.  Coepisset solio: voces adamante notabat
203.  Atropos; et Lachesis iungebat stamina dictis.
204.  Ne te, Roma, diu, nec te patiemur inultam,
205.  Africa; communem prosternet Honorius hostem.
206.  Pergite securae.Vestrum vis nulla tenorem
207.  Separat: et soli famulabitur Africa Romae.
208.  Dixit et afflavit Romam meliore iuventa.
209.  Continuo redit ille vigor, seniique colorem
210.  Mutavere comae. Solidatam crista resurgens
211.  Erexit galeam; clipeique recanduit orbis,
212.  Et levis excussa micuit rubigine cornus.
213.  Humentes iam Noctis equos Lethaeaque Somnus
214.  Frana regens, tacito volvebat sidera curru.
215.  Iam duo Divorum proceres, seniorque minorque
216.  Theodosii, pacem laturi gentibus, ibant;
217.  Qui Iovis arcanos monitus, mandataque ferrent
218.  Fratribus, et gemini sancirent foedera regnis.
219.  Sic, cum praecipites artem vicere procellae,
220.  Assiduoque gemens undarum verbere nutat
221.  Descensura ratis, caeca sub nocte vocati,
222.  Naufraga Laedaei sustentant vela Lacones.
Non ha mai pace: quando la preda non c’è, nasce la cupidigia; i ricchi devono temere il giorno e i mariti la notte. Chiunque sia noto per la sua ricchezza o la bellezza della moglie, viene accusato falsamente; se non vi sono crimini, viene invitato a un banchetto e ucciso: quello se ne intende di ogni tipo di morte, va in cerca di succhi diversi, delle verdi bave di serpente e di piante ignote anche alle matrigne (43). Se qualcuno tradisce il suo orrore cominciando a gemere, verrà ucciso proprio durante quel pasto dal pugnale di uno sgherro balzato fuori a un suo cenno. Con tacito sbigottimento ognuno liba, inchiodato dalla paura sul triclinio, durante questi banchetti assassini, trangugiando pallido incerte bevande, mentre tutto intorno scorge spade sospese sul suo capo. Quella forsennata mensa rifulge di preparativi di morte, ubriaca di strage, atroce per le spade ma sospetta per il veleno. Appena Venere è riscaldata dal vino, arde più furiosa la lussuria: tra le corone olezzano gli unguenti. Costringe le giovani vedove a mescolarsi agli schiavi dai lunghi capelli e ai giovani che cantano e a ridere dell’assassinio dei loro sposi. Migliori sarebbero stati per loro i tormenti delle fiamme di Falaride (44) e i muggiti del toro siculo che questi cori, e l’aver tolto loro l’onore è ancora poca cosa! Le più nobili vengono consegnate, piene di ribrezzo, ai mauri: le madri sidonie (45), trascinate a Cartagine, devono sottomettersi a barbari amplessi. 
Quello assegna un etiope (46) per genero e un nasamone (47) per marito, così che un neonato di due colori farà inorridire la sua culla. 
Egli avanza, assistito dai compagni, più potente dello stesso imperatore; lo precedono schiere di fanti, lo circondano squadroni di cavalleria e i re clienti che egli arricchisce con le nostre spoglie. Scaccia tutti dalla casa degli avi e gli antichi coloni dalle campagne. Erro in esilio per luoghi diversi; mi concederà mai il destino di ritornare e di rendere alla loro patria i miei cittadini dispersi?”
Il dolore sfumerebbe in parole se Giove, dal suo trono celeste, non cominciasse a parlare mentre Atropo annota con una punta d’acciaio le sue parole e Lachesi le unisce coi suoi fili. “Non ti sopporteremo a lungo invendicata, Roma, e te nemmeno, Africa; Onorio abbatterà il comune nemico. Incamminatevi sicure: nessuna forza farà divergere il vostro cammino e l’Africa sarà al servizio del sole di Roma:”
Dice e alita in Roma la giovinezza: immediatamente le ritorna un novello vigore e i capelli bianchi mutano colore: l’elmo le si riassesta sul capo, il pennacchio si raddrizza, lo scudo riacquista il suo splendore e la lancia, divenuta leggera, luccica perché la ruggine è caduta. 
Già il Sonno guida gli umidi cavalli della notte reggendo le briglie letee (48) e facendo girare le stelle col suo tacito carro. I due più illustri tra gli dei, i due Teodosi, (49) nonno e padre, vanno a recar pace alle nazioni e a portare, su incarico di Giove, i suoi arcani ammonimenti ai fratelli e a stringere alleanza fra i due regni. Così gli astri di Leda, (50) invocati nella buia notte, sostengono le vele naufragate quando l’impeto della tempesta ha sopraffatto la perizia del pilota e la barca, sotto i colpi continui delle onde, oscilla scricchiolando nel discendere la corrente. 
NOTE
43 Secondo un topos della letteratura classica le matrigne cercavano sempre di avvelenare i figli di primo letto del marito.
44 Tiranno di Agrigento (nato a Creta nel VI sec. a.C.) Una vasta aneddotica ha sommerso la sua vera biografia. Oriundo di Astipalea, si trasferì in Sicilia e con l’astuzia si impadronì del potere ad Agrigento regnando con crudeltà inaudita. Famosissimo il cosiddetto toro di Falaride, simulacro taurino di bronzo cavo entro il quale venivano fatti morire per fuoco i rei di lesa maestà. Le urla  dei suppliziati uscivano dal toro come fossero muggiti. Il tiranno fu ucciso da una insurrezione popolare.
45 Di Sidone, la più antica e importante città della Fenicia, a nord di Tiro, oggi Saida. Per metonimia = fenicie.47 Abitante dell’Etiopia, per metonimia: negro.
46 Abitante dell’Etiopia, per metonimia: negro.
47 I Nasamoni erano una popolazione  che viveva sulla grande Sirte. Metonimia per africano in genere.
48 Del Lete, fiume dell’Inferno. Le anime dei defunti, tuffandosi o bevendone le acque, perdevano la memoria del passato. Qui nel senso di: apportatrici di oblio.
49 Cfr. Introduzione.
50 Sono i Dioscuri, cioè i due gemelli Castore e Polluce, figli di Zeus e Leda, protettori dei naviganti in difficoltà. Erano raffigurati come due giovani su cavalli bianchi, con elmo e lancia, e ognuno con una stella sul capo. Questo particolare ricordava una tempesta che essi fecero cessare durante la spedizione degli Argonauti, dopo la quale le stelle rifulsero sulla nave e sulle loro teste.

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