284.
Tollite Massylas fraudes; removete bilingues
285. Insidias, et verba soli
spirantia virus.
286. Ne consanguineis certetur
comminus armis,
287. Ne, precor: haec trucibus
Thebis, haec digna Mycenis;
288. In Mauros hoc crimen
eat. Quid noster iniquum
289. Molitur Stilichon? Quando
non ille iubenti
290. Paruit? An quisquam
nobis devotior extat?
291. Ut sileam varios, mecum
quos gesserit, actus;
292. Quae vidi post fata,
loquar: cum Divus abirem,
293. Res incompositas, fateor,
tumidasque reliqui.
294. Stringebat vetitos etiamnum
exercitus enses
295. Alpinis odiis; alternaque
iurgia victi
296. Victoresque dabant:
vix haec amentia nostris
297. Excubiis, nedum puero
rectore, quiesset
298. Heu quantum timeo vobis,
quid libera tanti
299. Militis auderet moles,
cum caeca remoto
300. Ferveret iam laeta metu!
Dissensus acerbus,
301. Sed gravior consensus
erat: tunc ipse paterna
302. Successit pietate mihi;
tenerumque rudemque
303. Fovit, et in veros eduxit
principis annos:
304. Rufinumque tibi, quem
tu tremuisse fateris,
305. Depulit: hunc solum
memorem, solumque fidelem,
306. Experior: volui si quid,
dum vita maneret,
307. Aut visus voluisse,
gerit: venerabilis illi,
308. Ceu numen praesensque,
vocor. Si tanta recusas,
309. At soceri reverere faces;
at respice fratris
310. Connubium, pignusque
meae regale Serenae.
311. Debueras etiam fraternis
obvius ire
312. Hostibus, ille tuis.
Quae gens, quis Rhenus et Ister
313. Vos opibus iunctos,
conspirantesque, tulisset?
314. Sed tantum permitte
cadat: nil poscimus ultra.
315. Ille licet sese praetentis
Syrtibus armet,
316. Oppositoque Atlante
tegat; licet arva referta
317. Anguibus, et Solis medios
obiecerit aestus;
318. Novi consilium, novi
Stilichonis in omnes
319. Aequalem casus animum:
penetrabit arenas:
320. Inveniet virtute viam:
sic Divus; et inde
321. Sic natus: Iussis, genitor,
parebitur ultro.
322. Amplector praecepta
lubens: nec carior alter
323. Cognato Stilichone mihi:
commissa profanus
324. Ille luat: redeat iam
tutior Africa fratri.
325. Talia dum longo secum
sermone retexunt,
326. Hesperiam pervenit avus,
castumque cubile
327. Ingreditur, Tyrio qua
fusus Honorius ostro
328. Carpebat teneros Maria
cum coniuge somnos.
329. Assistit capiti: tunc
sic per somnia fatur:
330. Tantane devictis tumuit
fiducia Mauris,
331. Care nepos? Iterum,
post me, coniurat in arma
332. Progenies vesana Iubae,
bellumque resumit
333. Victoris cum stirpe
sui? Firmumne iacentem
334. Obliti, Lybiam, nostro
sudore receptam,
335. Rursus habent? Ausus
latio contendere Gildon?
336. Germani nec fata timet?
Nunc ire profecto
337. Nunc vellem, notosque
senex ostendere vultus.
338. Nonne meam fugiet Maurus,
cum viderit, umbram?
339. Quid dubitas?exurge
toris: invade rebellem.
340. Captivum mihi redde
meum: desiste morari.
341. Hoc generi fatali tuo:
dum samguis in orbe
342. Noster erit, semper
pallebit regia Bocchi.
343. Iungantur spoliis Firmi
Gildonis opima.
344. Exornet geminos Maurusia
laurea currus.
345. Una domus toties una
de gente triumphet.
346. Di bene, quod, tantis
interlabentibus annis,
347. Servati Firmusque mihi,
fraterque nepoti. |
Respingete
l’inganno africano, allontanate le insidie bilingui (61)
e le parole impestate dal sole. Che non si arrivi a una guerra fratricida,
ve ne scongiuro, questa è cosa degna della feroce Tebe (62)
o di Micene (63);
che tale crimine ricada sui mauri.
Che ingiustizie ha commesso il
nostro Stilicone? Quando mai ha disubbidito a un tuo ordine? V’è
forse ancora qualcuno a noi più devoto? Per non parlare delle imprese
compiute al mio fianco! Dirò quello che ho visto dopo la mia morte:
andandomene tra gli Dei, ho lasciato - lo confesso - molte cose incompiute
e animi ribollenti di passioni. L’esercito stringeva ancora le spade proibite
per odii alpini e vinti e vincitori si ingiuriavano a vicenda: questa pazzia
si sarebbe a stento placata sotto la mia vigilanza, figurarsi che avrebbe
potuto fare un fanciullo al posto di comando! Quanto ho temuto per voi
figli! Che cosa avrebbero osato guerrieri così valorosi se fossero
stati liberi. allorché, scomparsa la paura, si diedero a cieche
sfrenatezze. Il dissenso era acerbo ma più grave ancora il consenso:
proprio allora quello mi succedette nell’amore paterno e sostenne il bambinello
inesperto allevandolo fino all’età giusta per un principe e ti allontanò
quel Rufino (64)
davanti al quale confessi di avere tremato. La mia esperienza mi dice che
lui solo ti è riconoscente, lui solo fedele; se mai qualcosa io
ho voluto da vivo o se anche solo sembro che la volessi, ebbene, quello
la fece; mi invoca e mi venera come una divinità benevola. Se rifiuti
servigi così grandi riveriscilo almeno come suocero, almeno rispetta
le nozze di tuo fratello e il figlio regale della mia Serena. (65)
Tu avresti dovuto marciare contro i nemici di tuo fratello ed egli contro
i tuoi: quale popolo sul Reno e sull’Istro avrebbe potuto resistere allora
alle vostre forze riunite e alla vostra concordia? Lascia che Gildone solo
perisca, non chiedo di più; lascia che quello si armi con le Sirti
africane e che si copra opponendoti l’Atlante. Ci opponga pure i campi
pieni di serpenti e il calore del sole meridionale; conosco la prudenza
di Stilicone, conosco il suo animo imperturbabile in ogni situazione: egli
entrerà su quelle distese di sabbia e troverà la via giusta
col suo valore.” Così parla Teodosio e di rimando il figlio: “Ubbidirò
ai tuoi ordini, padre, e di buon grado farò tesoro dei suoi insegnamenti.
Né alcun altro parente mi sarà più caro di Stilicone;
che l’empio Gildone sconti i suoi misfatti e che l’Africa, ormai sicura,
ritorni in possesso di mio fratello.”
Mentre i due si svelano in questo
lungo dialogo le loro intenzioni, l’avo giunge in Italia ed entra nel casto
talamo dove Onorio, disteso su un tessuto di porpora, gode dolci sonni
con la moglie Maria. (66)
Si avvicina al suo capezzale e così gli parla attraverso il sonno:
“E’ forse cresciuta la fiducia dei mauri dopo la loro sconfitta, caro nipote?
Di nuovo, dopo di me, congiura in armi la stolta progenie di Giuba, (67)
riprendendo le ostilità coi discendenti del suo vincitore? Dimentiche
della fine di Fermo, (68)
essi possiedono di nuovo la Libia recuperata dal mio valore? Gildone osa
misurarsi coi latini? E non teme il destino di suo fratello? Se potessi
marciare ancora contro di lui e mostrargli anche da vecchio il mio aspetto,
che quello ben conosce! Non fuggirà forse il mauro perfino la mia
ombra, quando la vedrà? Ne dubiti forse? Alzati da questo letto,
attacca quel ribelle e riconsegnamelo prigioniero; non indugiare più.
Questo vuole il destino della tua razza; finché al mondo vi sarà
una goccia del mio sangue, sempre impallidirà la reggia di Bocco.
Le spoglie opime di Gildone siano unite a quelle di Fermo; l’alloro mauritano
adorni il tuo cocchio, come ha adornato il mio. Un solo casato trionfi
più volte di una sola popolazione! O Dei, vi ringrazio che, a distanza
di anni, avete riservato Fermo a me e Gildone a mio nipote.”
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