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De bello gildonico pag. 7
Claudius Claudianus
348.  Dixit, et afflatus vicino sole refugit.
349.  At iuvenem, stimulis immanibus aemula virtus
350.  Exacuit: iam puppe vehi, iam stagna secare
351.  Fervet, et absentes invadere cuspide Mauros.
352.  Tum iubet acciri socerum, dextramque vocato
353.  Conserit, et quae sit potior sententia, quaerit.
354.  Per somnos mihi, sancte pater, iam saepe futura
355.  Panduntur; multaeque canunt praesagia noctes.
356.  Namque procul Libyco venatu cingere saltus,
357.  et iuga rimari canibus Gaetula, videbar.
358.  Moerebat regio saevi vastata leonis
359.  incursu: pecudum strages, passimque iuvenci
360.  Semineces, et adhuc infecta mapalia tabo,
361.  Sparsaque sanguineis pastorum funera campis.
362.  Aggredior latebras monstri, mirumque relatu
363.  Conspicio: dilapsus honos: cervice minaces
364.  Defluxere iubae: fractos inglorius armos
365.  Supposuit, servile gemens; ingestaque vincla
366.  Unguibus, et subitae collo sonuere catenae.
367.  Nunc etiaqm paribus secum certare tropaeis
368.  Hortator me cogit avus. Quonam usque morati
369.  Cunctamur? Decuit pridem complere biremes,
370.  Et pelagi superare minas: transmittere primus
371.  Ipse paro: quaecumque meo gens barbara nutu
372.  Stringitur, adveniat. Germania cuncta feratur
373.  Navibus, et socia comitentur classe Sygambri.
374.  Pallida translatum iam sentiat Africa Rhenum.
375.  An patiar tot probra sedens; iuvenisque relinquam,
376.  Quae tenui rexique puer? Bis noster ad Alpes
377.  Alterius genitor defensum regna cucurrit:
378.  Nos praedae faciles, insultandique, iacemus?
379.  Finierat. Stilichon contra cui talia reddit:
380.  Adversine tubam, princeps, dignabere Mauri?
381.  An feret ignavus clari solatia fati,
382.  Te bellante mori? Decernet Honorius inde,
383.  Hinc Gildon? Prius astra Chaos miscebit Averno.
384.  Vindictam mandasse sat est. Plus nominis horror,
385.  Quam tuus ensis, aget: minuit praesentia famam.
386.  Qui stetit, oequatur campo; collataque nescit
387.  Maiestatem acies: sed, quod magis utile facto,
388.  Atque hosti gravius, (sensus adverte) docebo.
389.  Est illi patribus, sed non et moribus, isdem
390.  Mascezel; fugiens qui dira piacula fratris,
391.  Spesque suas vitamque tuo commisit asylo.
392.  Hunc ubi tentatis frustra mactare nequivit
393.  Insidiis, patrias in pignora contulit iras;
394.  Et, quos ipse sinu parvos gestaverat, una
395.  Obtruncat iuvenes: inhumataque corpora vulgo
396.  [Dispulit,] et tumulo cognatas arcuit umbras:
397.  Naturamque simul, fratremque hominemque, cruentus
398.  Exuit, et tenuem caesis invidit arenam.
399.  Hoc facinus refugo damnavit sole Mycenas,
400.  Avertitque diem: sceleri sed reddidit Atreus
401.  Crimen, et infandas excusat coniuge mensas.
Dice e scompare all’appressarsi del sole. Allora lo stesso valore infiamma il giovane, stimolandolo all’emulazione: egli già non vede l’ora di veleggiare, di solcare il mare e di assalire con la sua lancia i mauri ancora lontani. Manda a chiamare il suocero e, stringendogli la mano, gli chiede quale sia la cosa migliore da farsi.
“Nel sonno, santo padre, mi vengono spesso svelate le cose future e di notte mi sono spesso vaticinati i presagi. Infatti, pur non trovandomi a caccia in Africa, mi pareva di circondarne le selve e di esplorare le montagne getule coi cani; poiché la Libia era devastata da un feroce leone, ben meritava essa questa incursione del re: v’erano infatti stragi di bestiame e di giovenchi morenti qua e là, capanne infettate dalla peste e ossa di pastori disperse su campi inondati di sangue. Allora aggredisco il rifugio di quel mostro e scorgo, incredibile a dirsi, che la sua fierezza è sparita, che la criniera, prima minacciosa, ora gli penzola dal capo e che quel vigliacco prostra le sue spalle vinte, gemendo servilmente; dei legacci gli serrano gli artigli e sul collo gli sferragliano delle catene. Ora anche il mio avo, con le sue esortazioni, mi spinge ad affrontare quel mostro per ottenere il trofeo che egli ha già avuto. Fino a che punto indugeremo e temporeggeremo? Già da gran tempo avremmo dovuto riempire le biremi e superare le minacce del mare: io stesso mi preparo a passare di là per primo. Che arrivino tutte quelle popolazioni barbare che sono raffrenate dal mio comando, che tutta la Germania sia trasportata su navi e ad essa si uniscano i Sigambri (69) con una flotta alleata. E che l’Africa, pallida di paura, abbia l’impressione che sia trasportato tutto il Reno. Sopporterò tante infamie in silenzio e abbandonerò da giovane quello che ho tenuto e governato da fanciullo? Due volte mio padre corse alle Alpi per difendere un regno straniero (70) e io resterò esposto, facile preda, agli insulti?”
Così disse e Stilicone gli rispose nel modo seguente: “Riterrai degna, mio principe, la tromba di guerra del nemico mauro? Quel codardo avrà il conforto di trovare una morte gloriosa sotto i tuoi colpi? E dunque combatterà Onorio contro Gildone? Prima il caos mescolerà le stelle con l’Averno (71). E’ sufficiente affidare ad altri la vendetta: lo spavento all’udire il tuo nome sarà più efficace della tua spada, poiché la presenza nuoce alla fama. Chi rimane viene reso uguale dal campo di battaglia e del resto l’esercito schierato non riconosce la maestà del re. Ma ascolta, che ti illustrerò un progetto più utile a te e più funesto al nemico. Quello ha un fratello, Mascezel, (72) che è tale per lo stesso sangue ma non per gli stessi costumi; egli, fuggendo la crudeltà e le nefandezze del fratello, ha affidato alla tua ospitalità le sue speranze e la sua vita. E poiché quello non è riuscito a ucciderlo, nonostante tutte le insidie che gli ha teso, ha trasferito sui figli l’odio che nutre per il padre e quelli stessi che da piccoli ha amato, ora li uccide da giovani lasciandone insepolti i corpi e negando una tomba all’ombra dei congiunti. Quel sanguinario ha dimenticato la natura, il fratello e ogni sentimento umano, non concedendo agli uccisi nemmeno un granello di polvere. Questo delitto condannò Micene alla scomparsa del sole sovvertì il giorno; e Atreo, opponendo delitto a delitto, giustificò con la sposa il suo orribile pasto. (73) 
NOTE
69 Popolazione germanica stanziata tra la Sieg e la Ruhr fino alla Lippe nelle vicinanze della odierna Colonia.
70 Claudiano allude a quando Teodosio, per difendere i territori di Valentiniano II (Italia, Illirico, Africa), sconfisse nella battaglia di Siscia nell’Illirico (388 d.C.) l’usurpatore Magno Massimo e in seguito, nel 394, accorrendo da oriente dopo l’assassinio di Valentiniano II, l’altro usurpatore Flavio Eugenio e il generale franco Arbogaste che lo sosteneva nella battaglia sul fiume Frigido (oggi Vipacco), affluente dell’Isonzo. 
71 Sinonimo di Inferno.
72 Cfr. Introduzione.
73 Atreo era fratello di Tieste e padre di Agamennone e Menelao. Sposò Aerope, figlia di Euristeo re di Argo, e successe a quest’ultimo. Tieste gli sedusse la moglie ed egli, dopo aver finto di perdonarlo, gli fece mangiare in un convito carni dei figli di lui. Dissero gli antichi che il Sole, inorridito per un delitto tanto atroce, arretrò sul proprio cammino. Più tardi Tieste istigò il proprio figlio Egisto a uccidere Atreo e a occuparne il regno. Così fece Egisto che poi scacciò Agamennone e Menelao. Tutta la stirpe degli Atridi fu poi terribilmente punita dagli dei.

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