348.
Dixit, et afflatus vicino sole refugit.
349. At iuvenem, stimulis
immanibus aemula virtus
350. Exacuit: iam puppe vehi,
iam stagna secare
351. Fervet, et absentes
invadere cuspide Mauros.
352. Tum iubet acciri socerum,
dextramque vocato
353. Conserit, et quae sit
potior sententia, quaerit.
354. Per somnos mihi, sancte
pater, iam saepe futura
355. Panduntur; multaeque
canunt praesagia noctes.
356. Namque procul Libyco
venatu cingere saltus,
357. et iuga rimari canibus
Gaetula, videbar.
358. Moerebat regio saevi
vastata leonis
359. incursu: pecudum strages,
passimque iuvenci
360. Semineces, et adhuc
infecta mapalia tabo,
361. Sparsaque sanguineis
pastorum funera campis.
362. Aggredior latebras monstri,
mirumque relatu
363. Conspicio: dilapsus
honos: cervice minaces
364. Defluxere iubae: fractos
inglorius armos
365. Supposuit, servile gemens;
ingestaque vincla
366. Unguibus, et subitae
collo sonuere catenae.
367. Nunc etiaqm paribus
secum certare tropaeis
368. Hortator me cogit avus.
Quonam usque morati
369. Cunctamur? Decuit pridem
complere biremes,
370. Et pelagi superare minas:
transmittere primus
371. Ipse paro: quaecumque
meo gens barbara nutu
372. Stringitur, adveniat.
Germania cuncta feratur
373. Navibus, et socia comitentur
classe Sygambri.
374. Pallida translatum iam
sentiat Africa Rhenum.
375. An patiar tot probra
sedens; iuvenisque relinquam,
376. Quae tenui rexique puer?
Bis noster ad Alpes
377. Alterius genitor defensum
regna cucurrit:
378. Nos praedae faciles,
insultandique, iacemus?
379. Finierat. Stilichon
contra cui talia reddit:
380. Adversine tubam, princeps,
dignabere Mauri?
381. An feret ignavus clari
solatia fati,
382. Te bellante mori? Decernet
Honorius inde,
383. Hinc Gildon? Prius astra
Chaos miscebit Averno.
384. Vindictam mandasse sat
est. Plus nominis horror,
385. Quam tuus ensis, aget:
minuit praesentia famam.
386. Qui stetit, oequatur
campo; collataque nescit
387. Maiestatem acies: sed,
quod magis utile facto,
388. Atque hosti gravius,
(sensus adverte) docebo.
389. Est illi patribus, sed
non et moribus, isdem
390. Mascezel; fugiens qui
dira piacula fratris,
391. Spesque suas vitamque
tuo commisit asylo.
392. Hunc ubi tentatis frustra
mactare nequivit
393. Insidiis, patrias in
pignora contulit iras;
394. Et, quos ipse sinu parvos
gestaverat, una
395. Obtruncat iuvenes: inhumataque
corpora vulgo
396. [Dispulit,] et tumulo
cognatas arcuit umbras:
397. Naturamque simul, fratremque
hominemque, cruentus
398. Exuit, et tenuem caesis
invidit arenam.
399. Hoc facinus refugo damnavit
sole Mycenas,
400. Avertitque diem: sceleri
sed reddidit Atreus
401. Crimen, et infandas
excusat coniuge mensas. |
Dice
e scompare all’appressarsi del sole. Allora lo stesso valore infiamma il
giovane, stimolandolo all’emulazione: egli già non vede l’ora di
veleggiare, di solcare il mare e di assalire con la sua lancia i mauri
ancora lontani. Manda a chiamare il suocero e, stringendogli la mano, gli
chiede quale sia la cosa migliore da farsi.
“Nel sonno, santo padre, mi vengono
spesso svelate le cose future e di notte mi sono spesso vaticinati i presagi.
Infatti, pur non trovandomi a caccia in Africa, mi pareva di circondarne
le selve e di esplorare le montagne getule coi cani; poiché la Libia
era devastata da un feroce leone, ben meritava essa questa incursione del
re: v’erano infatti stragi di bestiame e di giovenchi morenti qua e là,
capanne infettate dalla peste e ossa di pastori disperse su campi inondati
di sangue. Allora aggredisco il rifugio di quel mostro e scorgo, incredibile
a dirsi, che la sua fierezza è sparita, che la criniera, prima minacciosa,
ora gli penzola dal capo e che quel vigliacco prostra le sue spalle vinte,
gemendo servilmente; dei legacci gli serrano gli artigli e sul collo gli
sferragliano delle catene. Ora anche il mio avo, con le sue esortazioni,
mi spinge ad affrontare quel mostro per ottenere il trofeo che egli ha
già avuto. Fino a che punto indugeremo e temporeggeremo? Già
da gran tempo avremmo dovuto riempire le biremi e superare le minacce del
mare: io stesso mi preparo a passare di là per primo. Che arrivino
tutte quelle popolazioni barbare che sono raffrenate dal mio comando, che
tutta la Germania sia trasportata su navi e ad essa si uniscano i Sigambri
(69) con una
flotta alleata. E che l’Africa, pallida di paura, abbia l’impressione che
sia trasportato tutto il Reno. Sopporterò tante infamie in silenzio
e abbandonerò da giovane quello che ho tenuto e governato da fanciullo?
Due volte mio padre corse alle Alpi per difendere un regno straniero (70)
e io resterò esposto, facile preda, agli insulti?”
Così disse e Stilicone gli
rispose nel modo seguente: “Riterrai degna, mio principe, la tromba di
guerra del nemico mauro? Quel codardo avrà il conforto di trovare
una morte gloriosa sotto i tuoi colpi? E dunque combatterà Onorio
contro Gildone? Prima il caos mescolerà le stelle con l’Averno (71).
E’ sufficiente affidare ad altri la vendetta: lo spavento all’udire il
tuo nome sarà più efficace della tua spada, poiché
la presenza nuoce alla fama. Chi rimane viene reso uguale dal campo di
battaglia e del resto l’esercito schierato non riconosce la maestà
del re. Ma ascolta, che ti illustrerò un progetto più utile
a te e più funesto al nemico. Quello ha un fratello, Mascezel, (72)
che è tale per lo stesso sangue ma non per gli stessi costumi; egli,
fuggendo la crudeltà e le nefandezze del fratello, ha affidato alla
tua ospitalità le sue speranze e la sua vita. E poiché quello
non è riuscito a ucciderlo, nonostante tutte le insidie che gli
ha teso, ha trasferito sui figli l’odio che nutre per il padre e quelli
stessi che da piccoli ha amato, ora li uccide da giovani lasciandone insepolti
i corpi e negando una tomba all’ombra dei congiunti. Quel sanguinario ha
dimenticato la natura, il fratello e ogni sentimento umano, non concedendo
agli uccisi nemmeno un granello di polvere. Questo delitto condannò
Micene alla scomparsa del sole sovvertì il giorno; e Atreo, opponendo
delitto a delitto, giustificò con la sposa il suo orribile pasto.
(73) |