403.
Te pater ultorem, te nudi pulvere Manes,
404. Te pietas polluta rogat:
si flentibus aram,
405. Et proprium miseris
numen statuistis, Athenae;
406. Si Pandionias planctu
traxere phalanges
407. Inachides, belloque
rogos meruere maritis;
408. Si moestae squalore
comae, lacrimysque, senatum
409. In Numidas pulsus solio
commovitAdherbal;
410. Hunc quoque nunc Gildon,
tantoquem funere mersit,
411. Hunc doleat venisse
ducem, seseque minorem
412. Supplicibus sciat esse
tuis: quem sede fugavit,
413. Hunc praeceps fugiat:
fregit quem clade, tremiscat;
414. Agnoscatque suum, trahitur
dum victima, fratrem.
415. Haec ubi sederuntgenero,
notissima Marti
416. Robora, praecipuos electa
pube maniplos
417. Disponit, portuque rates
instaurat Etrusco.
418. Herculeam suus Alcides,
Ioviamque cohortem
419. Rex ducit Superum: premitur
nec signifer ullo
420. Pondere: festinant adeo
vexilla moveri.
421. Nervius insequitur,
meritusque vocabula Felix,
422. Dictaque ab Augusto
legio, nomenque probantes
423. Invicti, clypeoque animosi
teste Leones.
424. Dictis ante tamen princeps
confirmat ituros,
425. Aggere conspicuus: stat
circumfusa iuventus
426. Nixa hastis, pronasque
ferox accomodat aures:
427. Gildonemdomitura manus,
promissa minasque
428. Tempus agi: si quid
pro me doluistis in armis,
429. Ostentate mihi. Iusto
magnoque triumpho
430. Civiles abolete notas:
sciat orbis Eous,
431. Sitque palam, Gallos
causa, non robore, vinci.
432. Nec vos, barbariem quamvis
collegeret omnem,
433. Terreat: an Mauri fremitum
raucosque repulsus
434. Umbonum, et vestros
passuri comminus enses?
435. Non contra clypeis tectos,
galeisve micantes,
436. Ibitis: in solis longe
fiducia telis.
437. Exarmatus erit, cum
missile torserit, hostis.
438. Dextra movet iaculum;
praetentat pallia laeva:
439. Caetera nudus eques:
sonipes ignarus habenae:
440. Virga regit: non ulla
fides, non agminis ordo.
441. Arma oneri, fuga praesidio:
connubia mille:
442. Non ulli generis nexus,
non pignora curae;
443. Sed numero languet pietas.
Haec copia vulgi.
444. Umbratus dux ipse rosis,
et marcidus ibit
445. Unguentis, crudusque
cibo, titubansque Lyaeo,
446. Confectus senio, morbis stuprisque
solutus.
447. Excitet incestos turmalis
buccina somnos:
448. Imploret citharas, cantatricesque
choreas,
449. Offensus stridore tubae;
discatque coactus,
450. Quas vigilat Veneri,
castris impendere noctes.
451. Nonne mori satius, vitae
quam ferre pudorem?
452. Nam quae iam regio restat,
si, dedita Mauris
453. Regibus, Illyricis accesserit
Africa damnis?
454. Ius Latium, quod tunc
Meroe, Rubroque solebat
455. Oceano cingi, Tyrrhena
clauditur unda?
456. Et cui non Nilus, non
intulit India metas,
457. Romani iam finis erit
Trinacria regni?
458. Ite, recepturi, praedo
quem sustulit, axem,
459. Ereptumque Notum: caput
insuperabile rerum
460. Aut ruet, in vestris
aut stabit Roma lacertis. |
Questo
fu odio, non vendetta; ad essa ti chiamano invece le leggi oltraggiate,
tuo padre, le anime dei morti prive di sepoltura e la pietà profanata.
Se tu, Atene, hai destinato un altare a chi implora e agli infelici una
loro divinità (74),
se le Inachidi (75)
trascinarono coi loro lamenti le falangi pandionie (76)
e con la guerra procurarono il rogo ai mariti, Se Aderbale (77),
detronizzato, mosse, col suo aspetto a lutto e le sue lacrime, il senato
contro i numidi, ora anche Gildone si dolga che come generale sia venuto
colui che egli ha immerso in così grande dolore e sappia di essere
il meno ascoltato tra quelli che ti supplicano. Lo sconfiggerà rovinosamente
proprio quello che lui ha scacciato dalla patria; tremi dinanzi a colui
che ha voluto fiaccare con tante disgrazie e, mentre viene sacrificato
come vittima, riconosca in lui il fratello.”
Appena vede che il genero approva
il suo consiglio, Stilicone mette in campo i guerrieri più conosciuti
e i manipoli più scelti di giovani e fa preparare le navi in un
porto etrusco. Alcide (78)
guida la sua coorte erculea e il re degli dei la coorte che porta il suo
nome: il vessillifero non avverte alcun peso perché le insegne sembrano
aver fretta di essere trasportate. Dietro ad esse marciano Nervio, Felice,
che ha ben meritato tale nome, la legione che ha preso il nome da Augusto,
gli Invincibili, ben degni del loro epiteto e i Leoni, valorosi come attesta
il loro scudo. Dall’alto di una fortificazione il re incoraggia con le
sue parole le truppe che stanno per mettersi in marcia, mentre i giovani
e bellicosi guerrieri si stringono intorno a lui, appoggiati alle lance,
prestandogli attento ascolto.
“Guerrieri che vincerete Gildone,
ecco giunto il momento di mantenere le promesse e le minacce; mostratemi
con le armi se avete partecipato al mio dolore e cancellate con un trionfo
grande e giusto la vergogna delle discordie civili. Sappia l’oriente, e
lo sappiano tutti, che i Galli (79)
possono essere sconfitti solo dall’occasione ma mai dalla forza; e non
vi spaventi che quello abbia radunato tutte le tribù barbare: i
mauri non sapranno sopportare né il rumore cupo e rimbombante dei
vostri scudi né la vostra spada, quando combatterete da vicino.
Non andrete contro un nemico coperto di scudi e rilucente di spade: l’unica
sua risorsa è nelle frecce; una volta che le avrà scagliate,
resterà disarmato. Il cavaliere regge con la destra l’asta mentre
con la sinistra stende davanti a sé il mantello; quanto al resto,
è nudo: il cavallo non conosce briglie e viene guidato dal bastone;
non v’è alcuna fiducia né alcun ordine nello schieramento;
le armi sono un inutile peso e l’unica difesa è la fuga. Mille sono
le unioni ma non v’è alcun legame di sangue, alcuna cura dei figli;
l’affetto viene a mancare in considerazione del loro gran numero.
Di qui discende la grande abbondanza di popolazione. Lo stesso capo marcerà
ombreggiato dalle rose e fradicio di essenze profumate, senza aver digerito
la gran quantità di cibo e barcollante per il vino bevuto, estenuato
dagli stravizi, dalle malattie e dagli stupri. Che la tromba della cavalleria
turbi quei sonni incestuosi, che egli implori la cetra e le danze miste
a canti e, infastidito dallo stridore della tromba di guerra, impari a
sue spese a dedicare all’accampamento quelle notti che ha trascorso insonne
nei suoi amori. Non è forse meglio morire piuttosto che vergognarsi
della propria vita? Che altra terra ci resterà se, abbandonata ai
re mauri, l’Africa si sommerà ai danni illirici (80)?
Il diritto latino, che un tempo soleva essere delimitato da Meroe (81)
e dal Mar Rosso, sarà racchiuso ora dal Mar Tirreno? E quel regno
romano, di cui né il Nilo né l’India segnarono i limiti,
avrà ora come confine la Sicilia? Andate a riconquistare il mondo
che quel predone mi ha rapito e il vento che mi ha sottratto, oppure il
punto capitale delle cose rovinerà; il destino di Roma dipenderà
dalle vostre braccia. |