461.
Tot mihi debetis populos, tot rura, tot urbes
462. Amissas: uno Lybiam
defendite bello.
463. Vestros imperium remos,
et vestra sequatur
464. Carbasa: despectas trans
aequora ducite leges.
465. Tertia iam solito cervix
mucrone rotetur,
466. Tandem funereis finem
positura tyrannis.
467. Omina conveniunt dicto;
fulvusque Tonantis
468. Armiger ad liquidam,
cunctis spectantibus, aethram
469. Correptum pedibus curvis
innexuit hydrum.
470. Damque reluctantem morsu
partitur obunco.
471. Haesit in ungue caput:
truncatus decidit anguis.
472. Ilicet, auguriis alacres,
per saxa citati,
473. Torrentesque ruunt:
non mons, non silva retardat.
474. Pendula ceu parvis moturae
bella colonis
475. Ingenti clangore grues
aestiva relinquunt
476. Thracia, cum tepido
permutant Strymona Nilo:
477. Ordinibus variis per
nubila texitur ales
478. Litera; pennarumque
notis inscribitur aer.
479. Ut fluctus tetigere
maris, tunc acrior arsit
480. Impetus: arripiunt naves,
ipsique rudentes
481. expediunt, et vela ligant,
et cornua summis
482. Associant malis. Quatitur
Tyrrhena tumultu
483. Ora, nec, Alphere capiunt
navalia Pisae.
484. Sic Agamemnoniam vindex cum
Graecia classem
485. Solveret, innumeris
fervebat vocibus Aulis.
486. Non illos strepitus,
impendentisque procellae
487. Signa, nec adventus
dubii deterruit Austri.
488. Vellite, proclamant,
socii, iam vellite funem.
489. Per vada Gildonem quamvis
adversa petamus.
490. Ad bellum nos trudat
hiems: per devia ponti
491. Quassatis cupio tellurem
figere rostris.
492. Heu nimium segnes, cauta
qui mentes notatis,
493. Si revolant mergi, graditur
si litore cornix.
494. Ora licet maculis asperserit
occiduus Sol,
495. Lunaque conceptis livescat
turbida Coris,
496. Et contusa vagos iaculentur
sidera crines,
497. Himbribus humescant
Haedi, nimbosaque Taurum
498. Ducat Hyas, totusque
fretis descendat Orion;
499. Certa fides coeli; sed
maior Honorius auctor.
500. Illius auspiciis immensa
per aequora miles,
501. Non Plaustris Arctove
regor: contemne Booten,
502. Navita: turbinibus mediis
permitte carinas.
503. Si mihi tempestas Libyam
ventique negabunt,
504. Augusti Fortuna dabit:
iam classis in altum
505. Provehitur: dextra Ligures,
Etruria Laeva
506. Linquitur, et caecis
vitatur Corsica saxis.
507. Humanae in speciem plantae
se magna figurat
508. Insula, (Sardoam veteres
dixere coloni)
509. Dives ager frugum. Poenos
Italosve petenti
510. Opportuna situ: quae
pars vicinior Afris,
511. Plana solo, ratibus
clemens; quae respicit Arcton,
512. Immitis, scopulosa,
procax, subitisque sonora
513. Flatibus. Insanos infamat
navita montes.
514. Hinc hominum pecudumque
lues, hinc pestifer aer
515. Saevit, et exclusis
regnant Aquilonibus Austri.
516. Quos ubi luctatis procul
effugere carinis,
517. Per diversa ruunt sinuosae
litora terrae.
518. Pars adit antiqua ductos
Carthagine Sulcos:
519. Partem litoreo complectitur
Olbia muro.
520. Urbs Lybiam contra Tyrio
fundata potenti
521. Tenditur in longum Caralis,
tenuemque per undas
522. Obvia dimittit fracturum
flamina collem.
523. Efficitur portus medium
mare: tutaque ventis
524. Omnibus, ingenti mansuescunt
stagna recessu.
525. Hanc omni petiere manu;
prorisque reductis,
526. Suspensa Zephyros expectant
classe faventes. |
Rendetemi
quei popoli, quelle campagne e quelle città che ho perduto: con
questa guerra andate a difendere la Libia! L’impero seguirà i vostri
remi e le vostre vele; riconducete oltre il mare le leggi non più
rispettate, e che la terza testa sia fatta rotolare nella polvere dalla
spada romana, ponendo fine a quella tirannia assassina.”
I presagi confermano quelle parole:
il fulvo uccello, armigero di Giove Tonante, (82)
sotto gli occhi di tutto l’esercito, porta verso la volta celeste un serpente,
tenendolo prigioniero fra gli artigli adunchi e poi, tagliandolo in due
col becco aguzzo mentre ancora si sta dibattendo, ne trattiene la testa
fra gli artigli mentre il resto cade a terra. Subito, infiammati da questi
presagi, i guerrieri si slanciano in fretta tra le rocce e i torrenti:
non li tratterranno né i monti né i boschi, simili alle gru
che, per portare guerre aeree ai pigmei (83),
abbandonano con grande strepito il loro soggiorno estivo in Tracia e, cambiando
lo Strimone (84)
col tiepido Nilo, tracciano sulle nubi, con le loro file diseguali, una
lettera aerea e il cielo si riempie delle iscrizioni formate dalle loro
ali.
Appena giungono in riva al mare,
l’ardore dei guerrieri diventa più impetuoso: si gettano sulle navi
e loro stessi sciolgono le gomene e legano le vele, attaccando il pennone
alla sommità dell’albero: la costa tirrenica è in preda al
tumulto né Pisa, fondata dagli abitanti dell’Elide, può contenere
nel suo porto tante navi: così Aulide (85),
allorché la Grecia fece salpare per vendetta la flotta di Agamennone,
risuonò di innumerevoli clamori. Non li spaventa il rumore, né
il preannuncio della tempesta imminente, né il dubbio arrivo dell’Austro.
“Avanti, sciogliete le funi, amici
- gridano - : per arrivare da Gildone sfideremo i mari ostili. L’inverno
ci spinge alla guerra; pur errabondi sul mare e con le navi a pezzi, bramiamo
di toccare terra. Oh, quelli sono troppo pigri e sanno soltanto notare
se gli smergi stanno ritornando in volo o se la cornacchia parte dal litorale.
Che il sole al tramonto cosparga il suo volto di macchie, che la luna illividisca
torbida sotto il soffio del maestrale, che le stelle ammaccate proiettino
raggi vagabondi, che la costellazione dell’Auriga (86)
marcisca per le piogge, che le Iadi (87)
tempestose conducano il Toro (88)
e che Orione (89)
tutto si tuffi nel mare! Certi sono i presagi del cielo ma ancor più
certo è il comando di Onorio. Dai suoi auspici, non dal Carro (90)
o dall’Orsa (91)
siamo guidati per mari immensi. Lascia perdere Boote (92),
nocchiero, e lancia la tua nave in mezzo alla tempesta! Se le burrasche
e i venti ci negheranno la Libia, ce la darà la fortuna del nostro
imperatore.”
Già la flotta si spinge
in alto mare, lasciandosi a destra la Liguria, a sinistra l’Etruria ed
evitando la Corsica per i suoi scogli insidiosi. Una grande isola presenta
la forma di piede umano: i suoi antichi abitatori la chiamarono Sardegna.
Terra fertile di messi, comoda per la sua posizione a chi voglia dirigersi
verso Cartagine o l’Italia; ricca di pianure nella parte che guarda verso
l’Africa e favorevole agli approdi delle navi; nella parte che si volge
verso l’Orsa invece, pericolosa, disseminata di rocce, ostinatamente contraria
e risuonante di venti improvvisi. Il marinaio maledice questi scogli così
pericolosi. In questa terra si diffondono i contagi tra gli uomini e gli
animali; lì incrudelisce un’aria pestilenziale e, scacciati quelli
settentrionali, regnano i venti di mezzogiorno. Le navi fanno mille sforzi
per evitare le rocce e per questo seguono le varie sinuosità di
questa costa: alcune entrano a Sulci (93),
antica colonia di Cartagine, altre sono accolte entro le mura di Olbia
che si ergono sulla spiaggia. La città di Cagliari, fondata dalla
potente Tiro (94),
si stende verso la Libia protendendo nelle onde un basso colle che spezza
la forza dei venti che gli corrono incontro. Il porto si apre a livello
del mare e il bacino, sicuro da tutti i venti, offre, con la sua grande
insenatura, acque non agitate. Là si dirigono tutti gli sforzi e
là, girata la prua, la flotta attende con impazienza il ritorno
di venti propizi. |