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De bello gildonico pag. 9
Claudius Claudianus
461.  Tot mihi debetis populos, tot rura, tot urbes
462.  Amissas: uno Lybiam defendite bello.
463.  Vestros imperium remos, et vestra sequatur
464.  Carbasa: despectas trans aequora ducite leges.
465.  Tertia iam solito cervix mucrone rotetur,
466.  Tandem funereis finem positura tyrannis.
467.  Omina conveniunt dicto; fulvusque Tonantis
468.  Armiger ad liquidam, cunctis spectantibus, aethram
469.  Correptum pedibus curvis innexuit hydrum.
470.  Damque reluctantem morsu partitur obunco.
471.  Haesit in ungue caput: truncatus decidit anguis.
472.  Ilicet, auguriis alacres, per saxa citati,
473.  Torrentesque ruunt: non mons, non silva retardat.
474.  Pendula ceu parvis moturae bella colonis
475.  Ingenti clangore grues aestiva relinquunt
476.  Thracia, cum tepido permutant Strymona Nilo:
477.  Ordinibus variis per nubila texitur ales
478.  Litera; pennarumque notis inscribitur aer.
479.  Ut fluctus tetigere maris, tunc acrior arsit
480.  Impetus: arripiunt naves, ipsique rudentes
481.  expediunt, et vela ligant, et cornua summis
482.  Associant malis. Quatitur Tyrrhena tumultu
483.  Ora, nec, Alphere capiunt navalia Pisae.
484. Sic Agamemnoniam vindex cum Graecia classem
485.  Solveret, innumeris fervebat vocibus Aulis.
486.  Non illos strepitus, impendentisque procellae
487.  Signa, nec adventus dubii deterruit Austri.
488.  Vellite, proclamant, socii, iam vellite funem.
489.  Per vada Gildonem quamvis adversa petamus.
490.  Ad bellum nos trudat hiems: per devia ponti
491.  Quassatis cupio tellurem figere rostris.
492.  Heu nimium segnes, cauta qui mentes notatis,
493.  Si revolant mergi, graditur si litore cornix.
494.  Ora licet maculis asperserit occiduus Sol,
495.  Lunaque conceptis livescat turbida Coris,
496.  Et contusa vagos iaculentur sidera crines,
497.  Himbribus humescant Haedi, nimbosaque Taurum
498.  Ducat Hyas, totusque fretis descendat Orion;
499.  Certa fides coeli; sed maior Honorius auctor.
500.  Illius auspiciis immensa per aequora miles,
501.  Non Plaustris Arctove regor: contemne Booten,
502.  Navita: turbinibus mediis permitte carinas.
503.  Si mihi tempestas Libyam ventique negabunt,
504.  Augusti Fortuna dabit: iam classis in altum
505.  Provehitur: dextra Ligures, Etruria Laeva
506.  Linquitur, et caecis vitatur Corsica saxis.
507.  Humanae in speciem plantae se magna figurat
508.  Insula, (Sardoam veteres dixere coloni)
509.  Dives ager frugum. Poenos Italosve petenti
510.  Opportuna situ: quae pars vicinior Afris,
511.  Plana solo, ratibus clemens; quae respicit Arcton,
512.  Immitis, scopulosa, procax, subitisque sonora
513.  Flatibus. Insanos infamat navita montes.
514.  Hinc hominum pecudumque lues, hinc pestifer aer
515.  Saevit, et exclusis regnant Aquilonibus Austri.
516.  Quos ubi luctatis procul effugere carinis,
517.  Per diversa ruunt sinuosae litora terrae.
518.  Pars adit antiqua ductos Carthagine Sulcos:
519.  Partem litoreo complectitur Olbia muro.
520.  Urbs Lybiam contra Tyrio fundata potenti
521.  Tenditur in longum Caralis, tenuemque per undas
522.  Obvia dimittit fracturum flamina collem.
523.  Efficitur portus medium mare: tutaque ventis
524.  Omnibus, ingenti mansuescunt stagna recessu.
525.  Hanc omni petiere manu; prorisque reductis,
526.  Suspensa Zephyros expectant classe faventes.
Rendetemi quei popoli, quelle campagne e quelle città che ho perduto: con questa guerra andate a difendere la Libia! L’impero seguirà i vostri remi e le vostre vele; riconducete oltre il mare le leggi non più rispettate, e che la terza testa sia fatta rotolare nella polvere dalla spada romana, ponendo fine a quella tirannia assassina.”
I presagi confermano quelle parole: il fulvo uccello, armigero di Giove Tonante, (82) sotto gli occhi di tutto l’esercito, porta verso la volta celeste un serpente, tenendolo prigioniero fra gli artigli adunchi e poi, tagliandolo in due col becco aguzzo mentre ancora si sta dibattendo, ne trattiene la testa fra gli artigli mentre il resto cade a terra. Subito, infiammati da questi presagi, i guerrieri si slanciano in fretta tra le rocce e i torrenti: non li tratterranno né i monti né i boschi, simili alle gru che, per portare guerre aeree ai pigmei (83), abbandonano con grande strepito il loro soggiorno estivo in Tracia e, cambiando lo Strimone (84) col tiepido Nilo, tracciano sulle nubi, con le loro file diseguali, una lettera aerea e il cielo si riempie delle iscrizioni formate dalle loro ali.
Appena giungono in riva al mare, l’ardore dei guerrieri diventa più impetuoso: si gettano sulle navi e loro stessi sciolgono le gomene e legano le vele, attaccando il pennone alla sommità dell’albero: la costa tirrenica è in preda al tumulto né Pisa, fondata dagli abitanti dell’Elide, può contenere nel suo porto tante navi: così Aulide (85), allorché la Grecia fece salpare per vendetta la flotta di Agamennone, risuonò di innumerevoli clamori. Non li spaventa il rumore, né il preannuncio della tempesta imminente, né il dubbio arrivo dell’Austro.
“Avanti, sciogliete le funi, amici - gridano - : per arrivare da Gildone sfideremo i mari ostili. L’inverno ci spinge alla guerra; pur errabondi sul mare e con le navi a pezzi, bramiamo di toccare terra. Oh, quelli sono troppo pigri e sanno soltanto notare se gli smergi stanno ritornando in volo o se la cornacchia parte dal litorale. Che il sole al tramonto cosparga il suo volto di macchie, che la luna illividisca torbida sotto il soffio del maestrale, che le stelle ammaccate proiettino raggi vagabondi, che la costellazione dell’Auriga (86) marcisca per le piogge, che le Iadi (87) tempestose conducano il Toro (88) e che Orione (89) tutto si tuffi nel mare! Certi sono i presagi del cielo ma ancor più certo è il comando di Onorio. Dai suoi auspici, non dal Carro (90) o dall’Orsa (91)  siamo guidati per mari immensi. Lascia perdere Boote (92), nocchiero, e lancia la tua nave in mezzo alla tempesta! Se le burrasche e i venti ci negheranno la Libia, ce la darà la fortuna del nostro imperatore.”
Già la flotta si spinge in alto mare, lasciandosi a destra la Liguria, a sinistra l’Etruria ed evitando la Corsica per i suoi scogli insidiosi. Una grande isola presenta la forma di piede umano: i suoi antichi abitatori la chiamarono Sardegna. Terra fertile di messi, comoda per la sua posizione a chi voglia dirigersi verso Cartagine o l’Italia; ricca di pianure nella parte che guarda verso l’Africa e favorevole agli approdi delle navi; nella parte che si volge verso l’Orsa invece, pericolosa, disseminata di rocce, ostinatamente contraria e risuonante di venti improvvisi. Il marinaio maledice questi scogli così pericolosi. In questa terra si diffondono i contagi tra gli uomini e gli animali; lì incrudelisce un’aria pestilenziale e, scacciati quelli settentrionali, regnano i venti di mezzogiorno. Le navi fanno mille sforzi per evitare le rocce e per questo seguono le varie sinuosità di questa costa: alcune entrano a Sulci (93), antica colonia di Cartagine, altre sono accolte entro le mura di Olbia che si ergono sulla spiaggia. La città di Cagliari, fondata dalla potente Tiro (94), si stende verso la Libia protendendo nelle onde un basso colle che spezza la forza dei venti che gli corrono incontro. Il porto si apre a livello del mare e il bacino, sicuro da tutti i venti, offre, con la sua grande insenatura, acque non agitate. Là si dirigono tutti gli sforzi e là, girata la prua, la flotta attende con impazienza il ritorno di venti propizi.
NOTE
82 L’aquila.
83 I Pigmei erano un leggendario popolo di nani che derivarono il loro nome dall’aggettivo greco pugmaioz, alto un cubito (misura greca che indicava lo spazio fra il gomito e il pugno). Diede origine al mito l’accostamento fantastico di due fattori che avevano qualche addentellato nella realtà: le vaghe notizie che giungevano nel mondo greco dell’esistenza di popolazioni nane nelle zone tropicali dell’Africa e dell’Asia e le migrazioni in formazione compatta di numerosi stormi di gru, al sopraggiungere dell’autunno, dai paesi freddi a quelli caldi. Evidentemente venne trasfigurata la realtà, così da immaginare quegli abitanti eccessivamente minuscoli e le gru uccelli feroci, avidi di sangue pigmeo, come li definisce Ovidio (Fast., VI, 176), o uccelli rapaci che, con gli adunchi artigli, ghermiscono e portano in cielo quei poveri omini, i quali, con le loro piccole armi, non reggono all’impari lotta (Iuv., XIII, 167-173). Questo continuo conflitto fra i Pigmei e le gru trova la sua mitica spiegazione nelle Metamorfosi ovidiane (VI, 90-92): la regina dei Pigmei, che si era vantata di essere più bella di Giunone, fu dalla dea trasformata in gru e condannata a muovere implacabile guerra al suo stesso popolo.
84 Uno dei più importanti fiumi della Tracia (oggi Struma).
85 Città marittima della Beozia dove si raccolse l’armata dei Greci per la spedizione contro Troia. Oggi Vathi.
86 Haedi erano dette due stelle della costellazione dell’Auriga. Verg. ge. 1, 205.
87 Le Iadi erano secondo il mito sette ninfe dei boschetti, delle fonti e delle paludi. Quando morirono di dolore per la morte della loro sorella Ia, Zeus le mutò in stelle e, poiché col loro sorgere, dal 7 al 21 maggio, coincideva l’inizio della stagione delle piogge, gli antichi supposero che queste ricordassero le lacrime delle fanciulle. Sono le sette stelle che formano la testa della costellazione del Toro. Verg. Aen. 3. 516; Hor. Carm. 1, 3, 14. Claudiano usa qui eccezionalmente il singolare collettivo Hyas. 
88 Costellazione zodiacale comprendente le Pleiadi e le Iadi. Secondo gli antichi portava pioggia.
89 Secondo il mito, cacciatore trasformato in una costellazione il cui tramonto nel tardo autunno recava tempesta e pioggia. Verg. Aen. 1, 533 e 3, 517, Hor. Carm. 1, 28, 21; Ov. Fast. 5, 193.
90 Plaustrum = Carro, inteso come la costellazione dell’Orsa Maggiore. Ov.met. 10, 447 e ex Pont. 4, 10, 39.
91 Claudiano usa il termine Arctos che indica due costellazioni dell’emisfero boreale e significa Orsa Maggiore e Minore.
92 Fu mutato da Zeus nella costellazione dell’Orsa Minore. 
93 Città nel S.O. della Sardegna, nell’isola Plumbaria. Oggi S.Antioco.
94 Città marittima e commerciale della Fenicia, celebre per la sua porpora.

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