Verso l'anno 378 d. C. le campagne nei dintorni di Modena
si popolarono di Germani che vennero a viva forza insediati in questa zona
per provvedere al lavoro dei campi.
Modena aveva già conosciuto i suoi tempi migliori:
la solida, bella e fiorente Mutina, che aveva ricevuto le lodi di Appiano,
di Cicerone e di Pomponio Mela (1)
e che era arrivata a contare 50.000 abitanti, era ormai ridotta a un "cadavere
di cìttà semidistrutta" come d'altra parte Bologna e
Reggio, e semidevastati erano anche i paesi intorno (2);
tale squallore era il risultato da un lato delle primissime avvisaglie
delle invasioni barbariche (3),
dall'altro della grande crisi socioeconomica del III° secolo d. C.
che aveva visto il generale impoverimento di ogni classe sociale.
La pianura padana non conservava più, nella seconda
metà del IV° secolo, alcuna traccia della ricca e ordinata agricoltura
dell'epoca repubblicana e del primo Impero - il famoso "ager
mutinensis" (4)-
con le sue grandi fattorie in mezzo a distese enormi di arativo, con pascoli
estesissimi per gli animali, soprattutto pecore che fornivano la pregiata
lana lodata da Strabone (5),
e dovizia di prodotti tra cui il vino eccellente (6).
Non si cuocevano neppure più le famose terrecotte che avevano trovato
tanti estimatori anche sul mercato dell'Urbe
(7).
Ora erano rimasti soltanto i grandi latífondisti
ai quali i piccoli agricoltori si erano affidati cercando protezione dai
barbari e dalle tasse; quasi ovunque era ricresciuta l'enorme foresta primordiale
mentre il lavoro agricolo era limitato a pochi appezzamenti prossimi alla
città nei quali venivano coltivati i generi più direttamente
commestibili ed allevati soprattutto i suini.
L'Appennino, una volta intersecato di strade e coperto
di colture, era adesso una quasi impenetrabile barriera naturale. Questa
popolazione germanica era dunque la prima di cui i modenesi di allora potessero
avere una più precisa conoscenza in quanto il lavoro nelle campagne
li metteva a diretto e pacifico contatto col resto della popolazione: ben
diverso era stato e sarà in seguito l'approccio con le altre etnìe
germaniche che erano passate e passeranno per Modena soltanto con intenti
depredatori sulla strada per Roma.
Vi erano poi altri Germani e barbari in generale nella
società romana del tempo e di cui forse già allora era ricco
il sostrato della popolazione modenese, cioè quelli che avevano
scelto il servizio nell'esercito di Roma e come tali avevano quasi del
tutto perduto le caratteristiche originali proprie della loro stirpe poichè
erano stati praticamente assimilati. I nuovi barbari germanici avevano
un nome ben preciso: Taifali, questa
volta probabilmente bene appreso dalle popolazioni latine circostanti,
abituate a non considerare o a confondere l'origine e la provenienza dei
barbari integrati che erano e restavano soltanto barbari (8)
. I nuovi arrivati avevano anche una storia molto movimentata, come
quella di tutte le popolazioni barbariche soprattutto in questi anni nei
quali si profilava all'orizzonte la tremenda minaccia di un'altra popolazione
migrante che tutte sopravanzava per forza e impeto: gli Unni di origine
mongolica. Questa gente, nella sua inarrestabile avanzata verso Occidente,
causava frenetici spostamenti di tutte le popolazioni europee, desiderose
soltanto di scansare quei terribili razziatori dei quali peraltro si avevano
soltanto confuse descrizioni piene di terrore. All'apparire degli
Unni erano fuggiti anche i Taifali, in ciò comportandosi come le
altre stirpi germaniche, quasi tutte molto più forti e numerose
di loro, piccola tribù soltanto etnicamente affine a quelle, ben
più potenti, del ceppo gotico. L'origine del loro nome, il
suo significato, era sconosciuto, noi oggi possiamo pensarlo derivato forse
dal gotico theifun, né essi
avevano coscienza di parlare uno dei numerosi dialetti gotici. Con i Goti
avevano combattuto contro l'Imperatore romano Decìo e, all'incirca
cento anni prima di questo insediamento modenese, contro i Vandali e i
Gepidi; si erano poi prestati come truppe ausiliarie quando l'Imperatore
Costanzo, pochi decenni più tardi, aveva voluto punire i Sarmati
per le loro incursioni in territorio romano. Questo stesso imperatore,
che una volta essi avevano persino minacciato con la loro cavalleria (9),
aveva represso nel sangue una loro rivolta in Frigia. La loro patria
d'origine, dopo quella scandinava comune a tutti i popoli germanicí,
era stata quella zona dell'Europa centrale, ora facente parte della Jugoslavia
e della Romania, che è limitata dai fiumi Muresul, Tibisco, Danubio
e dalle Alpi Transilvane. Questi possedimenti essi li avevano potuti poi
ingrandire, soprattutto nella zona sud-orientale, dopo l'evacuazione della
Dacia da parte dei Romani (nel 271). Un secolo dopo, Ammiano Marcellino,
che nelle sue Istorie ci fornisce alcune notizie su questa popolazione,
afferma espressamente che le loro terre erano comprese " dalle rive del
Geraso fino al Danubio" (10),
dove per Geraso è da intendere l'odierno fiume Prut: si erano dunque
spostati leggermente più a est nel corso di un secolo, attestandosi
nei Carpazi e nella Moldavia rumena. Poi erano fuggiti di fronte
agli Unni, come si è detto, e si erano spinti sui monti più
alti della Transilvania, sperando di trovarvi riparo ma avevano invece
trovato i Visigoti di Atanarico, anch'egli in cerca di una località
fortificata per apprestare una sorta di difesa. Una parte dei Taifali
si era allora unita a dei Goti greutingi guidati da Farnobio e con questi
aveva passato il Danubio entrando in territorio romano: qui questa banda
dì disperati in fuga, fra saccheggi e scaramucce, era stata intercettata
e affrontata presso la località di Beroca (Augusta Traiana, l'odierna
Stara Zagora in Bulgaria) da Frigerido, generale dell'Imperatore Graziano.
Superiore ìn truppe ma soprattutto in perizia bellica, egli aveva
sterminato i barbari e ucciso il loro capo Farnobio, ma poi, cedendo alle
preghiere dei superstiti, li aveva inviati in Italia, nei dintorni delle
città di Modena, Reggio e Parma. Ecco dunque questi Taifali
in Emilia, provenienti da località distantissime, soprattutto in
relazione ai mezzi di trasporto di allora, e diversissime anche per situazione
geografica. Sotto quale veste giuridica essi coltivassero le
terre emiliane non è dato sapere dalle fonti; si può supporre
che fossero assimilati ai laeti, cioè a quelle truppe assoggettate
che combattevano per i Romani e ricevevano terreni da coltivare in tempo
di pace, cadendo in una situazione che diventava poi ereditaria...
Usi, costumi e lingua erano enormemente differenti, anche
se è da credere che i contatti col mondo romano avessero reso il
latino, in quel tempo idioma universale assieme al greco, in certa misura
comprensibile a molte di queste popolazioni barbariche. Gli usi restavano
invece quelli tipici del germanesimo delle origini, anzi erano in questa
tribù molto particolari se prendiamo per vera la testimonianza di
Ammiano Marcellino, peraltro sempre molto attendibile, secondo il quale
era diffusissima la pratica della pederastia, dalla quale i giovani si
potevano considerare affrancati soltanto quando, in età adulta,
riuscivano a catturare da soli un cinghiale o a uccidere un grande orso.(12)
Comunque non tutti i superstiti Taifali furono condotti
in Italia dopo la sconfitta di Beroca, se all'inizio dell'impero di Teodosio,
quindi verso il 379 d.C., Zosimo ce li descrive in territorio tracc, dopo
aver attraversato il Danubio probabilmente insieme coi Visigoti di Atanarico.
(13) Qualche decennio ancora ed eccone altre
tracce, questa volta in Francia, nella zona di Poitiers, secondo quanto
scrive Gregorio di Tours nella sua Historia
Francorum, ed evidentemente già integrati nel
regno franco anche a livello religioso, se egli può citare un certo
Senoch, abate di Tours che era "genere Theifalus",
ma pronti, come mezzo secolo prima in Frigia, a sollevarsi contro chi li
vuole angariare, in questo caso il vescovo. (14)
Se essi siano arrivati fin lassù al seguito dei Visigoti o se si
tratti dei nostri Taifali emiliani, resta un mistero.
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