Flamines
gli Ordini Sacerdotali dell'antica
Roma
Flamines. Sacerdoti
romani al servizio di un singolo dio (Cic. de leg. II 20), da cui essi
vengono denominati (Varro de 1.1. V 84) e al quale devono offrire sacrifici
(f. sacrorum Plin. n. h. XXVIII 140. Liv. I 33; cfr. CIL II 2105. VIII
14692). L’origine del nome, che i romani facevano erroneamente derivare
da filum, il filo di lana portato dai F. (v. sotto) (Varrone de l. l. V
84. Paul. p. 87, 15. Dionys. II 64. Plut. Num. 7. Serv. Aen. VIII 664.
X 270), è incerta, Marquardt (Staatsverw. III² 336) la fa derivare
da flare (accendere soffiando il fuoco sacrificale), Curzio (Griech. Etym.5
188) accosta il nome a flagrare, flamma, lo stesso fanno Corssen (Aussprache,
Vocalismus, Betonung der lat. Sprache I² 639) Usener (Jahrb. f. Philol.
CXVII [1878] 53; Mommsen R. G. I8 166 seg. = Zünder). Leo Meyer (Vgl.
Gramm, der gr. u. lat. Spr. II¹ 275. I² 76. 520) accosta f. al
sanscrito brahmán, sacerdote, una spiegazione che hanno seguito
Kretschmer (Einleitung in die Geschichte der gr. Spr. 127), Schrader e
altri (cfr. Osthoff nel Bezzenbergers Beitr. zur Kunde der indogerm. Spr.
XXIV 141). O. Schrader Sprachvergl. und Urgeschichte² 601 suppone
che f. per la sua formazione sia stato in origine un concetto neutro e
che solo dopo abbia corrisposto al sanscrito bráhman, adorazione.
Esso sarebbe poi giunto al significato di sacerdote attraverso il significato
di ‘culto’. Nel suo Reallexikon der indogerm. Altertumskde. 638 Schrader
dà al neutro f. (= sanscr. bráhman) il significato base di
‘formula magica’ sviluppatosi, attraverso uno stadio intermedio come ‘comunità
di conoscitori delle formule magiche’, su base latina nel significato storico
di ‘sacerdote’ (singolo conoscitore delle formule magiche). Contro la relazione
col sanscr. brahman Schweizer-Sidler nella Ztschr. f. vgl. Spr. XIV 155.
Bugge (Bezzenbergers Beitr. III 98) accosta f. al germ. blôtan ‘venerare
attraverso sacrifici’, ma ammette la possibilità della relazione
con flagrare, flamma. Cfr. Osthoff op. cit. 142, che è d’accordo
con l’etimologia di Bugge e cita altra bibliografia di approvazione.
L’ufficio dei F. si chiama flamonium (p. es. CIL VIII
262. XII 521) o - in forma comunque più tarda - flaminatus (p. es.
CIL II 1935. 3711) cfr. Mommsen Ephem. ep. I p. 221. Raggruppamenti delle
forme presenti nelle iscrizioni in Ruggiero Diz. epigr. III 150.
I F. appartengono ai più antichi sacerdoti romani
e la loro introduzione viene ascritta a Numa (Ennio in Varrone de l. l.
VII 45. Cic de rep. II 26; Liv. I 20, 2 fa risalire a Numa solo i
tre grandi F.). I più importanti fra i F. sono i 15 (Fest. p. 154b
26) appartenenti (Cic. de domo 135) al Collegium dei Pontifices, che si
compongono di 3 maiores e 12 minores. I 3 f. maiores sono il f. Dialis
(v. sotto Iuppiter), il f. Martialis e il f. Quirinalis (Liv. I 20, 2.
Gai. I 112), che vengono sempre nominati in questa successione e designati
anche semplicemente F. senza aggiunte, mentre l’aggiunta non manca mai
nei minores. I f. maiores sono di rango superiore al Pontifex maximus (v.),
avanti a loro viene solo il rex (v. d.). Nonostante ciò essi sono
tenuti all’obbedienza verso il Pontifex maximus che può infliggere
loro una penitenza se non adempiono ai loro doveri (Liv. XXXVII 51. Val.
Max. I l, 2. Cic. Fil. XI 18). Dei f. minores sembra essere esistita alla
fine della repubblica solo una parte; Agostino, de c. D. II 15 conosce
soltanto 3 F. Solo di 10 dei 12 f. minores sono tramandati i nomi (gli
ultimi 6 della fila li nomina Ennio in Varrone de l. l. VII 45; che siano
gli ultimi lo mostra Fest. p. 154b 28, secondo il quale il f. Pomonalis
nominato per ultimo da Ennio occupava l’ultimo posto nella gerarchia dei
F.: 1) f. Carmentalis (Cic. Brut. 56. CIL VI 3720; v. vol. III p. 1594);
2) f. Portunalis (Fest. p. 217 a 13); sorprendentemente il f. Portunalis
opera, secondo questo passo, al servizio di Quirinus, v. Portunus; 3) f.
Volcanalis (Varrone de 1.1. V 84. CIL VI 1628. Macr. I 12, 18, secondo
il quale egli sacrifica a Maia alle calende di maggio), v. Volcanus e Maia;
4) f. Cerialis (CIL XI 5028); il f. Cerialis è probabilmente anche
quello che, secondo Fabio Pittore in Serv. Georg. I 21, sacrifica a Ceres
e a Tellus, v. Ceres; 5) f. Volturnalis (Varrone de l. l. VII 45. Paul.
p. 379, 2), v. Volturnus; 6) f. Palatualis (Varrone de 1.1. VII 45. Fest.
p. 245a 12; pontifex Palatualis CIL VIII 10500. XI 5031), v. Palatua; 8)
f. Furrinalis (Varrone de l. l. V 84. VI 19. (VII 45), v. Furrina; 9) f.
Floralis (Varrone de l. l. VII 45; cfr. il f. Floralis a Lavinium CIL IX
705), v. Flora; 10) f. Pomonalis (Fest. p. 154b 28. CIL III Suppl. 2, 12732),
v. Pomona. Jullian (Daremberg-Saglio Dict. II 1165) suppone che il f. Virbialis
nominato in CIL X 1493 (Napoli) e il f. Lucularis menzionato nella iscrizione
di Lavinium in Henzen 6747 esistessero anche a Roma e che in essi si debbano
vedere i due F. i cui nomi non sono tramandati. Suppone ancora op. cit.
1160, che i 3 grandi F. corrispondessero alle 3 Tribus del popolo romano,
cosa che però non si può dimostrare. Meno probabile è
la supposizione di Jullians (op. cit. 1160), che i piccoli F. siano collegati
con sottosezioni geografiche, i pagi.
I tre f. maiores sono sempre stati patrizi (Cic. de Domo
38. Paul. p. 151, 3. Tac. ann. IV 16). Anche i minores erano originariamente
patrizi, ma in seguito tutti plebei (Paul. op. cit., cfr. Mommsen Röm.
Forschgen. I 78, il quale suppone che i patrizi ne erano esclusi fin dall’inizio);
in epoca imperiale sono stati assunti, come sembra, dal ceto equestre (CIL
VI 3720. III Suppl. 2, 12732).
Mentre sui f. minores ci sono solo le scarse notizie
citate sopra, siamo esattamente informati sui grandi F. e soprattutto sul
f. Dialis. In epoca regia il F. veniva nominato dal re (Mommsen St.-R.
II³ 12), in epoca repubblicana lo nomina il Pontifex maximus (capit
flaminem Gell I 12, 15. Liv. XXVII 8, 5), egli lo sceglie fra tre candidati
proposti dal Collegium dei Pontifices (Tac. ann. IV 16). Quello nominato
dal Pontifex viene poi inaugurato dall’augure (v. vol. II pag. 326) nei
comitia calata (v. vol. III pag. 1330) (Gell. XV 27 , l). L’inaugurato
viene escluso dalla patria potestas (v.) – senza capitis deminutio – (Gai.
I 130. III 114. Ulp. frg. X 5).
Il f. Dialis gode di grandi diritti civili: ha diritto
alla toga praetexta (v.), alla sella curulis (v.) e a un posto nel Senato
(Liv. I 20, 2. XXVII 8, 8. Plut. quaest. Rom. 113 ; cfr. la decisione di
Narbona copiata dalle relazioni romane CIL XII 6038, 4); egli possiede
un littore (Paul. p. 93, 9. Ovid. fast. II 23. Plut. quaest. Rom. 113,
cfr. CIL XII 6038 Z. 2), a determinati sacrifici in città può
andare, come pure gli altri due grandi F., su una vettura (Liv. I 21,4.
CIL I 206 Z. 62 seg.). Chi abbraccia le sue ginocchia, in quel giorno non
può essere picchiato (Gell. X 15, 10. Serv. Aen. III 607. Plut.
quaest. Rom. 111). Ma a fronte di questi diritti vi sono doveri opprimenti,
l’osservazione di un rituale molto restrittivo per tutta la sua vita, al
quale il f. Dialis deve attenersi anche in epoca imperiale, mentre per
i f. Martialis e Quirinalis esso venne molto mitigato probabilmente
abbastanza presto (Interpol. Serv. Aen. VIII 552).
Il F. deve venire da un matrimonio per confarreatio e
vivere lui stesso in un tale matrimonio (Interpol. Serv. Aen. IV 103. 374.
Gai. I 112. Tac. ann. IV 16; secondo l’ultimo passo, Tiberio fece la legge
secondo cui la moglie del F. Dialis, la flaminica, [v. sotto] doveva
essere in potere del marito solo in relazione ai sacra, altrimenti, come
le donne che vivevano in un matrimonio senza confarreatio, poteva conservare
i suoi diritti personali; v. manus e confarreatio). Il matrimonio non può
essere sciolto dal divorzio (Gell. X 15 23 Paul. p. 87, 13. Plut. quaest.
Rom. 50, secondo la cui indicazione Domiziano permise un divorzio). Il
F. nominato a vita, al quale muoia la moglie, deve dimettersi dal suo ufficio
sacerdotale (Gell. X15, 22. Priscian. V 12 p. l49, 5 Hertz. Plut. quaest.
Rom. 50. Hieron. adv. Iovin. I 49). Anche sua moglie, la flaminica, può
avere solo un marito (Ovid. Fast. VI 232. Hieron. ep. 123, 8. Tertullian
de exhort. cast. 13; de monogam. 17), una norma che dipende dal fatto che
la flaminica ha larga partecipazione all’ufficio del marito, v. sotto.
L’ indicazione di Interpol. Serv. Aen. IV 29, che il F. possa risposarsi
dopo la morte della moglie, si basa su un errore, come dimostrano le testimonianze
citate sopra.
Il f. Dialis è cotidie feriatus (Gell. X 15, 16),
perciò deve continuamente portare l’abito sacerdotale, la praetexta,
mentre il f. Martialis e il Quirinalis possono deporla fuori dal servizio
(Interpol. Serv. Aen. VIII 552). Marquardt Staatsverw. III² 330 identifica
la praetexta con la laena di lana portata dal f. Dialis, che deve essere
filata da sua moglie (Cic. Brut. 56. Interpol Serv. Aen. IV 262. Suet.
fr. 167 Reiffersch.), tuttavia questo è dubbio e la laena è
da interpretare come un mantello portato sulla praetexta, v. Laena. Soltanto
Serv. Aen. VII 190 dà l’indicazione che il f. Dialis vel Martialis
abbia portato la trabea (v.), cfr. Samter Philolog. N. F. X 394 segg. e
contro ciò Wissowa Relig. d. Röm. 428, 5. Sul capo il F. porta
il pileus (altri nomi galerus, albogalerus, tutulus Fest. p. 355 a 32),
un berretto alto, appuntito a forma di cono, sulla cui punta è fissato
un ramoscello d’ulivo con un filo di lana (apex. Paul. p. 10, 12. Interp.
Serv. Aen. X 270; il nome apex è poi stato trasferito a tutto il
pileus, Interpol. Serv. II 683. Gell. X 15, 17. CIL I 33). Con il gran
caldo il pileus poteva essere sostituito avvolgendo il capo con questo
filo di lana (o fascia di lana), cosa che però non era consentita
nei giorni festivi (Serv. Aen. VIII 664), v. vol. I pag. 2699, dove però,
come nel vol. I pag. 1329, l’apex, viene erroneamente definito, facendo
seguito a Helbig (v. sotto), una bacchetta di legno d’ulivo intagliato;
cfr. invece Samter Familienfeste der Griechen und Römer 38. Però
in seguito il pileus sembra avere assunto una forma a elmo con una bacchetta
sulla sommità; cfr. il rilievo dell’epoca di Marcaurelio in Brunn-Bruckmann
Tav. 269. Petersen Ara Pacis Augustae Tav. VI (testo a pag. 310). Daremberg-Saglio
Dict. II Fig. 3095 segg. Babelon Monn. de la rép. rom. I 484. II
377. I ritratti in Arndt-Brunn pag. 461 segg. possono forse raffigurare
anche un altro sacerdote e così pure due rappresentazioni interpretate
come F. solo in base ai vestiti: Amelung Skulpt. des vatik. Mus. pag. 843
n. 79. Wüsche-Bechi Boll. com. di Roma l897, 301 seg.
Come ha mostrato W. Helbig (S.-Ber. Akad. München
1887, 487 segg.), il pileus dei sacerdoti romani – oltre ai F. lo portano
anche i Pontifices e i Salii (v.) – è un copricapo un tempo diffuso
comunemente in Italia, arrivato agli Italici dall’oriente attraverso l’Ellade
o Cartagine. Tuttavia Helbig non ha capito che presso i sacerdoti indossare
il pileus è allo stesso tempo un rito lustrale: il pileus deve essere
fatto con la pelle di un animale sacrificato (Suet. b. Interpol. Serv.
Aen II 683. Paul p. 10, 12. Gell. X 15, 32. Fronto ep. ad M. Caes.
4, 4) e il filo di lana che fissa l’apex al berretto deve essere preso
dalla lana di un animale destinato al sacrificio (Isid. orig. XIX 30, 5),
indossarlo ha quindi lo stesso significato del rivestirsi della pelle di
un animale da sacrificio o del velarsi il capo (Varrone de 1. 1. V 84),
cioè contraddistingue una consacrazione: cfr. Samter op. cit. 34
segg., sul significato del ramoscello d’ulivo sul pileus del F. cfr. ivi
38. Al f. Dialis è proibito andare a testa nuda (Serv. Aen. VIII
664. Varrone de 1. 1. V 84), mentre gli altri F. devono portare il pileus
(come anche la praetexta) solo durante i sacrifici (Interpol. Serv. Aen.
VIII 552. Appian. bell. civ. I 65); soltanto nel I secolo d.C. il Pontifex
permette al f. Dialis di togliersi, almeno in casa, il pileus (Masurius
Sab. in Gell. X 15, 18). Il F. Dialis non può togliersi nemmeno
la tunica all’aperto. (Gell. X 15, 20).
Poiché il F., essendo cotidie feriatus (v. s.),
non può vedere nessun lavoro, lo precedono i praeciae (Paul. p.
224, 1; cfr. praeciamitatores Fest. p. 244 a 20), per comandare agli operai
di sospendere il loro lavoro Paul. Fest.op. cit. Macr. 1 16, 9). Sui calatores
flaminum cfr. vol. III pag. 1336. Cfr. anche Commetaculum (vol. IV pag.
769).
Dalla casa del F. Dialis, la aedes o domus flaminia o
solo flaminia (Paul. p. 89, l0. Interpol. Serv. Aen. VIII 363; secondo
Cass. Dio LIV 24, 4 sembra non essere stata lontana dal tempio di Vesta)
il fuoco può essere portato fuori solo per il sacrificio (Gell.
X 15. 7. Paul. p. 106, 4). Vicino al suo letto, nel quale non può
dormire nessun altro (Gell. X 15, 14) e i cui piedi sono spalmati di un
leggero strato d’argilla (Gell. op. cit.), c’è sempre un recipiente
con offerte (strues atque fertum, Gell. op. cit.).
Il F. Dialis non può giurare (Gell. X 15, 5. 31.
Liv. XXXI 50, 7. Paul. p. 104, 11. Plut. quaest. Rom. 44), vedere un esercito
(Fest. p. 249 b 22. Gell. X 15, 4), salire a cavallo (Plin. XXVIII 146.
Paul. p. 81, 17. Plut. quaest. Rom. 40), cosa che invece era permessa ai
F. Martialis e Quirinalis (Interpol. Serv Aen. VIII 552). Non può
toccare un morto, entrare in un luogo in cui vi sia una tomba (Gell. X
15. 24), non toccare assolutamente nulla o anche solo nominare ciò
che è in relazione col mondo ctonio, non i fagioli (Gell. X 15,
12. Plin. XVIII 119; sul rapporto dei fagioli con il culto dei morti cfr.
Samter Neue Jahrb. f. Philol. XV [1905] 42 seg.), non una capra (Gell.
X 15, 12. Plut. quaest. Rom. 111), ritenuta animale del mondo ctonio (Wissowa
Relig. der Röm. 191), non un cane (ivi; cfr. il sacrificio di cani
ai Genita Mana, Plut. quaest. Rom. 52. Plin. XXIX 58 e sul sacrificio di
cani anche Plut. quaest. Rom. 111), non l’edera (Paul. p. 82, 18. Gell.
X 15, 12. Plut. Quaest. Rom. 112; cfr. il frequente uso di edera sulle
pietre tombali; arca hederacia nel Museo Laterano CIL VI 13756). Gli è
proibito toccare anche carne cruda (Gell. X 15, 12. Plut. quaest. Rom.
109) e pasta di pane lievitata (Plut. op. cit. Gell. X 15, 19. Serv. Aen.
I 179). Non può indossare o vedere ciò che lega, perciò
il suo vestito e il suo berretto non possono avere nodi (Gell. X 15, 9.
Paul. 82, 19), ma per allacciare devono essere usate fibbie (Paul. p. 113,
15. Serv. Aen. IV 262), il suo anello deve essere spezzato (Paul. p. 82,
19. Gell. X 15, 6). Non può entrare in un pergolato con lunghe propagines
(Gell. X 15, 13. Plut. quaest. Rom. 112). Chi entra in casa sua incatenato
deve essere subito slegato, le catene vengono gettate oltre il tetto in
strada (Gell. X 15, 8. Serv. Aen. II 57). I capelli gli possono essere
tagliati solo da un uomo libero (Gell. X 15, 11). I resti dei capelli e
delle unghie devono essere sepolti sotto un albero felice (Gell. X 15,
15); la sua barba può essere rasata solo con un coltello di rame
(Serv. Aen. I 448, cfr. Macr. V 19, 13. Lyd. de mens. I 31), questo resto
dell’epoca del bronzo è la prova dell’antichità di questo
rituale. Sul suo coltello sacrificale cfr. secespitum. In epoca antica
egli non poteva restare nemmeno una notte fuori Roma (Liv. V 52, 13); in
seguito gli venne permessa un’assenza di due (Tac. ann. III 71), e più
tardi ancora, di tre notti (Gell. X 15, 14 Plut. quaest. Rom. 40). In caso
di malattia Augusto (come Pontifex maximus) permise un’assenza più
lunga a condizione che essa non cadesse nei giorni del publicum sacrificium
e non capitasse più di due volte in un anno (Tac. op. cit.). Il
F. Dialis è rappresentato, se ammalato (o impedito da un munus publicum),
dal Pontifex maximus (Tac. ann. III 58). Se il F. si faceva incolpare di
una negligenza durante il servizio sacrificale o gli cadeva il cappello
dal capo, doveva deporre la sua dignità (Val. Max. I l, 4. Liv.
XXVI 23, 8. Plut. Marc. 5).
Che il F. Dialis non potesse rivestire un’altra carica
sacerdotale, come supponeva Ambrosch (Quaest. pont. III 5 23), è
dubbio (Mommsen CIL I p.19). Tuttavia il flamonium non poteva essere collegato
al pontificato poiché il F. stesso faceva parte del Collegium dei
Pontifices (Bardt Die Priester der vier großen Collegien 38). Il
Salio eletto F. doveva uscire dal Collegium dei Salii (CIL VI 1978. 1980.
1982 seg.).
Originariamente il F. Dialis non poteva rivestire una
carica politica (Liv. IV 54, 7. Plut. quaest. Rom. 113). Non è certo
che ciò fosse proibito in epoca antica anche al F. Martialis e al
F. Quirinalis (cfr. Mommsen St.-R. I 491). Nel 200 a.C. viene per la prima
volta permesso al F. Dialis di rivestire una carica cittadina (edilità
curule; Liv. XXXI 50, 7: poiché il F. non può giurare, viene
concesso a suo fratello di prestare giuramento al posto suo), nel 183 un
F. Dialis diventa praetor (Liv. XXXIX 39. 45), nell’87 consul (Vell. II
22. Tac. ann. III 58). Invece, conformemente al divieto di essere assente
da Roma più a lungo di due o tre notti, è stata sempre mantenuta
la proibizione che il F. Dialis non potesse andarsene in una provincia
(Tac. ann. III 71.) Gli altri due grandi F. hanno avuto in epoca imperiale
delle province (Tac. ann. III 58; cfr. Interpol. Serv. Aen. VIII 552),
però più anticamente è stato proibito anche a loro
da un veto del Pontifex Maximus di allontanarsi dai sacra, cioè
di andare in una provincia come funzionari (Cic. Fil. XI 18. Valer. Max.
I 1, 2. Liv. ep. XIX. XXIV 8, 10. XXXVII 51, 1).
Poiché il F. Dialis era legato alle più
molteplici limitazioni, è comprensibile che non vi fosse grande
propensione per questa dignità: pertanto si spiega che a partire
dall’anno 87 a.C. il flamonium Diale rimanesse vacante per 75 anni finché
Augusto lo rinnovò nell’anno 11 a.C. (Cass. Dio LIV 46. Suet, Aug.
31. Tac. ann. III 58).
A fianco del F. Dialis sta come aiutante sua moglie,
la flaminica (secondo Plut. quaest. Rom. 86 sacerdotessa di Giunone; Otto
Philolog. LXIV [1905] 215 seg. suppone a ragione che questa indicazione
sia inesatta). Che in periodo storico solo la moglie del F. Dialis, non
quelle degli altri F., esercitasse funzioni sacerdotali, è dimostrato
dalla circostanza che flaminica senza aggiunta contraddistingue sempre
la moglie del F. Dialis. Corrispondentemente al pileus del marito, lei
portava il tutulus, originariamente una cuffia (Helbig op. cit. 516 sottolinea
a ragione che questo fosse il significato originario di tutulus,), a cui
più tardi subentrò una pettinatura alta, nella quale era
intrecciata una benda di lana (Fest. p. 355a 29. Paul. p. 354, 7). La Flaminica
si vela il capo con il velo rosso, flammeum (Paul. p.89, 13. v.)
e un fazzoletto da testa purpureo, la rica (Paul. p. 288. l0), confezionato
da virgines ingenuae patrimae matrimaeque (Paul. p. 288, 11) e, come risulta
da Fest. p. 277 a 6, sostituito più tardi da un semplice nastro
(cfr. Samter Familienfeste 41). Come nel pileus del F. era attaccato un
ramoscello d’ulivo, così la Flaminica portava sulla rica un ramo
di un arbor felix (Gell. X 15 28; ramo di melograno Interpol. Serv. Aen.
IV 137). Questa virga la porta anche la regina sacrorum in certi sacrifici
ma la Flaminica in tutti (Interpol. Serv. loc cit.), v. rica. Come la rica,
il flammeum e la benda per capelli, anche il mantello della Flaminica,
il venenatum, è purpureo (Interpol. Serv. Aen. IV 137. XII 602.
Gell. X 15. 27, Helbig op. cit. 517 spiega erroneamente il venenatum come
un copricapo; cfr. Samter op. cit. 40 seg.); cfr. anche CIL XII 6038, 6.
Sull’importanza lustrale del colore rosso nel costume della Flaminica cfr.
Sibyll. Blätter di Diel 70. La tunica della Flaminica è di
lana e anche cucita con lana (Interpol. Serv. Aen. XII 120). Come si può
dedurre dall’iscrizione di Narbona CIL XII 6038, 7 anche per gli usi delle
città romane, le è proibito, come al marito, di toccare un
cadavere. Le sue scarpe e le suole devono essere fatte solo di pelle di
un animale sacrificato o ucciso in altro modo, ma non morto naturalmente
(Fest. p. 161 a 3. Interpol. Serv. Aen. IV 518). Non deve giurare (neve
invita iurato CIL XII 6038,7). Non può salire una scala di più
di tre gradini perché la sua gamba non si scopra, fanno eccezione
le scale circondate da pareti che la sottraggono agli sguardi (Gell. X
15, 29. Serv. Aen. IV 646). Non può alzare il vestito sopra il ginocchio
(Interpol. Serv. Aen. IV 518). Durante la festa degli Argei (Gell.
X 15, 30, v. vol. II pag. 689 segg.), quella degli ancilia (Ovid. fast.
III 397, v. vol. I pag. 2112) e durante la purificazione del penus Vestae
(v.) non può pettinarsi i capelli né tagliarsi le unghie
(Ovid. fast. VI 229 segg.). In questi giorni non può avere rapporti
sessuali col marito (Ovid. fast. VI 231).
Come per altri sacerdoti, anche per il F. i suoi figli
fungono da aiutanti (Dionys. II 22). Se egli non ha figli, i suoi
aiutanti sono fanciulli e fanciulle che abbiano i genitori ancora in vita
(Paul. p. 93, 2. Serv. Aen. XI 543. Macr. III 8, 7), i camilli e camillae;
v. vol. III pag. 1431.
A tutte le Idi il F. Dialis sacrifica a Giove una pecora
(Ovid. fast. I 487. Macrob. I 15, 16) ; v. Idulis ovis. Alle nundinae (v.)
la Flaminica macella nella Regia un montone a Giove (Macrob. I 16. 30).
Contro la supposizione di Wissowa (Rel. der Rom. 444, 4) che in questa
occasione si tratti di un sacrificio comune del F. e della Flaminica a
Giove e a Giunone, cfr. Otto Philol. LXIV [1905] 216. A febbraio il F.
Dialis distribuisce insieme al Rex i februa (v.) (Ovid. fast. II 21 segg.,
cfr. 27 seg. ipse ego flaminicam poscentem februa vidi). Sulla partecipazione
del F. Dialis ai Lupercali v. Ovid. fast. II 282; cfr. l’articolo Lupercalia.
Wissowa Religion d. Röm. 484, 7. All’inizio della vendemmia il F.
Dialis sacrifica a Giove una agna (Varro de l. l. VI 16), v. Vinalia. Sulla
partecipazione del F. Dialis alla confarreatio (Interpol. Serv. Georg.
I 31) v.
Il F. Martialis sacrifica il 15 ottobre a Marte il cavallo
vincitore nella gara di corsa (Cass. Dio XLIII 24, cfr. Wissowa Relig.
der Römer 131 e articolo October equus e Mars).
Il F. Quirinalis sacrifica ogni anno il 23 dicembre insieme
con il Pontifex sulla tomba di Acca Larentia (Gell. VII 7, 7. Macrob. I
10, 15; cfr. Acca Larentia e Larentalia). Il 25 aprile sacrifica a Robigus
(Ovid. fast. IV 910), v., il 21 agosto insieme con le vestali all’altare
di Conso (Tertull. de spect. 5) (v.). Il F. Quirinalis sembra essere in
una qualche relazione con il santuario di Vesta: egli accompagna nel 390
le vestali a Cere (Val. Max. I 1, 10), vicino a casa sua vengono seppellite
le reliquie. (Liv.V 40).
Tutti e tre i F. sacrificano alla Fides publica sul Campidoglio
(Liv. I 91, 4), v. fides. Come gli altri sacerdoti, anche i F. partecipano
alla lustratio urbis (v.), Lucan. I 604 che ha luogo nei momenti di pericolo.
Aggregati al Collegium dei Pontifices erano, a quanto
pare, anche i f. Divorum (Wissowa Religion der Römer 449), la
cui organizzazione imitava quella dei tre grandi F. (Cass. Dio XLIV 6,
4. Cic. Fil. II 110): come quest’ultimi dovevano essere patrizi (Dessau
Ephem. ep. III p. 223 segg.), e proprio come quelli essi erano nominati
a vita (Tac. ann. II 83) - comunque dall’imperatore in qualità
di Pontifex maximus - e inaugurati (Cic. Fil. II 110); come per i
vecchi F. il nome del dio, anche per loro viene aggiunto come aggettivo
il nome del Divus (contrariamente ai sacerdoti dell’imperatore provinciali
e municipali) (unica eccezione: il f. divi Severi, v. sotto). Però,
contrariamente ai grandi F., essi potevano, a quanto pare, rivestire contemporaneamente
il Pontificato (CIL V 3223. 7783; anche XIV 4242 si riferisce in ogni caso
al F. di un Divus; rex sacrorum e flamen CIL IX 2847), invece forse non
la dignità salica (Dessau op. cit. 226). Fino al III secolo ogni
Divus riceveva un proprio F. (Wissowa Religion der Römer 288). Sono
testimoniati F. per Cesare (Cass. Dio XLIV 6, 4. Suet. Caes. 76. Cic. Fil.
II 110. XIII 41. 47; f. Iulianus CIL V 1812), Augusto (Tac. ann. II 83;
f. Augustalis p. es. CIL II 1517. V 3223. VI 909. 913. 921), Claudio (f.
Claudialis CIL IX 1123. X 6566), Nerva (Plin. Panegyr. 11), Traiano (f.
Ulpialis CIL VI 1383), Adriano (Hist. aug. Hadr. 27, 3), Antonino Pio (ivi,
Anton. Pius 13, 4; M. Aurel. 7, 11), L. Vero (ivi, M. Aurel. 15, 4), Marco
Aurelio (ivi, 18,8), Commodo (ivi, Comm. 17, 11; f. Commodianus CIL VI
1577), Pertinace (Hist. aug. Pert. 15, 4; Sever. 7, 8), Settimio Severo
(f. divi Severi CIL V 778). Alcune donne imperiali morte ottennero flaminicae,
come Faustina Maggiore (Hist. aug. Anton. Pio 6, 7), Claudia, la figlia
di Nerone (Tac. ann. XV 23).
Sui F. sottoposti al collegio pontificale di alcuni antichi
comuni latini, in parte scomparsi in parte incorporati nello stato romano,
cfr. l’articolo Sacerdotes Laurentes Lavinates, Sacerdotes Lanuvini. Mommsen
St.-R. III 579 seg. Wissowa Religion der Römer 447. Wilmanns De sacerdot.
p. p. R. quodam genere, Berlino 1868. Sui F. nei municipi e nelle province,
dove presumibilmente il titolo è in parte subentrato a sacerdozi
locali, ma soprattutto designa il rappresentante del culto dell’imperatore
(soprattutto anche del culto dell’imperatore regnante), cfr. Sacerdotes
municipales e Kaiserkult.
Sui f. e proflamines degli Arvali v. vol. II pag. 1470,
sui f. delle curie vol. IV pag. 1816. 1836 (cfr. 1820; f. montanorum montis
Oppi Bull. com. XV 156. Mommsen St.-R. III 1 p. VIII 1).
Cfr. Wissowa Religion d. Röm. 432 segg. e più.
Marquardt Staatsverwalt. III² 326 segg. Preller Röm. Mythol.³,
soprattutto I 201 segg. e più. Ruggiero Diz. epigr. III 139 segg.
Röscher Lex. II 697 segg. Daremberg-Saglio Dict. II 1156 segg. Peter
Quaest. pontifical. spec. (Straßb. Diss. 1886, elencazione delle
testimonianze) 42 segg. G. May Le flamen Dialis et la virgo Vestalis, Revue
des études anciennes 1905, 3 segg. Frazer The golden bougl I²
242 segg.
[Samter.]
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