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i Germani
la vita spirituale
Della teologia dei Germani non si sa quasi nulla; si sa soltanto, da Tacito e da altri antichi scrittori, che fra le tribù delle origini si creavano delle vere e proprie leghe di culto per cui certe divinità venivano adorate in comune in determinati luoghi (boschi, paludi, pantani), secondo certi riti e in epoche fisse.(1) In tali occasioni si adoravano inoltre immagini di animali ritenuti sacri che quelle popolazioni si portavano al seguito anche nelle loro scorrerie: si pensi al toro di bronzo dei Cimbri durante la loro calata in Italia.
Frequente era anche l’usanza di trasportare il simulacro del Dio o della Dea su un carro riccamente adorno e quella del lavacro dell’immagine come momento religioso conclusivo. Per tali riti vigevano particolari norme di comportamento: nel bosco in cui i Senoni erano soliti adorare le loro divinità si poteva entrare solo legati; in queste occasioni era probabilmente usuale l’accompagnamento di danze e di rappresentazioni mimiche: Tacito ricorda una danza delle spade. (2)  Molto frequente era anche il vaticinio e la predizione del futuro soprattutto da parte delle donne. Basterà ricordare le sacerdotesse dei Cimbri che vaticinavano dallo scorrere del sangue dei prigionieri sgozzati. (3) Cesare cita spesso l’usanza delle donne germaniche di predire se si dovesse ingaggiare battaglia o no.
Tutto questo dimostra l’importanza della classe sacerdotale presso i Germani per cui non è impensabile che i sacerdoti venissero scelti esclusivamente tra la nobiltà. E’ certo comunque che essi, accanto agli adempimenti religiosi, amministravano in parte il potere giudiziario, soprattutto per quanto riguardava questioni attinenti l’assemblea dei liberi, come si è visto. Si hanno tracce di una lega di culto fra tutte le tribù suebe (Langobardi, Ermunduri, Marcomanni, Quadi e Senoni) e fra le tribù della penisola cimbrica (l’odierno Jütland) e delle isole danesi il cui centro era un santuario della dea Nerthus probabilmente su Seeland.  Tali leghe religiose, molto importanti anche a livello civile ed economico per l’interscambio “culturale” fra le varie popolazioni, sono, accanto alla famiglia e al clan, forme sociali importantissime e l’anello di congiunzione fra il modo di vivere profano e quello religioso. Tutti gli oggetti, infatti, anche quelli più comuni, ricevevano in tali circostanze un significato magico - religioso: così la lancia non era solo uno strumento bellico ma, provvista di simboli e rune, acquistava un potere magico; così la fibbia della cintura, così il corno per bere la birra e, in genere, ogni utensile che, per poter servire, doveva possedere una forza magica. (4)  Per ricostruire approssimativamente l’universo religioso dei Germani è opportuno rifarsi all’unica mitologia germanica pervenutaci, quella scandinava, abbastanza rappresentativa di tutto quel mondo poiché la maggior parte di quelle popolazioni aveva la sua sede primitiva proprio in Scandinavia. In quella mitologia, vista nel suo insieme, vi sono due categorie di dei: gli Asi e i Vani, spesso in lotta fra loro ma poi capaci anche di fondersi; di questi due gruppi i più forti e conosciuti sono certamente i primi, tanto che i Vani non compaiono nemmeno in altre mitologie nordiche. Un tale dualismo divinitario si richiama evidentemente a una tradizione indoeuropea, perché trova parallelismi in religioni di popolazioni molto lontane, come quella vedica e indoiranica. Questi dei si ripartiscono su tre livelli che si rifanno alle analisi dei bisogni dell’uomo di quell’epoca e dei servizi divini, secondo la teoria che è stata chiamata della “tripartizione funzionale”. (5)  Ecco allora che tra gli Asi troviamo Tyr, Odhinn e Thorr, rispettivamente il più antico degli dei, il dio supremo delle rune e il dio del martello, nemico dei giganti, il “dio che tuona”. Tra i Vani vi sono Njördhr, il dio del mare che arricchisce i naviganti, Frej, il dispensatore della pace, e sua sorella Frejia che dona il piacere all’uomo. Sorge a questo punto la domanda se questo carattere triadico sia valido anche per tutte le altre popolazioni di origine germanica. A tal proposito si può constatare che Tacito attesta una teologia triadica presso i Germani occidentali: egli scrive infatti che essi adorano Mercurius (Odhinn), Hercules e Mars (rispettivamente Thorr e Tyr) e a questi dei viene associata una dea da lui chiamata Isis. (6)  Anteriormente a Tacito Cesare cita, ed è questa la prima notizia in nostro possesso sugli dei dei Germani, il Sole, Vulcano e la Luna, ove Vulcano, dio del martello, potrebbe essere Thorr. (7) Anche presso i Sassoni è attestata una triade. Esaminiamo ora più da vicino queste divinità che ci permettono di fare un poco di luce sul tipo di civiltà e di società che le ha create. Odino (ant. nord. odhr = ted. Wut = furore = Wotan) discende dai giganti primordiali. Egli è veggente e signore delle rune (got. runa = segreto, mistero, decisione = ted. raunen = bisbigliare, sussurrare) e delle magie più potenti, protettore dei re e dei sovrani terreni che per lui devono talvolta versare il loro sangue.  Appare all’istante se invocato dai naviganti in pericolo; è signore della battaglia e rende ciechi e sordi i nemici. Sa profetare il destino degli uomini e il futuro, è capace di dispensare morte, disgrazie e malattie, conosce i canti per aprire la terra e carpirne i tesori e sa conferire il genio poetico.  I suoi emissari sono le Valchirie (ant. nord. valkyrjor = quelle che scelgono i morti nel combattimento) che trasportano i morti nel Valhalla (ant. nord. valhöll = cancello del combattimento), dove essi conducono una vita fatta di eterni combattimenti e banchetti. Tale divinità era certamente conosciuta anche dalle popolazioni gotiche che la collegavano alla Wut = furore, da cui, come si è visto, deriva il nome Wotan, tanto è vero che gli Amali, la famiglia reale dei Goti si vantavano di aver il loro progenitore in Gapt (= Gautr = Odhinn).  Tyr è il Marte dei Germani e Mars viene chiamato da Tacito, come si e visto. Egli è il dio della guerra, ma anche del diritto che è una specie di guerra in tempo di pace con quelle assemblee di guerrieri che ricordano le battaglie. Non a caso essi, secondo Tacito, "siedono insieme armati... e senza armi non fanno nulla né a livello pubblico ne a livello privato" (8) alludendo così all'usanza germanica di agitare le armi o battere la spada sullo scudo per dimostrare approvazione nell'assemblea. (9) Come Odino è mutilato perché ha un occhio solo, Tyr è mutilato volontario perché ha perso una mano nelle fauci del lupo Fenrir.  "In   sostanza   questo   teologema   significa   per   il   mondo germanico - nordico la divisione del mondo in due grandi province: quella dell'ispirazione e del sortilegio e quella del contratto e del cavillo procedurale, cioè, per dirla in due parole, la magia e il diritto ed anche questo è certamente retaggio indoeuropeo". (10) Il rapporto tra il bene e il male viene esplicato nel mondo germanico settentrionale dalla saga di Baldr, figlio di Odhinn e dio della giustizia e della bontà, ucciso involontariamente dal fratello Hödhr su istigazione del malvagio Loki che incarna l'elemento demoniaco e lo spirito del male. Così la leggenda: Irigg, sposa di Odhinn e madre di Baldr e Hödhr,  rende il primo invulnerabile a tutto tranne che al "germoglio del vischio". Loki la interroga subdolamente e, venuto a conoscenza del modo per uccidere Baldr, prende del vischio e induce il cieco Hödhr a colpirlo ammazzandolo. Dopo la sua scomparsa Baldr vive nel regno dei morti di Hel (ted. Hölle = inferno) senza poterne ritornare. Alla fine Loki e gli dei malvagi uccideranno gli dei buoni ma al disastro seguirà un rinnovamento che vedrà il ritorno degli Asi in un mondo di pace. In questa cosmogonia Baldr incarna il Bene, la luce, la giustizia dapprima soccombente di fronte alle forze del male (Loki); Hödhr è invece il cieco destino. 
Questa leggenda, che trova innegabili parallelismi anche in quella vedica e presuppone quindi un comune patrimonio di origine indoeuropea, trova evidente riscontro in cicli epici successivi come ad esempio quello di Sigfrido e dei Nibelunghi, Thorr è il Thunraz dei Germani di cui parla Tacito (Hercules); è un dio dalla forza possente, all'occasione accresciuta da cintura e guanti magici. E’ quasi sempre in viaggio e la sua arma è il martello, l'arma celeste, il fulmine che accompagna il tuono.  Egli è il baluardo di tutti gli altri dei e non può essere trattenuto da alcuno allorché si scaglia contro i nemici, posseduto dalla môdhr, uno stato di furore e di esaltazione.  Successore di Odhinn nella  teogonia  germanico - scandinava  è dapprima Nyördhr, che ha potere sul mare, la navigazione e la pesca. Questa divinità è citata anche da Tacito ma al femminile: si tratta, come abbiamo già visto, della Nerthus, onorata da piccole popolazioni a sud dell'odierna Danimarca, come gli Angli e i Warni, che vedevano in lei la "terra mater". (11) Figlio di Nyördhr, ma presso altri popoli germanici visto anche come gemello, è Freyr che ha potere sulla .pioggia, il sole, i prodotti della terra e la ricchezza in genere. Talvolta egli è raffigurato anche come una sorta di Priapo nordico. Altra figlia di Nyördhr è Frejia che ama la poesia amorosa ed è la dea dell'amore. Dal suo nome è tratto il titolo onorifico Frû (cfr. ted. Frau = donna, signora e got. frijon = amare = ted. freien = corteggiare, sposare) che spetta alle dame nobili. Si tratta quindi, come si può dedurre da quanto sopra esposto, di una società che ha per valore primario e fondamentale la guerra e il conflitto, che considera anche il diritto una forma di lotta, che crede nel valore magico, numinoso e rievocativo del canto. Costume notevole e praticamente unica forma di diritto pubblico è quello assembleare dove vengono prese le grandi decisioni, finanche, in caso estremo, quella dell'elezione del sovrano, di muovere guerra o di intraprendere lunghi viaggi.  Le attività della pace sono quelle tipiche di una società primitiva nordica che vive di caccia, pesca e, in minor misura, dei frutti della terra. Per quanto attiene all’uso funerario e al culto dei morti, il tipo di sepoltura più diffuso all’origine era la cremazione ma poi, in epoca precristiana, accanto ad essa compare l’inumazione del cadavere. Abbiamo notizie precise sulle inumazioni di Alarico e Teodorico, entrambi re dei Visigoti, il primo nel fiume Busento in Calabria, il secondo sul terreno stesso di battaglia ai campi Catalaunici, caduto nel grande scontro con Attila. Anche la tomba di questo famosissimo e terribile re unno dovette essere un grande tumulo di tipo germanico, come il rituale funerario che ne accompagnò la sepoltura. Perfino la tomba di Teodorico, re degli Ostrogoti, costruita a Ravenna nel 520 d.C. da un architetto siriaco, pur differenziandosi da tutte le altre tombe germaniche conosciute, potrebbe essere vista come un tumulo convertito in monumento. (12) I morti non erano considerati perduti per sempre, poteva anzi accadere che essi ritornassero in vita a creare guai e problemi: si trattava, insomma, di morti viventi, secondo le credenze magico - religiose di queste popolazioni.  Il tumulo del morto doveva contenere quello che in vita gli era stato più caro, e in questo tipo di civiltà guerriera care erano soprattutto le armi e le ricchezze in oro e gioielli, il motivo del tesoro (Hort) è infatti largamente presente in tutta la tradizione leggendaria germanica, basti pensare al tesoro dei Nibelunghi sprofondato nel Reno. Molte saghe e alcune divinità sono accostabili alla teogonia greco - latina, oltre che vedico - iranica, così Wieland, il fabbro, è un esempio di Dedalo germanico che si fabbrica due ali per sfuggire alla prigionia, richiamando il motivo classico di Icaro ma rivestendolo di tutta la tragicità germanica.  Di natura sovrumana, Wieland vive nel rimpianto della moglie perduta, la vergine guerriera figlia del Sud, che lo ha abbandonato e per il cui ritorno egli ha preparato un anello propiziatorio. Rapito nel sonno dagli sgherri del re Nidud e reso schiavo, ha i tendini dei piedi tagliati perché la regina vuole impedirgli la fuga. Ma Wieland medita la vendetta: attira i due figlioletti del re nella sua fucina e li uccide, coi loro teschi forma due bellissime coppe d'argento per il re, dagli occhi due fulgide gemme per la regina, coi loro denti una collana per la figlia dei sovrani che egli violenta allorché ella compare nella fucina per farsi riparare l'anello che il re ha sottratto al fabbro. Fabbricate quindi due ali, Wieland vola alla reggia e svela a Nidud l'accaduto fin nei dettagli, facendogli giurare di non uccidere la figlia e di allevare il bastardo, celebrando così il trionfo del concetto germanico di vendetta. 
Carattere religioso, sacrale, inteso come preghiera a queste divinità, riveste anche lo Spruch, o formula magica, una delle prime manifestazioni letterarie orali del mondo germanico, attraverso la quale è possibile, per esempio, guarire la zampa rotta del cavallo o ritrovare la strada nel bosco infestato di spiriti maligni. Nella seconda delle "Formule magiche di Merseburgo" (Merseburger Zaubersprüche) che sono l'unico monumento superstite di poesia pagana, trascritte intorno all'anno 950 in un manoscritto risalente al IX secolo probabilmente proveniente da Fulda, Wotan interviene da ultimo e pronuncia le parole divine: "Osso a osso, sangue con sangue, membro a membro, come fossero incollati insieme". (13) La più importante forma poetica di queste popolazioni germaniche è però la canzone di carattere epico, lo Heldenlied, attraverso la quale lo skop (ahd. skopf ), il bardo di corte, anch'egli sempre un guerriero, esalta le virtù guerresche tramandate oralmente mediante la particolare forma di versificazione del suo re e del suo seguito o ne piange la morte. Tali canzoni eroiche, documentate fin dai primissimi secoli dopo Cristo, vengono tramandate oralmente mediante la particolare forma di versificazione che si basa sullo Stabreim, l'antico verso allitterativo germanico (le lingue germaniche, a differenza delle romanze, sono improntate a un principio ritmico e non musicale) e costituiranno successivamente il nucleo di  celeberrimi cicli, pervenuti fino a noi in più tarde trascrizioni, come quello dell'epopea nibelungica. (14) L'unico frammento rimastoci di questa primitiva poesia epica germanica in una trascrizione del IX secolo è lo Hildebrandlied, la canzone di Ildebrando, di origine longobarda. E’ la storia di Ildebrando, il vecchio maestro d'armi di Dietrich von Bern (Teodorico), il quale ritorna a casa dopo trent’anni di assenza. Il passaggio del confine gli viene però negato da un giovane guerriero, Adubrando, nel quale Ildebrando riconosce subito il figlioletto da lui abbandonato insieme alla moglie tanti anni prima, alla sua partenza. Il padre,  pieno di gioia,  si fa riconoscere ma il giovane non gli crede e arriva a offenderlo nel suo onore di guerriero. A questo punto non resta che il duello di fronte al seguito schierato. Qui si interrompe la canzone ma si suppone che il padre uccida, debba uccidere il figlio. Per tutti i motivi che ricorrono nel frammento si può senz'altro affermare che questo è un tipico canto germanico delle origini; infatti vengono esaltati tutti i motivi morali finora illustrati: quello del comitatus, cioè la fedeltà al proprio sovrano, è venuto in contrapposizione col motivo della famiglia, del clan, e questo, a sua volta, si contrappone al concetto di onore personale. 
Da tutte queste contrapposizioni scaturisce il motivo tragico che è poi, a ben vedere, quello dell'eroismo del singolo guerriero nei confronti del destino.
Note
1) In queste paludi, sedi degli dei, i Germani affondarono con intento sacrificale tutta una serie di oggetti e anche dei corpi umani. Oggetti e corpi sono tornati alla luce in ottimo stato di conservazione per la particolare composizione chimica del terreno. L'usanza dei sacrifici umani è attestata a più riprese presso quasi tutte le popolazioni germaniche: basti ricordare che gli ufficiali romani fatti prigionieri dopo la sconfitta nella selva di Teutoburgo vennero tutti sacrificati su altari innalzati nei boschi vicini. 
2) Tacito, Germania, XXIV: "...nudi iuvenes, quibus id ludicrum est, inter gladios se atque infestas frameas saltu iaciunt ". 
3) Fischer Fabian, op. cit. pp. 286/7: "Fra le donne del loro [dei Cimbri] seguito ve n'erano alcune che possedevano il dono di vaticinare. Erano grigie di capelli, portavano bianche vesti fermate alla spalla da una fibbia e una cintura di metallo. A piedi nudi muovevano incontro ai prigionieri attraversando il campo, con la spada in mano. Li incoronavano a festa e li conducevano poi in un grande bacino di ferro che conteneva venti anfore [circa 780 litri]. Una delle donne saliva su una scala e faceva sollevare i prigionieri uno dopo l'altro, li costringeva a piegarsi sopra il recipiente e tagliava loro la gola. Dal sangue che sgorgava nel bacino traevano presagi e vaticinavano il futuro. Altre donne squarciavano il ventre ai prigionieri e annunciavano, osservando le viscere che uscivano fuori, la vittoria del loro popolo" 
4) Hachmann, op. cit. p.85  Quanto all'alfabeto runico, esso veniva inciso su bastoncini di legno di faggio o di tasso - a tal proposito si veda la parentela ancora oggi esistente in tedesco tra il sostantivo Buchstabe = lettera dell'alfabeto e Buche = faggio - e lo si credeva dotato, oltre che di un significato testuale, anche di un potere magico. È difficile poter risalire all'origine di tale alfabeto, anche se vi sono stati tentativi di farlo derivare da una scrittura dell'area sudeuropea come quella greca e latina. Le rune più antiche, chiamate Futhark dai primi sei segni dei 24 in totale, hanno, oltre a un contenuto semantico, anche un contenuto concettuale dato dalla prima lettera. A tal proposito si veda K. Düwel: Runenkunde 1968. Quanto alla loro età; "Per avere un'idea" dell'età delle origini della scrittura runica è importante tener conto che finora non abbiamo letto un'iscrizione che sia stata incisa prima del III secolo dopo Cristo" (Reichardt) in: H. Schreiber, I Goti, Garzanti, 1981, p.114.
E’ anche interessante far notare che tutta la Scandinavia è ricchissima di iscrizioni runiche  contenenti  la  parola  erilaR (eirilaR) che significa ‘erulo’. Si può quindi ritenere che tale popolazione, dapprima migrante verso sud dalle originarie sedi danesi e poi, dopo una serie di sconfitte e diaspore, ritornata nel nord europeo, fosse talmente famosa per la  sua  padronanza dell'alfabeto runico che il suo nome ne divenne un tratto distintivo. 
5) Cfr. G. Dumezil, Gli Dei dei Germani, Adelphi, 1979; ove questo concetto è estesamente trattato con ampia bibliografia.
6) Tacito, Germania, IX. Per quanto riguarda Isis, il cui culto Tacito ascrive a una parte dei Suebi, non si tratta qui di una divinità germanica ma di un culto orientale, penetrato a Roma e di qui, attraverso i mercanti, tra i Suebi. 
 7) Cesare. De bello gallico, VI, XXI; "Deorum numero eos solos ducunt quos cernunt et quorum aperte opibus iuvantur, Solem et Vulcanum et Lunam; reliquos ne fama quidem acceperunt". Anche nel mondo religioso Celtico era particolarmente tipico il numero  tre.   "...Abbiamo  ricordato   prima   le  tre  Madri  ma incontriamo pure un dio a tre teste o a tre facce (rilievo di un dio a tre teste proveniente dalla regione di Reims, dio a tre teste su un vaso da Bavai); un toro a tre corna (tarvos trigarnos); triadi di animali e personaggi che avevano il potere di triplicarsi. Il numero tre era presso i Celti simbolo di forza e perfezione, e un dio con tre teste era il più potente di tutti gli dei". Jan Filip, I Celti alle origini dell'Europa, Club del libro fratelli Melita, 1987, p.192 
8) Tacito, Germania, XI, XXXIII: “....considunt armati….nihil autem neque publicae neque privatae rei nisi armati agunt”. 
9) Tacito, Germania XI: "si displicuit sententia, fremitu aspernantur: sin placuit, frameas  concutiunt. Honoratissimum assensus genus est armis laudare". 
10) Dumezil, op. cit. p.88
11) Tacito, Germania, XL: "Ncc quicquam notabile in singulis, nis quod in commune Nerthum, 
id est Terram Matrem, colunt..." 
12) Hachmann,op.cit.p.134
13) In originale: "ben zi bena,/ bluot zi bluoda,/ lid zi geliden,/ sose gelimida sin!" In tedesco moderno: "Bein  zu Bein,/ Blut zu Blut, /Glied zu Glied/ als ob sie geleimt wären" 
14) Lo Stabreim o verso allitterativo, usato nelle prime manifestazioni poetiche germaniche, aveva in origine una funzione religiosa, sociale e giuridica, oltre che poetica.
Così questo linguaggio scandito e solenne, accompagnato talvolta da musica e danza, serviva per le celebrazioni del culto, per i matrimoni, per onorare i defunti ma, fissandosi nella memoria tramite l'accentuazione della sillaba iniziale, aveva un ruolo molto importante anche in tutti gli atti del diritto in un'epoca che conosceva soltanto la trasmissione orale diretta. 
Un esempio di allitterazione si è visto alla nota precedente. 
Bibliografia
C.G. Cesare: De bello gallico (7 libri) 
Dumezil, G.: Gli Dei dei Germani, Adelphi, 1979
Düwel, K.: Runenkunde, Metzler, 1968
Fischer Fabian, S.; I Germani, Garzanti, Milano, 1985 
Hachmann, R.: I Germani, ed. Nagel, Roma, Parigi, Monaco,1977
Publio Cornelio Tacito: Germania
Schreiber, H.: I Goti, Garzanti, 1981,  

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