i Germani
la vita quotidiana, la lingua e la conversione all'arianesimo
Com'era la vita quotidiana di questi Germani?
Come si vestivano? Quale linguaggio usavano?
Da una serie di ritrovamenti archeologici si può dedurre che
il capo maschile più antico era il mantello, fissato sulla spalla
destra da una fibula, talora provvisto di un cappuccio o a sacco, con un'apertura
per la fuoriuscita della testa. Il mantello era dapprima di erbe, di giunchi
o di pelle animale e solo in epoca romana arrivò a essere di rafia,
mentre la semplice pelle di animale come indumento venne sostituita
da pellicce o rivestimenti di pelliccia come indumento invernale.
Gli antichissimi Germani portavano già la camicia a maniche lunghe
o corte, il cui uso passò ai Romani (camisia) e si protrasse
a lungo nel tempo, e i pantaloni, risalenti all'epoca del bronzo. L'uso
di questo indumento conviveva con quello delle fasce per le gambe, mentre
i polpacci e i piedi venivano fasciati già in epoca precedente;
i pantaloni potevano essere corti e aderenti e allora venivano chiamati
Bruch (lat. braca). Era usuale la cintura, larga o stretta; le scarpe
erano di cuoio, senza suola, tenute da lacci che passavano anche sotto
al piede. I Germani si coprivano raramente il capo ma, se lo facevano,
usavano berretti a tesa o cappelli di pelle di animale, mentre l'uso dell'elmo
venne ad affermarsi solo all'epoca delle migrazioni. Una speciale
cura dedicavano alla barba e alla pettinatura: i capelli erano di norma
lunghi e raccolti sulla tempia destra in un concio che aveva, oltre a un
evidente significato pratico, anche un'importanza simbolica e un potere
magico.
Le persone importanti si radevano o portavano baffi spiovente come
era usuale tra i Franchi, e talora la barba intera che doveva contraddistinguere,
specialmente tra i Longobardi, il guerriero; non a caso Wotan, il dio della
guerra, aveva anche l'appellativo di "barbalunga". La capigliatura curata,
la cui importanza è testimoniata dal ritrovamento di una serie
di pettini, era comunque una caratteristica dei principi e dei liberi:
Ammiano Marcellino riferisce che il re alamanno Cnodomero, durante la battaglia
di Strasburgo del 357 d.C., portava una lunga chioma rosso - biondiccia
legata in un vistoso ciuffo, e Apollinare Sidonio, descrivendo Teodorico
II, re dei Visigoti, ne ricorda espressamente la capigliatura a treccia.
Egli racconta inoltre che i Visigoti uccisi in battaglia dai Romani venivano
decapitati dai loro stessi compagni affinché non fossero riconosciuti
per barbari dai loro lunghi capelli. L'uso del concio sulla tempia destra
è assai antico - Tacito cita il nodus ornatior dei principi germanici
- e termina all'incirca all'epoca di Traiano allorché è sostituito
dalla treccia, tanto che re franchi vennero anche chiamati reges criniti.
La donna germanica delle origini indossava di solito una giacchetta
a maniche corte, talora la gonna e talora, come l'uomo, pantaloni o fasce
e poteva portare ai polsi manicotti di pelle di animale. Si adornava con
spille, catene e in seguito anche cinture formate da anelli di bronzo;
sulle spalle una specie di scialle e in testa un fazzoletto, talvolta ricamato
a coprire i capelli lunghi con scriminatura, tenuti ai lati da bandine
o spilloni. L'uso del reggiseno e delle mutandine era sconosciuto.
In genere portava anche gli orecchini, il cui uso però scompare
un secolo prima di Cristo per ricomparire all'epoca delle migrazioni, e
spesso anche bracciali di ambra e persino guanti per l'inverno, il tutto
in vivaci colori perché l'arte tessile era avanzata.
II modo di vestire, sopra descritto, che poteva variare da tribù
a tribù, era evidentemente conforme al clima rigido di quelle sedi.
Particolarmente diffusa era l'abitudine, attestata già da Tacito
e diffusa soprattutto nei ceti più altolocati, di prendere giornalmente
dei bagni caldi. La predilezione per il bagno in qualsiasi forma è
riferita da diversi scrittori di lingua latina, assieme alla straordinaria
capacità nel nuoto di molti Germani.
Presso i Goti e le popolazioni germanico - orientali era progredita
anche la tecnica di fusione dei metalli: qui si creavano splendide fibule
che modificandosi e impreziosendosi col passare del tempo, si diffusero
quasi ovunque. Le catenelle erano di foggia diversa, spesso d'argento o
di bronzo e tempestate di perline; c'erano ciondoli sferici d'oro, con
ornamenti in filigrana, bracciali d'argento a forma di testa di serpente,
pettini e spille per capelli, soprattutto per le donne, cosa che ne dimostra
l'importanza nella società germanica primitiva. Il materiale per
queste creazioni artigianali di notevole valore e gusto perveniva ai Goti
dal contatto con i Romani e spesso dalla fusione delle loro monete di bronzo,
argento e oro. In cambio essi, come del resto molte altre tribù
germaniche settentrionali, fornivano l'ambra che a Roma era di gran moda,
tanto che Plinio dice valere più una statuetta di questo materiale
che un uomo in carne ed ossa. (1)
Questo commercio coi Romani continuò e si accrebbe allorché
i Goti lasciarono le loro primitive sedi fino a giungere in prossimità
dell'Impero d'Oriente, ma con le migrazioni intervenne anche in questo
campo un grande decadimento. (2)
In un primo periodo, all'incirca fino alla metà del II sec.
d.C., l'insediamento europeo di queste popolazioni è relativamente
stabile, risalendo a remotissimi movimenti di intere stirpi protogermaniche.
I loro idiomi non differiscono di molto in quanto e stato postulato
anche un comune linguaggio protogermanico successivo a un indoeuropeo
comune o a una serie di linguaggi indoeuropei affini.(3)
Questo protogermanico iniziale avrebbe poi avuto una successiva evoluzione
non documentabile ai primordi ma ben avvertibile in una fase intermedia
della lingua: nel V sec. d.C., per esempio, inizia nel germanico la cosiddetta
seconda rotazione consonantica (zweite Lautverschiebung) che andrà
a concludersi solo verso l’VIII/IX secolo. Anche il contatto con la civiltà
romana e il latino arrecherà notevoli fratture in campo linguistico.
(4)
C'è una infiltrazione di queste popolazioni all'interno dei
territori imperiali che, prima limitata e perlopiù pacifica, assume
poi la forma di un vero e proprio stanziamento di interi gruppi. Questi
barbari, attratti dalla luce di civiltà che emana dall'impero romano
e dalla sua immagine di forza, subiscono un processo di romanizzazione
per cui molti rugi, sciri, vandali, goti servono nelle truppe imperiali
raggiungendo talvolta cariche e posizioni di estremo prestigio.
A tal proposito è significativo l'atteggiamento della politica
romana del tempo che sempre oscilla fra due poli: da un lato i barbari
vengono accolti volentieri e fatti combattere nel nome di Roma anche contro
altri barbari, cosa che essi fanno quasi sempre con lealtà poiché
non sentono molto, come si è già detto, le affinità
con le altre tribù; dall'altro si riconosce la crescente pericolosità
di questi insediamenti che potrebbero costituire una minaccia per l'Impero.
Conseguente a quest'ultima idea fu sempre la pratica politica fondamentale
di tutti gli imperatori, soprattutto d'Oriente, di aizzare i barbari
gli uni contro gli altri. Ma anche all'interno del mondo barbarico che
viene a contatto con Roma e Bisanzio si vengono poco a poco formando due
partiti diversi: uno favorevole alla romanizzazione e ai Romani, che in
essi vede i tutori ma soprattutto i dispensatori di una superiore civiltà
utile anche alla tribù; un altro ostile, in quanto pervenuto alla
consapevolezza che la romanizzazione avrebbe cancellato la peculiarità
germanica facendo sparire le antiche usanze. Sempre Romani e barbari oscillarono
tra questi due atteggiamenti e le vicende guerresche di questo periodo
vengono scandite dall'accordo o dal disaccordo di questi partiti.
Da considerare in questo quadro è anche il contatto di queste popolazioni
col cristianesimo mediato dai rapporti coi prigionieri cristiani, coi soldati
germanici di ritorno in patria dopo il servizio nell'esercito romano, coi
missionari, in una difficile opera di conversione. Questo passaggio a una
nuova confessione, il cristianesimo ariano, avvenne comunque, per quasi
tutte le tribù che vivevano all' esterno dei territori dell'Impero,
dopo il 476, con l’unica eccezione dei Rugi che vivevano a nord del Danubio
e che vennero convertiti forse tra il 434 e il 441 dai Goti di Costantinopoli.
Per le altre popolazioni che prima di questa fatidica data vivevano
sul suolo imperiale, come i Visigoti, i Vandali, i Suebi i Burgundi gli
Ostrogoti e i Gepidi, si possono supporre date differenziate di conversione.
E’ certo che i Visigoti vennero convertiti tra il 382 e il 395 mentre
per i Vandali, i Suebi e i Burgundi è lecito pensare al lasso di
tempo che va dal 417 al 419. Gli Ostrogoti e i Gepidi furono invece convertiti
tra il 456 e il 472. (5)
L'assunzione dell'arianesimo a loro più congeniale dell’ortodossia
(6) costituirà
però in seguito profondo motivo di dissenso, anche politico, con
gli Imperi romani cattolici. Da parte di diverse tribù barbariche
vi saranno persecuzioni contro i religiosi e le chiese cattoliche, soprattutto
in Africa con i Vandali, ma anche da parte cattolica si guarderà
sempre con inimicizia ai regni romano - barbarici ariani. La conversione
è certamente apportatrice di profondi fermenti, non però
a livello sociale in quanto il modo di concepire la vita il rapporto col
prossimo, il concetto di supremazia, di guerra e di morte non ne viene
intaccato e la conversione resta in sostanza un’operazione superficiale,
motivata quasi sempre da calcoli di opportunità politica e favorita
dallo sradicamento dalla terra e dalla patria. Questi fermenti opereranno
invece a livello culturale; si pensi alla traduzione della Bibbia del visigoto
Wulfila/Ulfila (311 - 338). Questo grandissimo innovatore nacque sul basso
Danubio tra i cosiddetti goti minores da padre goto e madre greca, figlia
di genitori cristiani dell’Asia minore, condotta schiava dai goti. Il giovane
Ulfila crebbe quindi in un duplice ambiente culturale e godette anche di
un'altra favorevole condizione che gli permise di condurre a termine un'opera
tanto impegnativa; la relativa tranquillità nella quale questi goti
poterono vivere, grazie anche alla loro povertà che li preservava
da ogni attacco da parte di altre tribù, non toccati nemmeno dalla
grande invasione unna che si scatenò più a nord e distrusse
i grandi regni gotici. Per diffondere il cristianesimo egli, divenuto
nel 341 vescovo ariano, cominciò tale impresa durata trent’anni.(7)
Questa traduzione è il più antico documento di lingua germanica
pervenutoci, tanto più meritoria se si considera che la lingua gotica
sapeva rappresentare soltanto divinità pagane e che non esistevano
opere in prosa né, come sappiamo, una scrittura vera e propria.
Egli fu capace di ricreare, inventare, formare, traducendo esattamente
ma anche liberamente (per esempio usò spesso il duale gotico invece
del plurale) e tenendo conto dei vari dialetti, come il vandalico, e dell'evoluzione
del gotico in seguito ai prestiti dal latino imperiale dell'epoca e dal
greco di Bisanzio. Adattò l'alfabeto runico, prima inciso su cortecce
d'albero, come già si è visto, al papiro e alla pergamena,
introducendo anche altri segni ortografici; la scrittura gotica, da lui
letteralmente inventata, ebbe una sua forma corsiva e un uso corrente con
molti esempi ostrogoto - latini ancora conservati a Ravenna, Napoli, Arezzo.(8) |
Note
1) Tacito, Germania, XLV; “Ma frugano
[gli Estii] anche il mare, e inoltre, unici tra i Germani, raccolgono tra
i flutti e sulle spiagge l'ambra, che si chiama "gleso". E mai, da barbari
quali sono, si sono chiesti e hanno capito che origine abbia; anzi, per
lungo tempo è rimasta a giacere tra gli altri rifiuti del mare,
fino a quando la nostra tendenza al lusso le ha conferito un valore.
Gli Estii non sanno che farsene: la raccolgono allo stato grezzo, la trasportano
non ancora lavorata e stupefatti incassano il compenso.
E’ chiaro comunque che si tratta
della resina di un albero, poiché spesso vi si vedono in trasparenza
animaletti terrestri o anche dotati di ali, che, impigliatisi nel liquido
vischioso, vi restano in seguito racchiusi quando la materia si indurisce.
Come nelle estreme regioni d'Oriente vi sono foreste e boschi rigogliosi
che trasudano incensi e balsami, così si potrebbe credere che vi
siano anche nelle isole e nelle terre dell'Occidente sostanze che, secreto
dagli alberi allo stato liquido per effetto dei raggi del sole che lì
è più vicino, scorrono fino al mare e sono rigettate sui
lidi opposti dalla forza delle tempeste. Se indaghi la composizione
dell'ambra avvicinandola al fuoco, si accende come una torcia e alimenta
una fiamma oleosa e maleodorante; poi diventa un fluido vischioso come
pece o resina.” (A cura di: E. Risari, Oscar Mondadori, 1991)
Così Tacito; in effetti
l'ambra è una resina fossile facilmente lavorabile, conosciuta fin
dal neolitico. Da notare in questa descrizione la parola gleso da cui poi
l'anglosassone glaes e il tedesco moderno Glas.
"Quando Pitea da Massilia [Marsiglia]
fece rotta per il settentrione (IV sec. a.C.) l'ambra era già così
preziosa da essere ritenuta sacra...Per giungere alla terra dell'ambra
bisognava navigare sull'Oder e sulla Vistola. Soltanto quando i Romani…cominciarono
ad utilizzare quella resina fossile in misura maggiore, assunsero importanza,
accanto ai due fiumi, anche le vie terrestri dell'ambra (si pensi alla
transcontinentale, cioè all'arteria principale che partiva dalla
Slesia e attraversava l'odierna Austria toccando Vienna o Carnuntum per
poi puntare su Aquileja e sboccare sull'Adriatico...), H. Schreiber, op.
cit. p.19) L'importanza dell'ambra è attestata ancora circa
500 anni dopo da una lettera di Cassiodoro, segretario particolare di Teodorico,
e autore di una "Storia dei Goti" andata perduta ma dalla quale attinse
a piene mani Jordanes.
2) Gran quantità di notizie
e informazioni specifiche su tutti gli argomenti attinenti l'arte orafa,
il modo di vestire e l'artigianato in generale presso gli antichi Germani
è possibile attingere da: H. Reinert (a cura di), Tracht und Schmuck
im nordischen Raum, 2 voll. Lipsia 1939.
3) La linguistica storico-comparativa
dell’Ottocento ha cercato di ricostruire questo ipotetico linguaggio ie.
e di spiegare la nascita successiva delle varie lingue di questo ceppo
attraverso numerose teorie. Così Schleicher ipotizzò tale
distacco come i rami di un albero che si dipartono da tre tronchi principali:
è la teoria dell'albero genealogico; ad essa J. Schmidt contrappose
la teoria delle onde: le lingue si differenziarono dal nucleo originario
come le onde in acqua si allontanano concentricamente dal punto dove e
caduto il sasso. Vi fu poi la teoria del substrato di H. Hirt che spiegò
le differenze tra le varie lingue ie. come un'imposizione della lingua
dei conquistatori ie. sulle lingue diverse dei popoli conquistati; in epoca
più recente A. Meillet formulò una spiegazione attraverso
un metodo geografico-dialettale.
Su tutte queste teorie la moderna
linguistica e però molto scettica, così come sul concetto
stesso di popolo ie. sul quale le uniche informazioni ci vengono peraltro
solo dall'archeologia e dalla linguistica.
Molto discussa fu anche la questione
della patria di questo popolo o insieme di popolazioni, che fu di volta
in volta localizzata in Asia o in Europa.
Vi è chi ha sostenuto, in
base a studi linguistico-geografici, che la patria degli ie. si trovava
nel territorio compreso tra i fiumi ove si riproducono i salmoni, come
la Vistola, l’Oder e l'Elba (Thieme, P., Die Heimat der indogermanischen
Gemeinsprache, Wiesbaden, 1954). A questa conclusione l'autore giunge attraverso
la comparazione di molti vocaboli nelle diverse lingue indicanti animali
e piante, ma soprattutto attraverso l'analisi del termine Lachs (ie. *LAKSOS)
che significa "salmone" e che trova riscontro non solo nel germanico, nel
baltico e nello slavo, ma anche nell'antico indiano e nel tocario. La patria
degli ie. dovrebbe dunque essere localizzata alle latitudini alle quali
il salmone si riproduce o a nord di esse.
Sulla base della comparazione linguistica
si è anche tentato di ipotizzare il tipo di civiltà di queste
popolazioni che vissero nel neolitico praticando l'allevamento e una rudimentale
forma di agricoltura, in case di legno con pareti fatte di tralicci (il
ted. Wand = parete viene dal verbo winden = torcere), riunite in villaggi
e talora in vere e proprie fortezze per le quali sono testimoniate designazioni
comuni. Usavano il carro, dapprima a due e poi a quattro ruote, conoscevano
il rame ma non il ferro. La loro organizzazione sociale consisteva nella
famiglia, nei gruppi familiari e nelle tribù. Era già conosciuto
l'istituto matrimoniale e nel loro primitivo diritto erano importanti il
giuramento, l'ospitalità e la vendetta di sangue. La religione era
politeista; i morti venivano inumati ed era sviluppato il culto degli antenati.
In seguito a un processo lungo e differenziato si svilupparono poi le diverse
lingue: a tutt'oggi, se vogliamo respingere le vecchie teorie sopra esposte,
possiamo basarci su pochi dati certi. È comunemente accertato
che l'unità linguistica ie. si infranse verso il 3000 a.C. se nel
II millennio l'indiano, l'ittito e il greco erano già lingue compiute
a se stanti. In questo periodo si formò dunque il germanico
comune che prese forma compiuta verso la metà dell'ultimo millennio
a. C. e di cui abbiamo attestazioni nel II e nel I sec. a. C. Esso non
era probabilmente una lingua unitaria ma una serie di lingue o dialetti
simili. Secondo alcuni la più antica testimonianza di questo
germanico originario sarebbe data dal ritrovamento del cosiddetto "elmo
di Negau": si tratta di un elmo scoperto nella Stiria inferiore (oggi ex
Jugoslavia) sul quale compare la prima iscrizione in nostro possesso: HARI
XASTI TEIVA il cui significato è imperscrutabile come pure la datazione
del reperto. Sembra comunque ormai accertato che
non si tratti di rune, ma probabilmente di puri segni asemantici
ad imitazione runica. Le prime vere testimonianze linguistiche del
germanico comune ci vengono dalle opere di Cesare, Tacito e Plinio o dai
prestiti del germanico in altre lingue (si è già visto che
lat. braca viene da un germanico * brokes = ted. Bruch e ingl. breeches).
L'esame linguistico comparativo ci mostra un progresso nella vita di queste
popolazioni rispetto al livello ie. Germanici sono molti nomi di animali,
molti vocaboli attinenti l'abitazione, la marineria e la pesca mentre nascono
in questo periodo parecchie parole del campo militare e bellico.
4) Vi furono molti prestiti dal
latino nelle lingue germanico-occidentali, più numerosi nei ricchi
territori renani per l'attività commerciale romana e la romanizzazione
della Gallia che non in quelli danubiani, economicamente più depressi.
Essi sono particolarmente numerosi
nei campi sotto indicati, anche se di essi si daranno solo alcuni esempi.
ted = tedesco -- ahd = alt
hoch deutsch (antico alto tedesco) -- lat = latino
Militare:
ted. Pfeil - ahd. pfil - lat. pilum
(freccia)
ted. Kampf - ahd. champf - lat.
campus (battaglia)
ted. Strasse - ahd. strâza
- lat. strata (strada)
Commerciale:
ted. kaufen - ahd. koufôn
- lat. caupo (comprare)
ted. Münze - ahd. munizza
- lat. moneta (moneta)
Architettonico:
ted. Mauer - ahd. mûra
- lat. rnurus (muro)
ted. Keller - ahd. kellâri
– lat. cellarium (cantina)
ted. Fenster - ahd. fenstar
- lat. fenestra (finestra)
Agricolo:
ted. Frucht - ahd. vruht
- lat. fructus (frutto)
ted. Pflaume - ahd. pfrûma
- lat. prunum (prugna)
ted Wein - ahd. wîn
- lat. vino (volg.)
ted. Most - ahd. most - lat.
mustum (mosto)
Amministrativo-Giuridico
:
ted. Kaiser - ahd. keisar
- lat. caesar (imperatore)
ted. Zoll - ahd. zol(l) -
lat. teloneum (dogana)
ted. Zins - ahd. zins - lat.
census (interesse)
ted. Kerker - ahd. karkâri
– lat. carcer (carcere)
ted- Kette - ahd. ketina
- lat. catena (catena)
Anche il più modesto
ambito domestico, il vestiario, la preparazione dei cibi e il calendario
mostrano molti calchi dal latino:
ted. Schrein - ahd. scrîni
- lat. scrinium (scrigno)
ted. Kissen - ahd. chussî
- lat. coxinus (cuscino)
ted. Kerze - ahd, charza
- lat. charta (candela)
ted. Spiegel - ahd. spiagal
- lat. speculum (specchio)
ted. Küche - ahd. chuhhina
- lat. coquina (cucina)
ted. Kessel - ahd. kezzil
- lat. catinus (paiolo)
ted. Schüssel - ahd.
scuzzila - lat. scutella (scodella)
Attestabili in gotico sono anche
molti prestiti greci pervenutici attraverso la traduzione della Bibbia
di Ulfila.
Vi fu anche un influsso contrario
più modesto ad opera dei soldati barbari che servivano nell'esercito
romano ma soprattutto in seguito alle dominazioni barbariche in Francia,
Spagna e Italia.
5) Cfr. E. A. Thompson; il
Cristianesimo e i barbari del nord, in: A. Saitta, 2000 anni di storia,
vol. I, Cristiani e Barbari, pp. 471/496, Laterza, Bari, 1978
6) Non è difficile spiegarsi
il motivo per cui tra le popolazioni germaniche si diffuse rapidamente
proprio il Cristianesimo ariano. L'arianesimo spaccò letteralmente
il concetto di Trinità, attribuendo a Gesù una posizione
intermedia fra Dio e l'uomo. Tre entità divine e distinte tra loro
una delle quali però anello tra Dio e il mondo, erano certamente
concetti più accessibili per quei popoli primitivi, abituati alle
loro numerose divinità e alla figura del guerriero-eroe nella quale
videro subito Gesù Cristo.
7) "Ma gli fu indispensabile
molto, ma molto di più, ed e per questo che ho cominciato dalla
traduzione biblica e non dalla vita di Ulfila, perché se nella sua
vita c'è ancora parecchio di oscuro, il più grande enigma
di quell'esistenza consiste in questo; come sia riuscito un uomo del IV
secolo, in mezzo alle guerre, agli scontri religiosi e alla miseria del
profugo, minacciato di persecuzione anticristiana e tallonato dai cavalieri
Unni, a portare a compimento quel miracolo che il Codex argenteus in gran
parte ci ha conservato" H. Schreiber, op. cit. p.84
8) La traduzione della Bibbia di
Ulfila è contenuta nel cosiddetto "Codex argenteus" conservato oggi
nella biblioteca universitaria di Uppsala in Svezia. Si tratta di un manoscritto
in lettere argentee o dorate su pergamena purpurea, elaborato in Italia
tra il V e il VI secolo d.C. in piena epoca teodoriciana: delle originarie
330 pagine contenenti i Vangeli rispettivamente di Matteo, Giovanni, Luca
e Marco, ne sono oggi conservate solamente 187. |
Bibliografia
Publio Cornelio Tacito: Germania
Reinert, H. (a cura di) : Tracht
und Schmuck im nordischen Raum, 2 voll. Lipsia 1939
Schreiber, H.: I Goti, Garzanti,
1981
Thieme, P. : Die Heimat der indogermanischen
Gemeinsprache, Wiesbaden, 1954
Thompson, E. A. : Il Cristianesimo
e i barbari del nord, in: A. Saitta, 2000 anni di storia, vol. I, Cristiani
e Barbari, Laterza, Bari, 1978 |
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