Napoli |
Neapolis, l’odierna Napoli, in
Campania sul versante occidentale del Vesuvio, si trovava secondo Stat. Silv. I
2, 263 sul fiume Sebeto (così anche Colum. X 134 Vib. Sequ. p. 18), l’odierno
Fiume della Maddalena, che nasce ai piedi del Monte Somma. Forse è il nome
della ninfa Sebetide nominata anche da Virgilio e da Serv. schol. VII 734,
scritta secondo Niessen (It. Ldk. II 746, 4) su una moneta come Σεπειθος,
da far derivare da σήπειν, cosicché il
fiume, che attraversa con numerosi ruscelli un bassopiano un tempo ‘paludoso’,
riceverebbe da ciò il suo nome. Non è un caso, come dice A. v. Hofmann (Das
Land Italien und seine Geschichte), che il golfo di N. diventasse la porta
d’invasione degli stranieri, non solo nell’antichità. Certo non è del tutto
esatto dire che la parte occidentale d’Italia fosse la facciata della penisola,
perché anche la parte adriatica a nord e a sud, anzi anche i Viburni nella loro
città Adria a sud del Vomano, ha attirato uomini da oltre il mare, ma la parte
occidentale ha pur sempre il ruolo principale nella storia d’Italia, anche
prima che i turchi avessero chiuso così la parte adriatica. A prescindere dalla Sicilia è però, per gli
stranieri, il golfo di Napoli la porta di questa parte occidentale. E’
effettivamente per questo motivo che proprio la parte più fertile poté
contribuire meno di tutte le altre alle sorti del paese, poiché è stata sempre,
come detto, la porta d’invasione e la preda degli stranieri. Nemmeno il Vesuvio
ebbe un effetto deterrente, perché non è noto che in queste epoche esso era in attività; la prima eruzione storica
cade solo nell’agosto del 79 d.C. A ciò si aggiunge che le montagne vulcaniche
che circondano N. non minacciano affatto la città, ma nemmeno la proteggono,
bensì la dividono anche dagli abitanti della pianura fluviale campana, così che
non solo il golfo di N. ma anche N. stessa ha la propria storia. Poiché non
v’era un collegamento diretto col retroterra, soprattutto i Campi Flegrei,
parte di un antico grande vulcano, i coloni greci poterono resistere qui, ai
margini del golfo, contro i signori della pianura e del retroterra che erano in
continuo cambiamento, gli Etruschi, i Sanniti, e anche contro i Romani che
politicamente assunsero il potere ma non riuscirono a romanizzare la grecità.
N. rimase infatti sempre una città greca, Cuma si romanizzò solo nel II secolo
a.C. Proprio l’aver dato rilievo a questi fatti che continuarono nella storia medievale
e moderna del golfo, costituisce il merito del menzionato lavoro di A. v.
Hofmann. Cuma sorse prima di N., che però poi le
subentrò. Secondo Strab. V 243 Cuma dovrebbe essere stato il più antico
insediamento dei Calcidesi e dei Kymäer in Italia e in Sicilia, ma,
prima della colonizzazione dell’Italia centrale, la protezione della via
marittima attraverso lo stretto di Messina, quindi la nascita di saldi
insediamenti sulla costa orientale della Sicilia, potrebbe esserne stata la
premessa. Per questo né Cuma né N. potrebbero essere sorte prima di Naxos in
Sicilia. Non si possono indicare anni precisi. Che però già prima del 750 a.C.
anche navi greche, cretesi e fenicie attraversassero lo stretto, lo dimostra p.
esempio il fatto che nella Cnosso antico-minoica si è trovata una coppa fatta
di roccia delle isole Lipari (Liparit); altre prove di queste precoci relazioni
in D. Fimmen Die kretisch-mykenische Kultur, 1921, 108 e 113 (per l’Italia
occidentale e la Sardegna). Se si vuole accettare il 753 come anno della
fondazione di Naxos, allora la nascita di N. ad opera di Cuma potrebbe cadere
intorno al 600. Gli avvenimenti principali della storia della fondazione si
trovano in Strab. V 246, per cui N. era una colonia dei Cumani ma ‘si
insediarono più tardi anche Calcidesi oltre ad alcuni Pitecusani e Ateniesi’.
Così la città avrebbe ricevuto il nome di N. = città nuova. In conformità a
ciò, anche Livio (VIII 22) racconta: ‘Vicino all’odierna N. c’era l’antico
insediamento di Palaepolis, ma era lo stesso popolo che abitava le due città.
Esso veniva da Cuma. I Cumani hanno la loro origine da Calcide nell’Eubea. Per
le navi sulle quali erano venuti, essi godevano di grande considerazione sulla
costa da loro occupata. Approdarono dapprima sulle isole Enaria e Pitecusa, poi
osarono il passaggio sulla terraferma.’ Pertanto anche Livio, come Strabone,
conosce due fasi d’insediamento, cioè dei coloni di Cuma vennero per due volte
a N. Con questo si accorda anche il racconto conservato da Serv. Daniel. Georg.
IV 563: Parthenope] Lutatius libro IV. dicit, Cumanos incolas a parentibus
digressos Parthenopen urbem constituisse, dictam a Parthenope sirena, cuius
corpus etiam illic sepultum sit. postquam ob locorum ubertatem amoenitatemque
magis coepta sit frequentari, veritos Cumanos, ne Cumas omnino deserentur,
inisse consilium Parthenopen diruendi. postea tamen pestilentia affectos ex
responso oraculi urbem restituisse sacraque Parthenopes cum magna religione
suscepisse, nomen autem Neapoli ob recentem institutionem imposuisse. Anche se non è
probabile che prima della colonizzazione della Sicilia fossero costruiti
insediamenti stabili nell’Italia centrale, per me è assolutamente sicuro che
già prima del VII secolo dei Greci fecero i loro viaggi fin qui senza fondare
insediamenti stabili. Strab. XIV 654 racconta che i Rodiesi ancor prima
dell’introduzione del conteggio secondo le Olimpiadi costruirono Parthenope
presso gli Opiker, e anche Steph. Byz. p. 504 chiama Parthenope una
città degli Opiker in Italia, e precisamente una fondazione dei Rodiesi
(cfr. anche sopra). a) Nomi della città.
Non si deve assolutamente considerare il nome Parthenope vecchio per N. Nel 433
o 432 un ateniese sacrifica alla sirena Parthenope e crea in suo onore una
festa; ciò è raccontato già da Timeo (cfr. sotto a ‘Phaleron’). Il nome di
questa sirena, la cui tomba godeva onori divini, compare spesso (Strab. I 23.
26. V 246. XIV 654. Steph. Byz 504. Verg. Georg. IV 564 con Serv.
Daniel. Ovid. met. XV
712. Plin. n. h. III 62. Solin. 2, 9. Sil. Ital. VIII
534. XII
28). Per quanto dunque possa essere vecchio il culto della sirena Parthenope,
non per questo si può dimostrare che il nome di città Parthenope sia vecchio.
Tutti gli autori che lo menzionano quando parlano della sirena, possono
benissimo averlo diffuso secondo l’esempio di Virgilio, che nel 2 a.C. celebrò
questa festa, perché la si trasformò in una festa quadriennale in onore
dell’imperatore e della madre della sua stirpe, Afrodite; là furono inventate
alcune cose tra cui anche il ‘nome della città’. In questo senso si esprime
Vollmer Die Silven des Statius 1898, 436. Anche il nome Phaleron, che
leggiamo in Steph. Byz. 656 per N., è forse una costruzione. Con la sirena lo
collega Lykophr. Alex. 717. Stefano menziona questo nome per N., quando lo usa
per gli Ateniesi che porterebbero anche questo nome dal Demos Phaleron. Se ad
esso colleghiamo la notizia in Strabone (V 246 v. sopra), che anche gli
Ateniesi avrebbero partecipato in seguito alla colonizzazione di N., allora
esiste una dipendenza di questi due racconti l’uno dall’altro. Se davvero
esisteva a N. un gruppo di coloni ateniesi, può essere nata qui una leggenda di
fondazione ateniese di N. Può però anche essere, al contrario, il nome Phaleron
per N. ad avere spinto Strabone a chiamare gli Ateniesi cofondatori di N. Se
seguiamo Nissen (It. Ldk. II
747; su questo Be1och Campanien² 307), la Pallas con la corona d’ulivo della
più antica coniatura di monete intorno al 450/40 fa pensare a stretti legami
con Atene (Head HN). In accordo con ciò, anche Strab. V 246 e Timeo negli
Schol. a Lykophr. Alex. 733 menzionano il navarca ateniese Diotimo, che nel 433
o 432 compare a N. con la sua flotta e, dopo aver ricevuto la sentenza
dell’oracolo, sacrificò là a Partenope e istituì in suo onore una fiaccolata
che poi i N. mantennero come Agon annuale. Nel 413 vengono arruolati per
l’assedio di Siracusa dei mercenari campani (Diod. XIII 44, 2). Dopo la
sconfitta di Atene, però, questi stretti rapporti cessano. A questo si può
aggiungere che l’ager Falernus adiacente a N., che presuppone l’esistenza di
un’antica città ‘Phaleron’, facilitò il passaggio a N. del Phaleron ateniese in
un episodio della sua storia favorevole ad Atene. Né Parthenope né Phaleron
sono in realtà veri, antichi nomi napoletani. Il più antico nome
napoletano non sarà nemmeno stato Palaeopolis, nel senso che una seconda, più
recente colonizzazione scelse un altro posto; in ogni caso i romani, secondo
Livio loc. cit., fecero la conoscenza della città come di due insediamenti
separati da un muro ma legati da un comune privilegio. Nel 420 i Sanniti
presero Cuma: Diod. XII 76. Dion. Hal. XV 6. Strab. V 243.
Allora degli abitanti dell’infelice città fuggirono a N. per cui si resero
necessari un ingrandimento e un nuovo insediamento. In questo senso sorsero a
N. una città nuova e una vecchia. Questa sarebbe una possibilità per spiegare
le due parti della città. Per me è più probabile riallacciarsi alla seconda
incorporazione di nuovi abitanti. Secondo Liv. VIII 21 segg. i Sanniti
irruppero nel 400 circa anche a N. Allora la città si salvò accogliendo questi
Campani nella sua federazione, così che le monete contennero temporaneamente il
nome dei nuovi abitanti: Καμπανος
o Καμπανο, Dresse1 Berliner Katalog
70. Con ciò si accorda il fatto che nel 328 gli Annali di Livio citano una
Palaepolis accanto a N. e che nel 326 i Fasti Cap. e anche Livio loc. cit.
fanno trionfare i romani sui Sanniti di Palaeopolis. Pertanto solo da circa il
400 potrebbero esserci sulla terraferma una città nuova e una vecchia, mentre
fino allora la città vecchia della città nuova N. era stata la città-madre
Cuma. Sulle monete più antiche intorno al 450 - 440 a.C. compare la scritta
oscillante fra l’alfabeto calcifico e quello ionico: Νεοπολίτης
o Νεήπολις . b) Posizione della città. La città vecchia si
trovava sull’odierno Pizzofalcone, era dunque, secondo la tipologia di queste
vecchie costruzioni, un’inattaccabile realizzazione a fortezza che aveva un
collegamento col retroterra solo da una parte. Qui dunque si deve cercare la
città vecchia, non nella parte orientale, poiché questo versante si adattava
magnificamente; quindi, secondo Liv. VIII 26, la potenza marittima di N. si
estendeva anche a Palaeopolis. Sotto la protezione di questa fortezza si
sviluppò poi la città di N. la cui prima fioritura cade nel periodo seguente
alla caduta di Cuma, che nel IV e III secolo rappresentava il centro della
grecità sul golfo. Essa ebbe un importante ruolo anche fra i romani finché Roma
non ebbe una propria flotta. Seguì poi una certa decadenza, così che nel II
secolo fino all’epoca di Augusto ebbe il predominio Puteoli. In seguito N.
divenne e restò la prima città. N. non è protetta dai Campi Flegrei, ma sta davanti
o appoggiata a essi. Perciò offre una protezione naturale quella dorsale che
porta ancora oggi il nome di Posillipo dalla villa del pescicoltore Vedius
Pollio Pausilypon = spensierato. Questa dorsale continua come altopiano dal
Vomero sulla città, dove poi si aggiunge il nuovo quartiere; questo altopiano
spinge poi due contrafforti verso S. Elmo e Capodimonte. Fra Capodimonte e il
mare c’è l’ingresso aperto e naturale alla città, protetto dalle mura
cittadine. ‘Questa linea è tracciata dalla natura e le porte medievali’ così
dice v. Hofmann, ‘saranno qui le stesse delle antiche. La linea conduce dalla
Porta S. Gennaro attraverso la porta Capuana e Nolana al mare presso la Porta
del Carmine; essa ebbe il suo forte sostegno dal Castel Capuano fondato dai
Normanni, che la scompose in due parti. Qui, al centro della linea muraria,
c’era il punto più in pericolo. Un’antichissima leggenda dice che nelle torri
della Porta Capuana abitavano serpenti stregati; anche questa leggenda
contribuì a rafforzarne la posizione. I tedeschi di Enrico VI si sono rifiutati
di rompere questa porta per paura di questo inquietante sortilegio’. Questa
considerazione strategica della N. medievale torna limitatamente utile anche
nella ricostruzione dei rapporti dell’antichità. Poiché la città vecchia era
indipendente da queste condizioni e, al contrario della città odierna, si
spingeva decisamente verso oriente, a est del Toledo. ‘Si può ancora tirar
fuori dalla pianta della città odierna senza alcuna difficoltà la vecchia N.
nonostante i grandi risanamenti degli anni ’90. Oltre alle porte già nominate,
è opportuno menzionare ancora la Porta di Costantinopoli, dove l’omonima strada
di fronte al Museo Nazionale incontra la Piazza Cavour e ancor oggi disegna il
vecchio angolo cittadino; poi la Porta Medina sotto S. Elmo, non lontano dalla
Stazione Cumana. Fra queste due porte le mura formavano un angolo fortemente
rientrante, al cui vertice venne a trovarsi la chiesa di S. Domenico Maggiore;
il muro incrociò perciò il tratto all’incirca presso Piazza Dante, che si trova
già fuori dalle mura antiche. E’ riconoscibile anche l’antica rete stradale:
tre decumani paralleli con direzione est ovest attraversano ancora oggi la
città vecchia e la dividono in quattro quartieri approssimativamente uguali: la
Strada S. Trinita Nilo S. Biagio de' Librai Forcella; Strada de' Tribunali;
Strada della Sapienza Anticaglia S. S. Apostoli; altre 20 traverse offrono
accesso al vento di mare, come volevano le antiche norme sanitarie nelle
costruzione stradali. Il duomo odierno, costruito da Carlo I, è un antico
tempio di Nettuno, S. Paolo Maggiore un tempio dei Dioscuri Correra Att. R.
Acc. Napoli 1905, 214 segg. v. Duhn S.-Ber. Akad. Heidelb. 1910; su ciò Mau -
Merck1in), S. Lorenzo la Basilica, l’Anticaglia contiene resti di un teatro.
Anno dopo anno i resti della metropoli rilasciano nuovi ritrovamenti; su questo
le relazioni delle Not. d. Scavi. Tutti questi punti si trovano vicini l’uno
all’altro: ‘essi indicano che la città antica si estendeva verso S. Gennaro.’
Le catacombe (bibliografia in Mau - Mercklin; v. sotto bibliografia) si trovano
fuori, ai piedi di Capodimonte. Una ricostruzione delle vecchie mura la tenta
Be1och nella sua importante opera Campanien 62 segg.; importante è anche la
pianta cittadina medievale: Capasso Pianta di N. nell’ XI secolo, Archivio
storico nap. XVI segg., la pianta XVII (1892; le mura della città greca sono
ricostruite da Gabrici Not. d. Scav. 1906, 448-465). Si calcola che il
perimetro di queste mura fosse di circa 4 km, così che la città antica occupava
uno spazio di circa 1200 m (ovest-est) x 825 m (Nord-Sud). A nord essa andava
da S. Maria di Costantinopoli fino ai S. S. Apostoli; il Largo delle Pigne
(Piazza Cavour) è rialzato come la Strada S. Carlo all' Arena di 10 - 20 m
rispetto all’antichità e nonostante ciò si trova ancora più in basso. A est la
Strada Carbonara è l’anello stradale esterno, così che le mura qui andavano da
S.S. Apostoli a Castel Capuano. Il muro taglia il Castel, si trova più in alto
della Strada Maddalena e piega a sud ovest verso il Vico Sopramuro e S.
Agostino alla Zecca. A sud molte scale devono compensare le differenze
d’altezza fra città e spiaggia. Poi le mura seguono il margine superiore
dentellato: da S. Agostino alla Zecca attraverso S. Severino, S. Marcellino,
Università, S. Giovanni Maggiore fino a S. Maria la Nuova. Infine a ovest i
punti principali sono la Strada Montoliveto, S. Pietro a Maiella e la Strada S.
Maria di Costantinopoli che definiscono il corso delle mura. I decumani sopra
menzionati, che creavano 4 quartieri, formavano insieme ai circa 20 cardini
vani d’abitazione di circa 100 isolati. Le strade potevano avere una larghezza
costante di 4 m. Questa pianta cittadina uniforme, insieme all’attuazione della
ventilazione delle strade ad opera del vento di mare, che furono costruite da
nord nord ovest verso sud sud est, evidenzia, come hanno mostrato Be1och e
Nissen, la dipendenza di questo impianto dalle norme di costruzione stradale di
Ippodamo di Mileto, pertanto questo impianto unitario non può essere avvenuto prima
del 450 a.C. Questa è l’epoca in cui comincia il conio di monete (v. sopra) e
vennero accolti i nuovi cittadini (v. sopra). Questa struttura edificativi, che
la vecchia N. mostra al contrario dei più nuovi quartieri, tornò utile
soprattutto alla popolazione anche perché moltissime persone abitavano in uno
spazio ristretto. Negli edifici a quattro, cinque piani (Filostr. nel Prooem.)
abitava una moltitudine di persone, che, unita a quella dei sobborghi fuori
dalle mura, non poteva essere meno di 100000 individui. Dunque la città non era
‘piccola’, come dice il napoletano Stefano davanti a Belisario: Procop. bell.
Goth. I 8. Anche le gigantesche costruzioni tombali delle catacombe di S.
Gennaro: CIL X 1 p. 179. Kaibel 218 ci fanno trarre conclusioni su una
popolazione numerosa. Ulteriore bibliografia in Mau-MerckIin sotto e.
Eccellente era anche l’approvvigionamento idrico della città. In parte esso
avveniva sotto terra attraverso la vecchia Acqua della Bolla che usava le
sorgenti del Sebeto, in parte attraverso l’impianto dell’Acqua di Serino, che
prende l’acqua sotto terra e in superficie dall’Appennino, da Serino in
Irpinia, nella valle del Sabato sopra Avellino. Questa conduttura, costruita
nel primo periodo imperiale, fu rimessa in funzione nel 1885, così che ancora
oggi vengono usate entrambe le condutture. La più recente delle due termina, dopo un corso di 70 mp., presso
Miseno. L’orlo del cratere non proteggeva soltanto N, ma era
anche un fastidioso ostacolo al traffico.
Perciò i romani forarono Posillipo, prima sulla cima, di fronte
all’isola di Nisida. Così nacque la Grotta di Sejano. La strada portava da
Bagnoli lungo la costa e formava qui un tunnel lungo 770 m, alto da 4 a 8 m e
largo da 4 a 6 m. Determinanti furono i motivi militari. Anche la strada segue
le tortuosità della costa e fa perciò deviazioni di circa 2 mp. Strabone
conosce il Grotto di Sejano, come dimostra la menzione dei cortili a lucernario
effettivamente presenti; inoltre egli sottolinea (V 245. 246) la larghezza pari
a due vetture di questo impianto, che secondo lui ha creato Cocceio nel 37 a
C., quando fu costruito il porto di guerra. A scopi di viabilità serviva invece
la breccia fatta da Claudio, che perciò Strabone non conosce, ma gli atlanti
registrano (Geogr. Rav. V 2). E’ questa la Grotta di Posillipo, lunga 707 m,
alta 3,5 m, larga da 3 a 4 m, senza cortili a lucernario. Nel 1885 fu aggiunta
la Grotta Nuova così che ormai il tunnel è lungo 734 m. Queste due grotte
corrono quasi parallele l’una all’altra e finiscono a Fuorigrotta. Esse
accorciavano il percorso e attirarono tutto il traffico. Una descrizione di
questa cripta ce la danno Sen. ep. 57 e Petron. frg. 16 Buechl. La cima di
Posillipo, il Capo Coroglio, dove c’era anche la villa di Pausilypon, formava
il confine del golfo di Puteoli. In certo qual modo la continuazione di
Posillipo in mare era formata dall’isola = Nisida, che un tempo apparteneva a
Lucullo (Cic. Att. XVI 1, 1. 2, 3. 3, 6. 4, 1; Fil. X 8). Quando Ostia, il
porto di Roma, e la foce del Tevere divennero sempre più inutilizzabili, si
costruì nel golfo di N. il nuovo porto, al quale la via Appia offriva uno
splendido collegamento. Un punto debole del muro flegreo, la Montagna Spaccata,
rese possibile la diramazione di una strada laterale verso Puteoli, che per due
secoli superò N. come porto di Roma, finché la costruzione di Portus ridiede a
Roma un suo porto. Allora N. ricominciò ad avere il primato. Ma il mare a sud
est di Posillipo offriva possibilità anche verso N. Qui divenne importante il
contrafforte di una diramazione di Posillipo, il Pizzofalcone, lungo 1 km,
terminante in uno scoglio chiamato per la sua forma Castel d' Ovo, che
nell’antichità si chiamava Megaris o Megalia (Plin. n. h. IlI 82. Stat. Silv. II 2, 80). Su ambedue i lati di questo Pizzofalcone sorsero costruzioni di
Lucullo, fra cui il Castellum Lucullanum, il Castel dell' Ovo. Qui, nel
476, soggiornò Romolo Augustolo su ordine di Odoacre (cfr. s. v. e sotto c). Fons, mare, silva, lacus, horti, balnea,
campi flumina: sunt uno haec nomine Parthenope: era uno speciale vantaggio
di N. quello di possedere vasti campi sul vero e proprio territorio cittadino,
che rappresentava uno spazio di circa 100 ha, così da comprendere un territorio
di circa 200 km². Secondo Cic. off. I 33 arrivava al territorio di Nola, poi si
avvicinò fino a 2 km a Puteoli, i colles Leucogei con i filoni di
zolfo e le sorgenti d’acqua minerale appartenevano a N. (Plin. n. h. XVIII 114.
XXXI 12. XXXV 174. Stob. Anth. III p. 244 Mein.); Augusto
scambiò il territorio di Ischia con Capri, che a periodi appartenne a N.
(Strab. V 241), a N.: Obseq. 54.
Suet. Aug. 92. Strab.
V 248. Infine anche Herculaneum deve essere assegnato a N.: Nissen Ital.
Landesk. II 760. Il territorio di questa città era benedetto anche dalla
natura. Certamente il vino fatto qui non era proprio di prim’ordine (Plin. n.
h. XIV 69. Galen. X 833. XIV 19 K. Athen. I 27 c), ma viene esaltata la
fertilità del suolo: Serv. Dan. Georg. IV (564 (cfr. sopra). Dion. Per. 357.
Specialmente magnificate vennero le locali castagne (Plin. n. h. XV 94. XVII
122. Marziale V 78, 14) e le mele cotogne (Plin. n. h. XV 37). Viene
sottolineata anche la produzione di olio essenziale di rosa per il quale N. è
concorrente di Capua: Varrone Men. 511. Büch. Plin. n. h. XIII
5. Athen. XV
688 e. Il territorio vulcanico dei colles Leucogei permette l’estrazione
di zolfo sulle alture intorno ad Astroni e Solfatara, dove i vapori sulfurei
decoloravano la roccia: Plin. n. h. XVIII 114. XXXI 12. XXXV 174. c) Storia della città. Del periodo della
fondazione si sa poco (confronta sopra, sotto a). Ci sarebbe ancora da
aggiungere che una sentenza dell’oracolo sanzionò la costruzione, come quasi
sempre avveniva per le colonie greche, cioè un tempio fornì denaro per questa
fondazione Skymn. 252. Poi abbiamo menzionato che essa fu in stretta relazione
con Cuma, ricevette nuovi abitanti da lì dopo la caduta di Cuma (420), ebbe
relazioni anche con Atene fino a circa il 413. Quindi ricevette altra
popolazione campana, anch’essa già menzionata, intorno al 400, finché intorno
al 326 i romani trionfarono alla fine sui ‘Sanniti di Palaeopolis’. La caduta
di Capua spinse i Greci a cercare un collegamento con Roma, N. si mantiene
fedele a questa alleanza anche in tempi difficili; Vell. 14 (eximia semper
in Romanos fìdes); Liv. XXII 32. XXIII 1. 15. XXIV 13. Plut. Mar. 10, 1. Diod. XXVI 13. Pur essendo federata con Roma, N. conservò la sua originaria
costituzione greca, era solo una città federata (Liv. XXXV 16), che mantenne
anche in epoca romana la sua caratteristica greca (Strab. V 246. Varr. 1.1. VI
15. Sil. Ital. XII 18); perfino Tac. ann. XV 13 la chiama ancora graeca urbs.
N. conservò lingua e costituzione (Strab. loc. cit.), la sua flotta (Polyb. I
20,14. Liv. XXXV 16. XXXVI 42. Appian. bell. civ. I 89), il suo diritto d’asilo
(Polyb. VI 14, 8), la sua coniatura di monete (Mommsen Münzw. p. 115. 117 .325)
e secondo Cic. Balb. 55 viene collegata alla chiesa statale per il suo culto di
Demetra. Solo la sua importanza come città commerciale passa a Puteoli dopo che
questa era passata a Roma, quindi circa dal 200 a.C. : Nissen It. Ldk. II 739.
N. mantenne questi privilegi anche quando divenne Municipium e fu assegnata
alla Tribus Maecia: Cic. Balb. 21. CIL X 1 p. 171. Prima, nel 82, ebbe ancora
da soffrire molto in seguito a una occupazione dei Sillani avvenuta per
tradimento: Appian. bell. civ. I 89. Cic. fam. XIII 30, 1;
Att. X 13, 1
mostra come N. anche da Municipium conserva il greco come lingua ufficiale fino
all’epoca dei Flavi, secondo Kaibel Inscr. Graec. 757-760 perfino il calendario
greco. Anche le iscrizioni greche raccolte da Kaibel mostrano come la
popolazione della città fosse ancora divisa in fretrie, come accanto ai
funzionari municipali romani compaiono fino al IV secolo sempre ancora i demarchi
e i lauchelarchi, ancora sconosciuti nella loro funzione e nel loro
nome: CIL X 1492. Nissen ha ragione quando ci ammonisce a non equiparare
demarco con duovir, perché Kaibe1 756 a vieta questa equazione. Secondo la vita
19 anche Adriano era demarca. Per questi motivi sono conservate a N. più
iscrizioni greche che romane. Puteoli era solo limitatamente una Graeca urbs,
perché questa città portuale pullulava anche di orientali e soprattutto di
ebrei; invece N. era veramente una
città greca in tutto e per tutto: Tac. ann. XV 33. Strab. V 246. VI 253. Cic.
Tusc. I 86; Arch. 5. 10. Solo quando è diventata Colonia Augusta, nel III
secolo (Eph. epigr. VIII 871. CIL X 1 p. 171) si è latinizzata. Da CIL X 1485
veniamo ancora a sapere della risistemazione delle mura nel 440 d.C., così può
iniziare una nuova fioritura. Ora N. domina ancora il golfo ed è secondo
Cassiod. var. VI 23 una urbs ornata multitudine civium, abundans marinis
terrenisque deliciis. La città mantenne questo ruolo dominante fino nel
Medioevo (Paul. L. Langob. Il 17). Fine della città. La fortezza che già Pirro e
Annibale non riuscirono a espugnare (Zonar. VIII
4. Liv. XXIII 1. 14.
15. XXIV 13), resistette anche al generale Belisario il cui assalto nel 536
fallì: ‘Perché le mura di N. sono protette da una parte dal mare, dall’altra da
pendii impossibili da scalare per la loro ripidezza.’ Belisario distrusse la
condotta idrica che portava alla città l’acqua necessaria, ma questo non
disturbò eccessivamente i napoletani poiché dentro la città si trovavano anche
dei pozzi ricchi d’acqua (Procop. bell. Goth. 19). Però quello che non riuscì
con la forza, riuscì per caso. Procopio descrive dettagliatamente come un
Isaurico vede la condotta tagliata e nel corso asciutto arriva fino vicino alle
mura. Qui i costruttori della condotta avevano costruito uno stretto passaggio
nella roccia, attraverso il quale poteva scorrere comodamente l’acqua ma che
era troppo stretto per un uomo armato. Qui iniziò Belisario. Fece limare lo
stretto passaggio ‘non con accette e scuri, ma con ferri appuntiti per non far
scoprire con il rumore ai nemici la sua intenzione’. Così il passaggio divenne
più largo e rese possibile l’attacco di sorpresa. Nel 543 Totila si riprese la
città affamandola: Procop. bell. Goth. III 8. Nell’epoca delle migrazioni
l’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo trovò un’involontaria sistemazione
nell’odierno Castel dell'Ovo, il castellum Lucullanum, e in questo
quartiere venne anche sepolto S. Severino nel chiostro. Il suo scolaro
Eugippio, che descrisse anche la sua vita, divenne il secondo abate del
convento luculliano, che fu il precursore di Monte Cassino. Però nel X secolo i
napoletani portarono i resti del santo in sicurezza dietro le loro mura,
demolirono il castellum Lucullanum ed eressero il convento dentro la città.
Federico II ricostruì il castello demolito dove poi trovarono la prigionia e la
morte i suoi nipoti. d) Cultura della città.
Riccamente favorita dalla splendida posizione ed essendo inoltre città greca,
N. era il centro di persone in cerca di cultura. Essa sapeva pure tenere
lontani da sé i culti stranieri tipici di una città di mare. Le consacrazioni a
Iside (Kaibe1 719) e a Mitra (CIL X 1479) sono eccezioni e vengono da nobili
romani. A N. erano venerati Apollo e Demetra con i loro misteri, Hebon (Kaibel
716. 7l7: θεός
επιφανέστατος
= Liber Pater: Macrob. Sat. I 18, 9), Afrodite, i Dioscuri, Ercole, il dio
del fiume Sebeto, la Tyche della città e gli dei protettori delle fretrie
dei cittadini: Stat Silv. IV 8,45. ‘Il servizio di questi dei aborriva il
macello dell’arena, nella quale il romano trovava il suo più bello spettacolo e
invece di questo pretendeva la cura della ginnastica e delle arti musive.
Quella (la ginnastica) era tenuta in così grande onore che l’imperatore Tito ha
assunto su di sé la presidenza del ginnasio che cambiava ogni anno ed era
legata a notevoli costi: CIL X 1481. La festa offerta in piena estate, fin dai
tempi antichi, alla dea della città, Partenope, venne ingrandita nel 2 a.C. in
una festività quadriennale, che si celebrava con gare ginniche e artistiche a
glorificazione di Augusto e di Afrodite, la madre della sua stirpe: Licofr.
Alex. 732 con Schol. DIO LV 10, inoltre Kaibe1748. Essa si chiamava Ίταλικά
Ρωμαια Σεβαστά
ίσολύμπια, non v’era l’uguale
in Italia ed era ritenuta pari alle grandi feste nazionali dell’Hellas: Strab. V 246. Dio LVI 29. Suet. Aug. 98. Vell. II 123. CIL XII 3232. Kaibel 191. L’Agon capitolino fondato da Domiziano la
precedeva per importanza.: Stat. Silv. III 5, 92.’ Per la boriosità dei
bagni alla moda non v’era posto a N.: qui regnavano il silenzio e il passato,
qui veniva a sue spese chi cercava cultura, gusto, buona compagnia, chi voleva
riposarsi dagli anni o dall’attività politica: Strab. V
246. Horat. epod. 5, 43 (otiosa N.). Verg.
Georg. IV 363. Ovid. met. XV 712 (in otia
natam Parthenopen); Stat. Silv. III
5, 85; cfr. Petron. Sat. 1-99. Caratterizza bene questo luogo Cic. Sull. 17: locus est
ipse non tam ad inflammandos calamitosorum animos quam ad consolandos
accomodatus; lo stesso Sil. Ital. II 31: nunc molles urbi ritus atque hospita Musis otia et
exemplum curis gravioribus aevum. ‘Gli istituti d’istruzione portarono un forte
afflusso di stranieri (Stat.
Silv. V 3, 112), istituti che le meritarono l’appellativo di docta Neapolis
(Colum. X 134. Marziale V 78, 14). Fra I suoi cittadini v’erano poeti (Stazio e
suo padre: Silv. III 5, 78.V 3, 112. 205.
Silio Italico: Plin. ep. III 7. Seneca ep. 49, 1. 53,
1. 70, 1), filosofi (Cic. de fin. V 8, 75. Sen. ep. 76,
4. 93, 1), storici (Eumaco FHG
III 102).’ Soprattutto avevano sulla strada
per Pozzuoli le loro ville, p. esempio Cicerone, Pompeo, Cesare, Domiziano,
Lucio Pisone, Catone Uticense, Lucullo. Una volta soggiornò qui Virgilio; la
sua tomba si trova sulla via Puteolana, l’odierna Via Nazionale, 2 mp. prima della
città, e non nell’ingresso della Grotta di Posillipo, che allora non c’era
ancora ma dove la tradizione popolare ha trasferito la tomba: Suet. Vita Verg.
p. 43. 63 Reiff.; su questo Cocchia Arch. stor. p. la prov. Nap. XIII 1888, 510
segg. 631 segg.; qui Virgilio cantò l’agricoltura: Georg. IV 564. e) Bibliografia. Dei
vecchi scritti enumerati dal catalogo della biblioteca dell’Arch. Ist. a Roma,
vol. I di Mau-Mercklin (1913), molti sono ancora assolutamente validi: J. C.
Capacii Hist. Neap. L. II, Nap. 1605 = 1771. A.G. Summonte Hist.
della cità e regno di N. t. 1-4. Nap. 1675. D. Romanelli N. antica e moderna
Part. I e II, Napoli 1815. P. Lasena Dell' antico ginnasio Napoletano, Napoli
1688. Finati Il Regal Museo Borbonico, Napoli 1817. Gerhard e Panofka Neapels
Bildwerke, Tübingen 1824. Capasso Sull' antico sito di Napoli e Palepoli, 1855;
Napoli greco-romana, 1905. de Petra e Capasso Origini di Napoli, 1912. Pirro Le
origini di Napoli, 1905/06. Pais Ric. stor. e geogr.
sull’ Ital. antica 1908, 227-268. Beloch Campanien² 1890, 26-87. 464. 466.
Nissen Ital. Landesk. II 743 segg. Mommsen CIL X p. 107; monete:
Mommsen Röm.Münzwesen 115. Head H. N. 38-40. Kaibe1 I. Gr. 190 segg. A. v. Hofmann Das Land Italien und seine
Geschichte, Stuttgart 1921. Inoltre i resoconti correnti delle Not. d. Scav. e
dell’Annuario Archeologico. [Hans Philipp.] |