Cos'è un dialetto
Dal punto di vista glottologico ed espressivo, non c'è alcuna differenza tra lingua letteraria e dialetto: entrambe hanno una formazione storica dovuta a fattori assai complessi, anche se i dialetti esprimono una tradizione di cultura e letteratura meno complessa ed autorevole. Perciò è errato ritenere che i dialetti siano una degradazione della lingua letteraria. La verità è che tra il concetto di "dialetto" e l'altro di "lingua letteraria" esiste solo un rapporto logico, per cui l'una cosa non può intendersi senza l'altra, tanto che sarebbe assurdo parlare di dialetto senza presupporre una lingua nazionale e viceversa. Sono false polemiche, quindi, quelle sulla maggior o minor espressività della lingua o dei dialetti, quando deve esser chiaro che l'espressività deriva solo dallo spirito dei parlanti. Per letteratura dialettale intendiamo un complesso di opere letterarie composte in una particolare lingua che diciamo appunto dialetto, rispetto alla lingua nazionale. Il dialetto può essere regionale o urbano, cittadinesco o rustico, a testimonianza della estrema varietà in relazione al luogo. D'altra parte appare in essi evidente la tendenza ad una koinè linguistica, ovvero una spinta verso un tipo di cultura e di sensibilità più larga ed aperta, che è tendenza imprescindibile di ogni atto di comunicazione o espressivo, specie se artistico. Alcuni temi sono prevalenti o prediletti nella letteratura dialettale, come per esempio la poesia del ridere nelle sue più varie forme, il carattere ridanciano, comico, burlesco, eroicomico; la produzione dialettale moderna è piuttosto lirica e drammatica, e di una drammaticità non soltanto comica o farsesca, ma anche seria e percorsa da acuti problemi psicologici e morali, e persino tragica. Gli studi intorno alle letterature dialettali in Italia sono gravemente deficienti, non abbiamo indagini critiche apprezzabili, mancano studi sistematicamente e organicamente condotti intorno alle vicende delle singole letterature dialettali. Prima dell'unità, in Italia, esistevano essenzialmente la lingua letteraria, prevalentemente scritta e conosciuta da una ristretta cerchia di borghesi, e una vasta moltitudine di dialetti urbani e rurali. In seguito all'unità, il processo di nazionalizzazione della lingua complica la realtà linguistica italiana; non avverrà infatti, come auspicato dal Manzoni, che una lingua già strutturata si imponga sulle altre. La diffusione della lingua letteraria subisce numerose contaminazioni e influssi dovuti alle aree geografiche dialettali segnando una miriade di varietà linguistiche, registri e livelli d'uso. Tanto che dopo l'unità a lungo i maestri elementari specie delle zone rurali, per scarsa preparazione culturale e per necessità di farsi intendere dagli allievi, continuavano ad usare i dialetti locali. È questo l'italiano popolare, una varietà dell'italiano utilizzata da persone per lo più di basso ceto sociale, scarsamente acculturate, nel momento in cui per varie ragioni abbandonano il dialetto. Rimane così viva e vitale la realtà dei dialetti regionali e locali, condannati allora dalle istituzioni, considerati oggi invece una parte importante della tradizione linguistica nazionale. Il dialetto fece la sua prima comparsa con il neorealismo, in seno all'esigenza di una letteratura realisticamente documentaria e di una letteratura nazional-popolare, secondo la tendenza ad utilizzare un linguaggio semplice, disadorno, antiletterario.
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