Il
gruppo del Vhò
A Vhò di Piadena (CR), in
piena pianura padana, tra i fiumi Oglio e il Po, ad una altitudine di 35
metri circa sul livello del mare, sono state rinvenute tracce molto
significative degli abitanti delle nostre zone risalenti al Primo Neolitico,
circa 6.500 anni fa (una datazione radiometrica , eseguita su resti di carbone vegetale
di quercia e frassino provenienti dal pozzetto 111 ha fornito il risultato
di 6090±100). La sfera del Vhò attraversa tutta l’area centro-padana,
dalle Prealpi agli Appennini. Questa Cultura, la più antica dell'epoca
neolitica, è distribuita su gran parte della Val Padana occidentale
ed è caratterizzata da abitati di notevole estensione distribuiti
al margine dei terrazzi fluviali. Gli unici resti strutturali finora definiti
durante le ricerche si riferiscono a vari tipi di pozzi e pozzetti contenenti
resti come ceramiche sia fini che grossolane, reperti di selce scheggiata
di probabile provenienza alpina, strumenti in pietra verde ed arenaria e
manufatti in osso. Le aree occupate dagli uomini sono caratterizzate da
sottostrutture sparse costituite da buche, fosse irregolari e cavità
lenticolari senza alcun ordine: riutilizzate come deposito di rifiuti, possono
avere avuto in origine la funzione di “clay pits” per preparare argilla
per gli intonaci. I reperti ci dicono che già allora, nella pianura
padana,
si praticava l’agricoltura. I dati paleobotanici indicano che gli insediamenti
si trovavanio ai bordi di alte terre con boschi di querce con attorno paludi
e canneti. Questi nostri antichi progenitori si dedicavano alla caccia al
cervo, al cinghiale ed al bue primigenio, erano presenti e cacciati caprioli
e castori e veniva praticata la raccolta di tartarughe e di molluschi d’acqua
dolce; tra gli animali domestici si trovavano la capra e la pecora, il bue
ed il maiale. Dal bosco venivano raccolti i frutti spontanei. Nei campi
con i pochi mezzi allora disponibili, veniva coltivato il Farro e l’Orzo.
Il Farro, una forma primitiva di frumento (Triticum Monococcum), si presentava
a piccole spighe, appiattite lateralmente, di color verde giallastro. L’Orzo
(Hordeum volgare), ha poche pretese ed è possibile coltivarlo anche
in condizioni estreme. Nel Neolitico, si preparava il terreno scavando
i solchi con un bastone di legno ad uncino, la cui traccia formava ai lati
due piccole strisce rilevate di terra; nel solco i chicchi venivano seminati
uno alla volta, e negli intervalli e sulle strisce elevate rimaneva spazio
sufficiente per le erbacce. Poichè nei campi abbondavano le malerbe
a quell’epoca in vaste zone dell’Europa Centrale, il grano si mieteva vicino
alle spighe; in tal modo si effettuava una prima cernita già all’atto
del raccolto, lasciando sul campo le piante più basse. Negli scavi
di Vhò sono stati portati alla luce manufatti in ceramica fine come
vasi e tazze a piede o a tacco di vario tipo, tazze carenate con ansa a
nastro e bugnetta sulla carena, scodelle a calotta con piccola ansa a nastro
verticale, vasi troncoconici biansati con cordoni a impronte digitali e
bugne, vasi a fiasco, recipienti troncoconici profondi con base a tacco
e decorazione a cordone plastico orizzontale. Altri
reperti in ceramica grossolana sono grandi vasi decorati con cordoni plastici.
Negli elementi decorativi si hanno inoltre motivi graffiti, solcature appaiate,zig-zag
incisi. Sono presenti ceramiche figuline (opere di arte vasaria) e diffuse
importazioni o imitazioni della cerchia di Fiorano. Tipiche sono le figurette
femminili in terracotta. L’industria litica, affine a quella di Fiorano
ma con una più sensibile impronta mesolitica, annovera bulini su
incavo a stacco laterale tipo Ripabianca, grattatoi a fronte erto, perforatori,
troncature, trapezi, romboidi, lamelle a dorso sinuoso e diffusa tecnica
del microbulino. L’industria su pietra levigata è caratterizzata
da asce, accette e anelloni. I contatti con la facies (tipo di morfologia,
struttura) di Fiorano sono piuttosto stretti, con imitazione e importazione
da parte delle genti del Vhò di tipiche ceramiche Fiorano. La diffusione
di quest’ultima facies verso occidente pare arginata e contenuta dalla sfera
del Vhò che attraversa tutta l’area centro-padana, dalle Prealpi
agli Appennini. Le ceramiche figuline attestano i rapporti con l’Italia
centrale. Connessioni a grande raggio traspaiono dalle affinità ceramiche
con la sfera balcanica di Starcevo. Gli aspetti dell’ideologia che si materializzano
nelle immagini della cosiddetta “dea madre” o “grande dea” trovano precisi
riscontri nella civiltà neolitica balcano-anatolica. Estremamente
significativa per le implicazioni mitogeniche è la presenza nell’ambito
del Vhò di uno stereotipo di figuretta femminile a due teste; tale
particolare iconografia trova un’ampia diffusione nel Neolitico e può
essere seguita dalla Siria all’Anatolia e ai Balcani. |