Vicende storiche della vegetazione nella pianura
padana
Il paesaggio padano attuale è il risultato
di un’intensa, continua e capillare azione dell’uomo, che è intervenuto
sin dalla preistoria sulla vegetazione originaria, apportandovi modifiche
sempre più radicali (sfidando anche le condizioni naturali del clima
e del suolo) fino ad ottenere la attuale situazione di ambiente antropizzato,
cioè di ambiente prodotto dall’uomo. La concomitanza dei fattori
legati al suolo ed al clima che, come si è detto, è caratterizzato
da inverni rigidi, estati calde, forte umidità determinerebbe la
comparsa di formazioni vegetali corrispondenti all’antica foresta planiziale
(cioè di pianura). Prove archeologiche e testi storici antichi (Polibio,
storico greco vissuto nel II secolo a.C., descrive le “silvae glondariae”
cioè i boschi di querce) testimoniano la presenza, nella Pianura
Padana, di
una foresta di latifoglie decidue cioè di specie arboree che perdono
le foglie all’approssimarsi della stagione avversa. Tale foresta era qua
e là interrotta da paludi e da chiazze cespugliate o prative. Nella
Bassa Pianura, gli alberi che dominavano con la loro massiccia presenza
la foresta planiziale nelle aree interfluviali erano la Farnia, il Frassino
e il Carpino Bianco. Nelle zone con suoli più umidi, alle farnie
si associavano l’Acero, l’Olmo, la Roverella, il Cerro e il Tiglio. Lungo
il corso dei fiumi, l’aumento dell’umidità del terreno impediva l’insediamento
della farnia che era sostituita da specie igrofile (amanti dell’acqua):
il Pioppo Bianco, il Pioppo Nero, il Salice Bianco e l’Ontano. Sulle rive
dei corsi d’acqua e nelle isole fluviali, dominavano gli arbusteti di salici
e, nelle zone paludose, si sviluppava una ricca flora erbacea palustre:
Canne, Carici, Tife. I primitivi colonizzatori della foresta padana Etruschi,
Greci, Celti e Liguri non intervennero in modo significativo sulla
struttura vegetazionale originaria della Padania: le coltivazioni cerealicole
si estendevano su aree limitate in prossimità di capanne e palafitte.
L’inizio del disboscamento per l’occupazione agricola del territorio su
vasta scala, per esigenze militari e per la realizzazione del sistema viario
e di centri urbani risale all’epoca romana (1 sec. a.C.). Le opere di dissodamento
e di bonifica, lasciavano tuttavia ancora ampio spazio agli antichi boschi,
spesso tutelati in quanto sacri (sedi di templi e sepolcri) e soprattutto
in quanto rappresentavano un importante bene pubblico per l’approvvigionamento
di legna e di frutti selvatici. Con la caduta dell’impero Romano (476 d.C.)
e le prime invasioni barbariche, la popolazione, diminuita fortemente di
numero e non più organizzata, abbandonò in gran parte le coltivazioni
per dedicarsi alla pastorizia e alla caccia. Dove c’erano campi coltivati,
quindi, si andarono insediando forme di vegetazione erbacea, arbustiva ed
arborea e, di nuovo, i boschi conquistarono zone sempre più rilevanti
di territorio. L’espansione delle foreste continuò in tutto l’Alto
Medioevo (fino al sec. X) per lo stabilizzarsi di un’economia a carattere
prevalentemente silvo-pastorale. Anche a causa delle abbondanti e frequenti
alluvioni dei fiumi, la Pianura Padana in quel periodo si presentava in
un alternarsi di foreste, paludi e rare zone cespugliose. Con la monarchia
Carolingia e l’affermarsi dei feudalesimo, iniziò una politica di
protezione delle aree boschive che vennero sempre più monopolizzate
dai nobili come riserve di caccia, anche se continuavano ad esistere residui
boschi pubblici (a cui anche i contadini potevano accedere) destinati soprattutto
alla produzione delle ghiande necessarie
all’allevamento dei suini allo stato brado. Dopo il 1000, con l’aumento
demografico, la rinascita delle città e la ripresa dell’agricoltura,
cominciò il dissodamento e la distruzione delle foreste, cui seguì
la bonifica massiccia dei territori ad opera, in particolare, dei Monaci
Benedettini e Cistercensi. Le foreste più colpite furono quelle di
farnia poiché questa pianta predilige terreni profondi e freschi
(gli stessi più adatti all’agricoltura) e ha un legno particolarmente
adatto all’impiego in falegnameria e nell’edilizia. In epoca moderna, i
boschi rimasti cominciarono a perdere la loro caratteristica composizione
perché si insediavano, accanto alla primitiva vegetazione, specie
alloctone (originarie di aree biogeografiche lontane) come per esempio la
Robinia, importate in seguito alle grandi scoperte geografiche. L’agricoltura,
ancora nel 1200-1300, stenta ad affermarsi in maniera sistematica e diffusa:
si trovano organizzate zone agricole quasi esclusivamente nella nostra Bassa
Pianura. L’origine del tipico paesaggio agrario della Pianura Padana risale
al periodo tra il XV secolo e la prima metà del XVI secolo, quando
furono portate a termine le grandi opere di canalizzazione per l’irrigazione
dei campi. Nel nostro territorio, in particolare, assunse rilievo fondamentale,
per lo sviluppo agricolo di tutto il lodigiano, il canale Muzza (scavato
tra l’XI e il XII secolo) che, con la sua fitta rete di rogge, consentì
una grande diffusione delle colture irrigue. Tra il XVI ed il XIX secolo,
in un contesto di profonde trasformazioni in senso capitalistico, si formarono
le cascine, grandi aziende condotte da fittabili-imprenditori, che ancora
oggi caratterizzano il paesaggio agrario della Bassa e che contribuirono
non poco allo stesso decollo industriale della Lombardia. Oggi ormai anche
questo paesaggio risulta fortemente investito da ulteriori e rapide trasformazioni,
soprattutto in seguito al crescente processo di completa meccanizzazione
dei lavori agricoli e all’introduzione di nuove colture (per esempio la
soia). Le monoculture a carattere intensivo e la crescente urbanizzazione
determinano oggi il paesaggio che tutti conosciamo. |