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Genesi dei Partiti
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Il potere, presuppone la differenziazione della popolazione presa in considerazione tra chi può e chi non può.
Dobbiamo perciò analizzare tre elementi, che sono il come, il chi ed il che cosa, mi spiego meglio: è necessario identificare come può qualcuno arrivare al potere, che caratteristiche sono specifiche di chi detiene il potere e in che cosa consiste il potere, cioè cosa può fare chi lo detiene.
Mutuando dal branco di animali, si può ritenere che, agli albori della razza umana, il capo branco arrivasse ad avere il predominio sugli altri semplicemente grazie ad una maggiore prestanza fisica e ad una maggior spregiudicatezza. Il primo clan dipendeva dal proprio capo per ogni sua esigenza, questi si doveva preoccupare di difendere i propri compagni, doveva dirimerne le liti e doveva assicurarne la sussistenza stessa tramite l’organizzazione di battute di caccia o la distribuzione di compiti.
Si identificano quindi due ruoli: l’organizzatore che detiene il potere e l’esecutore che obbedisce.
Con la crescita da clan a tribù, si rese necessaria la creazione di una struttura di potere.
Non bastava più la propria forza per imporsi, diventava indispensabile avere una struttura di supporto, cioè avere qualcuno che affiancasse il capo ed eseguisse i suoi ordini nei confronti del popolo. Nasce così una struttura intermedia di persone, che pur non avendo le caratteristiche di spregiudicatezza e di forza del capo, vive nel suo alone, acquisendo così una forma di potere indotto. Il potente aveva assoluto bisogno di questa struttura se voleva allargare la propria sfera di dominio e anche se in cambio doveva cedere apparentemente qualche prerogativa, rimaneva pur sempre il tiranno assoluto con potere di vita e di morte sui propri sudditi.
Il fatto di servirsi di una struttura facilitò la trasmissione ereditaria del potere, in quanto a garantirne il passaggio, bastava ormai la sola struttura che sempre più si impadroniva dell’amministrazione del paese.
Questo meccanismo permise l’allargarsi dell’area di predominio a terre sempre più lontane e richiese parallelamente un ampliamento della struttura di controllo, che divenne sempre più consistente, fino a rappresentare il vero potere, riducendo sempre più l’area di competenza soprattutto di chi la posizione di comando l’aveva acquisita per diritto di nascita e non per propri meriti.
Si formarono così i governi centrali dominati da una figura rappresentativa nella quale si identificava la nazione, figura che aveva in effetti sempre meno potere reale, pur godendo di un tenore di vita sfarzoso.
Il vero potere era passato a quelli, che apparentemente subordinati, de facto erano i veri burattinai.
Questo tipo di situazione sopravvisse fino al periodo delle grandi rivoluzioni, con le quali il popolo entrò attivamente nella lotta di potere, con il risultato di sostituire ad una classe di governo consolidata negli anni altri personaggi, con analoghe prerogative solo con  cognomi diversi. 
Era nato un nuovo strumento, “la volontà popolare”, che nasceva da gruppi “politici” che indirizzavano grandi masse per conseguire i loro obiettivi. In pratica non era cambiato nulla, se non le persone, si era però inserito nella struttura di potere un nuovo soggetto il “partito”, cioè l’unione di un certo numero di individui in grado di sommuovere il popolo che entrava così nella lizza politica, come un esercito entra nel campo di battaglia: “potere zero, morti tanti”. Il “Partito politico” è quindi l’espressione di poche persone tanto più valide, quanto più in grado di accattivarsi le masse, arte nella quale eccellono normalmente gli istrioni e i truffatori.
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