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La marcia verso il Ticino e la battaglia di Melegnano
Mentre si combatteva a Palestro, il grosso dell’Armata francese proseguiva la sua marcia di fianco. Alla sera del 31 maggio il passaggio del Sesia era quasi compiuto sotto la protezione delle Divisioni sarde, alle quali si era aggiunto il Corpo d’Armata Canrobert. Gli altri Corpi d’Armata erano già sulla strada che da Vercelli porta a Novara, ma progredivano lentamente, perché Napoleone III era perplesso sulle intenzioni del nemico. Gli sembrava impossibile che il Comando austriaco non si fosse ancora reso conto della manovra alleata e temeva che gli avversari meditassero qualche controffensiva pericolosa. Gyulai era invece tutto preso a far sguazzare il suo esercito nella pianura padana, divenuta a cause di continue piogge una vera e propria palude, senza cercare mai lo scontro decisivo con i Piemontesi prima e con i Francesi poi14. Comunque, informato che a Novara vi era solamente una debole guarnigione austriaca, l’Imperatore dei francesi, decise di occuparla, prescrivendo al Comando sardo di tenere saldamente la posizione di Palestro. Il feldmaresciallo Gyulai credeva che l’attacco di Palestro (31 maggio 1859), fosse stata una finta e che la grande offensiva si sarebbe invece giocata a Piacenza. Francesco Giuseppe aveva, nel contempo, seguito con crescente scontento il girovagare in lungo e in largo del suo esercito in Italia, Gyulai lo snervò fino al punto di decidere di andare personalmente a dirigere le operazioni di guerra, si mise, quindi, in viaggio per l’Italia il 31 maggio 185915. Il 1 giugno, il feldmaresciallo Gyulai, solo quando venne a sapere che grandi forze nemiche sfilavano sulla strada Vercelli-Novara e udì il cannone tuonare da quelle parti, il comandante austriaco si accorse di essersi ingannato e si convinse della necessità di una rapida ritirata dietro il Ticino per impedire l’aggiramento del suo fianco destro. Ma l’imperatore Francesco Giuseppe, che era giunto a Verona il 30 maggio, non la pensava così. Il giovane sovrano telegrafò al Gyulai l’ordine di attaccare e non abbandonare la Lomellina: anzi, per maggior precauzione, mandò il suo capo di Stato maggiore, generale Hess, ad incitare il Gyulai. Quindi una serie di ordini e di contrordini, di marce e contromarce che produssero solo stanchezza e confusione nei soldati. Finalmente il 2 giugno il titubante generalissimo austriaco prese una decisione. Egli non tenne conto del volere imperiale e diede ordine ai suoi Corpi d’Armata, che nel frattempo erano cresciuti al numero di sette, di passare sulla riva orientale del Ticino. Il suo concetto operativo era questo: appoggiarsi con la sinistra al Ticino e far fronte con la destra verso nord, occupando lo stradale Novara-Milano. Gli Austriaci erano ormai completamente sulla difensiva16.
Il Comando supremo delle forze alleate, non appena stabilitosi in Novara liberata, prese subito le disposizioni per dare inizio alle operazioni in Lombardia. Fin dal 2 giugno, dopo aver disposto che l’Esercito sardo si portasse, meno una Divisione, nella zona di Galliate, a nord di Novara, Napoleone III diede ordine alla Divisione Espinasse, appartenente al Corpo d’Armata del generale Mac Mahon, di avanzare sulla grande strada per Milano fino al ponte di San Martino, sul Ticino; alla Divisione Camou, della Guardia, di progredire a nord, fino a Turbigo e da qui gettare dei ponti sul Ticino. Il generale Camou eseguì bene il suo mandato ed il giorno dopo tutto il Corpo d’Armata di Mac-Mahon passò sulla sinistra del Ticino. Dietro a Mac Mahon erano incolonnate quattro Divisioni dell’Esercito sardo. Perciò, mentre l’esercito austriaco formava un grande angolo i cui lati erano il Ticino e la strada che dal ponte di San Martino, attraverso Magenta, porta a Milano, gli eserciti alleati, invece, erano disposti come i denti di una tenaglia: uno, quello del Mac Mahon, premeva sul fronte nord degli austriaci; l’altro, comandato dallo stesso imperatore, minacciava il fianco sinistro del nemico, schierato lungo il Ticino. Non appena la prima schiera dell’Armata Mac Mahon ebbe varcato il Ticino e il Naviglio Grande, che lo costeggia, e cominciò ad addentrarsi in territorio lombardo, fu affrontata da una brigata austriaca. Lo scontro avvenne a Robecchetto. I Turcos algerini assalirono gli avversari alla baionetta con il consueto slancio e li costrinsero alla ritirata. Napoleone III diede al Mac-Mahon ordine di procedere all’occupazione sia di Magenta che di Boffalora; fu questo l’ordine che diede origine alla sanguinosa battaglia di Magenta del 4 giugno 1859, questa può essere riassunta suddividendola in quattro momenti: la prima fase dalla mattina alle ore 15; la seconda dalle ore 15 p.m. sino alle 17; la terza parte sino alle ore 19 ed infine un quarto momento che terminò a notte inoltrata17. Il Gyulai, che durante la battaglia aveva abbandonato Magenta ed era andato a Robecco, non volle darsi per vinto e nella notte impartì disposizioni affinché il giorno dopo, con l’entrata in linea dei Corpi d’Armata richiamati dal sud, si tentasse la ripresa di Magenta. Il generalissimo austriaco credeva che l’ala destra del suo esercito, dopo aver aspramente combattuto per tutta la giornata precedente, fosse ancora in condizioni di riprendere la lotta. La realtà, invece, era ben differente e il Clam-Gallas gliela fece subito conoscere. Divisioni, brigate, reggimenti e battaglioni, in piena ritirata sulla strada da Corbetta a Cislano marciavano nel massimo disordine, in preda al panico, senza comandanti né ufficiali, frammischiati fra loro senza distinzione di reparto. Era necessario riportarli al sicuro e riordinarli. Esisteva, inoltre, alle spalle il pericolo di una insurrezione a Milano e di una calata del generale Garibaldi nella capitale lombarda. Non ci volle molto per convincere il Gyulai, che decise il ripiegamento dietro l’Adda ed in conseguenza fece ritirare i presidi di Milano e Pavia e altre città minori. Il Feldmaresciallo, anzi, avrebbe voluto retrocedere fino al Chiese, ma da Verona l’imperatore Francesco Giuseppe gli ordinò di non oltrepassare il fiume Adda e di riassumere, non appena possibile, un atteggiamento offensivo. I Franco-Piemontesi, invece d’inseguire il nemico, perdettero tutta la giornata a far valicare il Ticino alle proprie truppe, sui pochi ponti rimasti integri18.
14 HERRE FRANZ “Francesco Giuseppe”, traduzione di Argia Micchettoni, ed. italiana a cura di M.T.Gianelli, Rizzoli Editore, Milano 1979 op.cit.pag.152
15 ibid, op.cit. pag.153-154-155 (Gyulai fu sollevato dall’incarico il successivo 17 giugno 1859)
16 COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE – UFFICIO STORICO, La guerra del 1859 per l’indipendenza d’Italia” Volume I – Narrazione, Stab. Tip. della società Editrice Laziale, Roma 1910
17 Ibid, La guerra del 1859 per l’indipendenza d’Italia op.cit : Al mattino del 4 giugno 1859, Mac Mahon divise le suo truppe in due colonne e ordinò l’avanzata. A sinistra, la colonna Espinasse si mise in moto alle ore 5, puntando in direzione di Marcallo. A destra, la colonna La Motterouge, con la quale stava il generale e che aveva come obbiettivo Boffalora, iniziò la marcia alle 9,30, essendo più breve la strada da percorrere. Espinasse fu poi anche ritardato dal suo cammino e perciò il La Motterouge raggiunse per primo, dopo alcune scaramucce con avamposti austriaci, l’obbiettivo assegnatogli. Schierandosi davanti a Boffalora, fortemente tenuta dal nemico, aprì il fuoco con l’artiglieria per preparare l’assalto, ma ebbe poi dal Mac Mahon l’ordine di sospendere l’azione in attesa di vedere arrivare l’altra colonna. Napoleone III si era intanto già recato al ponte di San Martino, dove era la divisione Granatieri della Guardia comandata dal generale Mellinet. Verso le due di pomeriggio egli udì il cannone tuonare al di là di Boffalora e credette che il corpo Mac Mahon si fosse impegnato a fondo. Per sostenerlo dal lato del Ticino, il sovrano decise immediatamente che la Divisione Mellinet, attraversato il fiume, attaccasse contemporaneamente il ponte di Boffalora e il Ponte Nuovo, ambedue sul Naviglio Grande e l’ultimo sulla grande strada che va a Magenta. Il primo assalto fallì; il secondo, invece ebbe successo. Granatieri e Zuavi caricarono alla baionetta e fecero retrocedere gli avversari verso Magenta. Erano circa le ore 15 p.m. Cominciò allora il secondo momento. Il feldmaresciallo Gyulai che era accorso a Magenta con Hess, vistasi profilare l’offensiva francese, diede subito ordine ai Corpi d’Armata dislocati a guardia del Ticino che si avviassero verso nord in tutta fretta. Senonché il provvedimento era stato preso troppo tardi e una parte dell’esercito austriaco, lontana dalla zona di Magenta, non potè prendere parte alla battaglia. La prima a giungere fu la divisione Reischach, che si lanciò arditamente contro i Granatieri e gli Zuavi vittoriosi al Ponte Nuovo e riuscì a respingerli dopo una mischia furiosa. La situazione francese divenne grave. Infatti il cannone del Mac Mahon non si udiva più e soccorsi da Novara non ne arrivarono, perché il grosso dell’esercito francese, incolonnato disordinatamente sopra una sola strada, era impedito nel cammino dei carriaggi. Riuscì a filtrare solo una brigata, che non perse tempo ad entrare in combattimento ed arrivò al momento buono per impedire agli Austriaci di rivalicare il Naviglio. Ed ecco ad aggravare le cose, sopraggiungere dal sud e cioè da Abbiategrasso e Robecco, un intero Corpo d’Armata, quello del principe Schwarzenberg. Investiti di fronte e di fianco da forze di gran lunga superiori, i Francesi arrischiatasi al di là del Ticino sembravano destinati alla disfatta. I soldati cadevano a centinaia, il generale Cler fu mortalmente ferito, il generale Mellinet ebbe due cavalli uccisi. L’Imperatore, scoraggiato stava per ritirarsi. Tuttavia i valorosi reggimenti, alla cui testa vi era il generale Regnaud Saint Jean d’Angely, non volevano cedere e disputavano il terreno palmo a palmo; infatti il loro eroismo fu alla fine premiato, infatti stava per avere inizio una nuova fase della battaglia. Mac Mahon dopo aver fatto mettere sulla difensiva la Divisione La Motterouge, era andato alla ricerca della Divisione Espinasse, la cui marcia era stata lentissima. Per un miracolo il generale francese, che doveva essere l’eroe della giornata, non perdette la vita. Egli e la sua scorta, infatti, più volte incapparono in pattuglie di cavalleria austriaca. Ci fu uno scontro con gli Ulani, i quali, credendo di aver a che fare con un forte drappello, si dispersero appena caricati. Trovato Espinasse nel villaggio di Mesero, Mac Mahon gli ordinò di piegare a destra in modo da collegarsi con l’altra Divisione e di attaccare Marcallo, grosso borgo immediatamente a nord di Magenta. Perdere Marcallo voleva dire scoprire Magenta, posizione chiave dello schieramento austriaco; perciò Gyulai, Hesse e il generale Clam-Gallas, decisero la riconquista di Marcallo e vi destinarono due brigate. Forza insufficiente, che invano cozzò contro il grosso della Divisione Espinasse. Questo non fu il solo errore. Una delle brigate era stata tolta da Boffalora e questo fatto permise ai Granatieri della Guardia, che vi premevano contro fin dalla mattina, d’irrompervi varcando il Naviglio Grande e d’incontrarvi i primi plotoni provenienti da nord di La Motterouge. Così le due ali manovranti dell’Armata francese si congiunsero e formarono un vasto semicerchio che lentamente avviluppava il nemico. Così gli Austriaci erano spinti verso Magenta, nella cui direzione convergevano anche le colonne di Mac Mahon. Da una parte e dall’altra si combatteva con estrema decisione, non risparmiando le vite umane. Anche sul fronte Ponte Nuovo PonteVecchio, lungo il Naviglio Grande, la battaglia divampava furibonda. Da una parte e dall’altra giungevano nuove Divisioni, che si gettavano nella lotta. Ricacciati al Ponte Nuovo gli Austriaci sembravano avere il sopravvento al Ponte Vecchio; una carica di cavalleria ributtò i Francesi in disordine e per poco non catturò lo stesso generale Carnobert, comandante di un Corpo d’Armata da poco sopravvenuto sul teatro dell’azione. Ma ormai la partta si giocava a Magenta. Stese in un grande arco e proiettate con tutte le forze verso la cittadina, dove ormai si era concentrata l’estrema difesa del grosso delle truppe austriache, le Divisioni Espinasse, Camou, La Motterouge, Mellinet, Vinoy ed elementi della divisione piemontese Fanti piombarono sugli avversari, asserragliati nelle case e decisi a tener duro fino all’ultimo. Fu violentissima la mischia nelle vie, nei cortili, presso la stazione ferroviaria, alla casa Giacobbe, ovunque era un appiglio per arrestarsi e sparare. Era già notte, quando, stremati e disfatti, gli Austriaci decisero di abbandonare Magenta, causando il generale ripiegamento della loro Armata. Compresi di prigionieri essi avevano perduto 10.226 uomini, un quinto delle loro forze combattenti. Le perdite alleate sommarono a 4.535 uomini. Cadde, fra gli altri, alla testa dei suoi soldati, il generale Espinasse. Il valoroso ufficiale aveva portato con se un cane, che gli fu vicino durante tutto lo svolgersi della battaglia. Morto il padrone, non fu possibile allontanare la fedele bestia dalla salma e quando quest’ultima fu portata in Francia, il cane si recò sul luogo dove il generale era stato colpito, presso la stazione ferroviaria e non si allontanò più di lì. Sul campo di battaglia l’Imperatore Napoleone III nominò il generale Mac Mahon maresciallo di Francia e lo insignì del titolo di Duca di Magenta.
18 COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE – UFFICIO STORICO, La guerra del 1859 per l’indipendenza d’Italia” Volume I – Narrazione, Stab. Tip. della società Editrice Laziale, Roma 1910
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