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SECONDA PARTE
In seguito alla battaglia di Magenta del 4 giugno, essendosi deciso dall’Austria lo sgombro della Lombardia, incominciarono a passare per Melegnano diversi corpi di truppe diretti verso il quadrilatero. Il giorno 5 verso le 8 ant. vi passarono in disordine circa un 12.000 uomini appartenenti a diversi corpi provenienti da Milano, oltre diversi altri trasporti separati ed una quantità di bagagli. La notte dal 5 al 6 passarono molti carichi di feriti e di viveri provenienti da Pavia. La mattina del 6 alle 9 ant. passò, proveniente pure da Pavia, una quantità di buoi e carri di farina scortati da panettieri ed alcuni Ulani. Verso sera dell’istesso giorno arrivò la brigata comandata dal maggiore generale barone Roden forte di circa 8000 uomini appartenenti all’8° corpo d’armata di Benedeck, che si fermò. Alle 9 ant. del giorno 7 passò il rimanente dell’armata Benedeck, dai 20 ai 30 mila uomini diretto verso Lodi, ed alle 4 pom. un reggimento di cavalleria dragoni conte Horvath e degli Ulani.
Il generale Roden, appena arrivato, fece occupare militarmente anche le vicine frazioni della Majocca, osteria della Rampina e la Rocca Brivio. S’impossessò di tutte le chiavi dei campanili ordinando altresì che si staccassero le corde delle campane, ritirò tutte le scale a mano che poté rinvenire, fece praticare delle feritoie in un muro di cinta che trovasi in principio del paese a sinistra entrando dalla parte di Milano, organizzò il servizio degli esploratori con un corpo di dragoni, alcuni dei quali il giorno 7 spintisi fino alla Cascina Gambaloita a due chilometri da Milano, requisirono quel fittabile signor Vincenzo Albertario conducendolo a Melegnano per provare al loro generale che si erano spinti fin là, e constatarono la presenza dei francesi in Milano. Prese insomma tutte quelle misure che dimostravano chiaramente esser sua intenzione di fortificarsi nel paese, forse per dar tempo alla sconfitta armata di Magenta di guadagnare le fortezze. Non sarà fuor di proposito il rammentare che una parte del muro di cinta di proprietà Annoni, di cui sopra si disse essere stato munito di feritoje, altro non è che l’avanzo di alcune case incendiate dagli austriaci stessi nella loro ritirata da Milano nel 23 marzo 1848 e non più rifabbricate.
Allorchè l’Imperatore Napoleone ebbe avviso di questa intenzione degli austriaci, ordinò che il nemico venisse tosto snidato da questa posizione troppo vicina a Milano. La mattina del giorno 8 assai per tempo il 1°corpo d’armata comandato dal generale Baraguey d’Hilliers formato dalle divisioni Forey, Ladmirault e Bazaine si avviava per la strada Romana verso Melegnano, mentre il 2° corpo d’armata di Mac-Mahon, posto per questa circostanza sotto gli ordini di Baraguey lo aveva già preceduto nella medesima direzione con incarico di deviare a levante per formare l’ala sinistra, e quello di Niel aveva fatto altrettanto verso ponente per l’ala destra. Erasi così combinato l’investimento del paese a destra a mezzo di Niel, nel centro, ossia di fronte col corpo di Baraguey, ed a sinistra con quello di Mac-Mahon; anzi quest’ultimo, per la sua special posizione, era destinato ad occupare la strada di Lodi al di là di Melegnano, prendendo il nemico alle spalle ed intercettandogli la ritirata da quella sola parte in cui questa era possibile. Questi diversi corpi però, per poter più speditamente avanzarsi sembra si fossero in varie località suddivisi prendendo diverse strade, per cui si può dire che nella giornata dell’avvenuto combattimento trovavansi truppe francesi (tre corpi d’armata) sparse in una gran zona di territorio per un quattro o cinque chilometri tutto all’ingiro di Melegnano, eccetto che nella direzione di Lodi. Infatti non son pochi i testimoni oculari che ne videro in diverse località senza potersi formare una chiara idea della strada che potevano aver percorsa né dove intendessero recarsi, e forse anche in posizioni non troppo in armonia col piano generale d’attacco, poiché i comandanti erano provvisti di carte topografiche imperfette e vecchie, come venne da diversi personalmente constatato, inconveniente questo di tanto maggior conseguenza, trattandosi di una plaga di paese attraversato in mille direzioni da numerosi corsi d’acqua e da fitte piantagioni.
Verso le 4 p.m. del giorno 8 furono dagli austriaci segnalate alcune vedette francesi a Carpiano verso il confine della provincia nostra con quella di Pavia, come da relazione fatta da un ufficiale dei dragoni al generale Roden sulla piazza di S.Giovanni; altre se ne segnalarono contemporaneamente a S.Giuliano sulla strada di Milano, e, avendo, quasi nell’istesso tempo il Municipio di Melegnano spedito a Colturano un facchino con un croato per requisire del vino, questi, abbandonò il carico requisito e se ne fuggì precipitosamente in paese a raccontare di aver veduti colò i francesi. Questa scoperta quasi simultanea dai due chilometri e mezzo ai quattro da Melegnano fece persuasi gli austriaci che il momento decisivo era assai prossimo e che bisognava apprestarsi a sostenere la lotta da diverse parti in una sola volta.
Si appostarono due cannoni all’ingresso del paese dalla parte di Milano, dietro una barricata con terrapieno elevato attraverso la strada, fu collocata della truppa dietro il muro di cinta con feritoie esistente ivi vicino a sinistra entrando e furono occupate diverse case sulla via allora detta il Ponte di Milano, poi dopo quel giorno, via della Vittoria. Al portone di S.Rocco fu munita di truppa la barricata ivi costruita con una grossa botte (questa botte si conserva ancora presso l’albergatore del Sole signor Luigi Brusoni), e qualche altro attrezzo, e ne fu pure collocata nella casa stessa del portone, negli orti vicini e nei locali del Castello. Altra ne fu collocata poco fuori del paese all’imbocco della strada di Landriano dietro un parapetto fatto con mattoni posticci tolti ad una vicina fornace, e furono pure occupati il caseggiato ed orto di S.Francesco dominante la strada che viene da Pedriano. Nel cimitero, posto a circa 200 metri dal paese sulla strada di Milano erano stati fatti dei rialzi di terra dietro i muri di cinta per conseguire l’altezza necessaria al tiro di fucile; furono applicate delle scale per lo stesso scopo, fu puntellato con alcuni tronchi di piante il cancello di ferro sull’ingresso, ed una larga breccia fu fatta nel muro di mezzodì per provvedersi di una uscita, ma sembra che non vi sia stato nemmeno collocato un soldato, o se ve ne furono, lo abbandonarono senza tirare un colpo. Nessuna difesa fu predisposta all’uscita del paese verso Lodi, forse nella persuasione che da quella parte più che una difesa sarebbe occorsa una strada libera per lo scampo. Sulla piazza centrale di S.Giovanni, ora Vittorio Emanuele, trovansi schierato un battaglione delle migliori truppe (boemi) e fu osservato dagli abitanti come quegli uomini colla loro trepidanza lasciassero intravedere che il coraggio difficilmente può tener saldo nello attendere a piè fermo un nemico già preceduto nella fama di riportate vittorie e che poteva piombar loro addosso non visto se non quasi a tiro di bajonetta.
Verso le 6 p.m. udissi un primo colpo di cannone; era il corpo centrale di Baraguey d’Hilliers, divisione Bazaine che sullo stradale di Milano ingaggiava il combattimento contro i due pezzi d’artiglieria austriaca appostati all’ingresso del paese. Gli abitanti si rinchiudono nelle loro case, ed alcuni più ansiosi di vedere pei primi la divisa francese e che quindi tardavano a rincasare, vengono pregati dai comandanti austriaci di ritirarsi pel loro meglio, con raccomandazione di non affacciarsi né ad usci né a finestre. Con tutto ciò un garzone bottajo per nome Lorenzo Negri d’anni 17 che abitava la casa a destra dell’albergo delle Due Spade al n. 84, chiusa la bottega e salito nella camera superiore andava muovendo le griglie della finestra dietro le quali stava spiando cosa avvenisse nella strada, ma una palla francese lo colpì nel capo e lo stese morto. Fu questa la sola vittima cittadina che si ebbe a deplorare, vittima piuttosto della curiosità che della guerra.
Dicemmo che il corpo di Mac-Mahon costituente l’ala sinistra era destinato ad occupare la strada di Lodi per intercettare al nemico la ritirata e sembra che, soltanto ad un convenuto segnale di questa mossa riescita, il corpo centrale Baraguey dovesse attaccare il nemico dalla parte di Milano, ma, tardando il convenuto segnale, facendosi ora tarda ed essendo sopravvenuto un forte acquazzone i soldati di Bazaine vollero rompere gli indugi e sollecitare l’occupazione del paese onde passarvi la notte ed asciugarsi ad un buon fuoco, come essi medesimi ebbero ad asserire. Dopo una mezz’ora di cannoneggiamento si precipitarono quindi a corsa verso il paese, e molti zuavi, poiché erano già bagnati dalla pioggia, approfittano del riparo naturale della Roggia Spazzola che fiancheggia il lato sinistro della strada, percorrendola coll’acqua fino quasi alla cintura onde sottrarsi alla meglio agli ultimi colpi dei cannoni austriaci: superano la barricata ed incominciano la micidiale impresa di espugnare ad una ad una diverse case, dalle finestre cui piove una grandine di palle, Dei due pezzi di artiglieria austriaca uno scampò, l’altro fu abbandonato nel paese vicino all’Albergo della Madonna. 
Frattanto un distaccamento francese si era portato alla Rocca Brivio dove fece prigioniera un’intera compagnia austriaca senza tirare un sol colpo, e per il semplice incidente di trovarsi quella compagnia comandata da un capitano ungherese, il quale, al primo tuonar del cannone aveva già dichiarato agli impauriti abitatori di quella specie di fortilizio esser sua intenzione di arrendersi tosto che la divisa francese si fosse a lui presentata. I prigionieri furono condotti a San Giuliano e rinchiusi in una chiesa, donde furono tratti a Milano la seguente mattina albeggiare. Un’altra colonna staccatasi dal corpo di Baraguey alla Cascina Majocchetta sulla destra della strada maestra, dopo aver subito forti perdite per il nemico appostato negli orti e nelle case di quel cascinale e dell’altro della frazione Majocca che viene in seguito, si presenta ad espugnare il portone di San Rocco. Gravi qui furono le perdite del 1° reggimento zuavi che doveva combattere allo scoperto contro nemici difesi dietro ripari e celati dal fogliame degli alberi, e fuvvi un momento in cui suonò a raccolta, forse per girare il nemico o per appostare qualche pezzo d’artiglieria, ma non sentendo i combattenti il segnale ed essendosi spinto avanti il loro colonnello Paulze d’Ivoy per far ritirare i suoi, venne ferito a morte vicino alla chiesa di S.Rocco sull’angolo della casa del signor Luigi Gallina. La caduta del loro colonnello segnò il momento, in cui gli zuavi, esasperati dall’ira si precipitarono sulla barricata e la superarono non dando quartiere a quanti lor capitavano nelle mani. Anche un capo tromba che accompagnava il colonnello e che chiamava incessantemente a raccolta vi trovò la morte poco lontano dal suo comandante (questo portone di S.Rocco, che era una dipendenza del castello fu demolito nella primavera del 1880 per allargamento stradale. Posseggo però una litografia colorita dello stabilimento Rossetti di Milano, la quale riproduce in piccole dimensioni un dipinto ad olio di metri 2,10 per 1,50 di non so quale autore, rappresentante il fatto d’armi qui avvenuto, ed il portone colle sue vicinanze vie è delineato con una precisione superiore ad ogni elogio. Il dipinto non so dove si trovi attualmente, ma sulla litografia è scritto che figurava all’esposizione di Brera dell’istesso anno 1859). Corsero poi difilati al castello, e dopo breve resistenza ne sloggiarono i difensori.
Quantunque sia difficile il constatare con precisione quale dei due fatti d’armi abbia avuto luogo pel primo, cioè questo al portone di San Rocco o l’altro all’ingresso della strada di Milano, e ciò per la notevole distanza che corre fra le due località, pure non si può andar lontano dal vero conghietturando che siano avvenuti quasi contemporaneamente, e ciò si desume dalla combinazione di due circostanze. La prima si è che, mentre le truppe austriache respinte dall’invasione francese operata dalla strada di Milano, fuggirono per la strada di Lodi attraversando tutto il paese e quindi passando sulla sinistra del Lambro a mezzo dell’unico ponte che si trova nel suo centro, gli altri invece che furono sloggiati dal Portone di S.Rocco, da S.Francesco, dal Castello e località circostanti non ebbero più libero lo scampo per la via battuta dai primi, ma dovettero prendere la strada di Cerro mantenendosi sulla destra del Lambro e passar poi il fiume a guado più a sud per guadagnare in seguito essi pure la strada di Lodi. La seconda è quella che, se vi fosse stata una notevole distanza di tempo fra le due frazioni, una delle medesime sarebbe riuscita inutile, potendo con una sola sorprendere il nemico alle spalle.
Nella via altre volte detta della gendarmeria, ora via Cavour, trovasi un caseggiato all’anagrafe n.40 detto il Castellazzo, dietro il quale evvi un vasto giardino che scende a pendio verso il Lambro a guisa di un colle. Sia che un certo numero di austriaci, fugato forse dalle case espugnate in principio del paese, attraversando orti e giardini, fosse pervenuto in questa località che pareva opportuna a prendere un po’ di fiato, sia invece che il luogo fosse stato preventivamente occupato come opportuno a sorvegliare l’accesso in paese dalla parte di Colturano standosene a riparo dietro il fiume, il fatto è che una forte mano di Turcos comparsa sull’opposta sponda della strada dei Cappuccini fu accolta a fucilate. Questi non perdettero tempo a consultarsi sulla migliore via a prendere per arrivare a quel propugnacolo, né s’accontentarono di scambiar colpi di fucile, ma gettatisi nel fiume sotto le palle nemiche, guadagnarono la riva e fecero un massacro generale di quanti poterono agguantare senza dar quartiere nè ad armati né a disarmati (circa una sessantina). Un austriaco fu trovato cadavere sopra una pianta di gelso, dove forse erasi ricoverato sperando di allontanarsi alquanto dal tiro delle bajonette francesi, ed un comandante andò a precipitare col proprio cavallo giù per la scala di cantina che si trova nella corte, facendo barricata coi due corpi contro l’uscio della cantina stessa con non poco spavento dei casigliani che vi si erano rifugiati. Pare che gli austriaci conoscessero esser già occupato il paese dai francesi, e che quindi sarebbe stato inutile il tentativo di una ritirata per le vie.
Altri combattimenti di minore importanza ebbero luogo nelle vie interne del paese e specialmente nella via S.Giovanni, che dalla piazza omonima mette a quella del Castello, ed all’uscita dell’abitato sul principio della strada di Lodi, dove il 33 di linea francese tentò inseguire il nemico.
Il grosso del corpo austriaco, uscito per la strada di Lodi trovò presso l’osteria della Bernarda, posta a circa un chilometro dal paese, la brigata Boer che s’apprestava a venire in suo soccorso, il quale non poté aver effetto perché ormai la posizione era perduta. Si limitò quindi il Boer a tirare su Melegnano alcuni colpi di cannone onde impedire un inseguimento, il quale però era da sé medesimo impossibile per essersi fatta notte e per le gravi perdite subite dal vincitore.
Di questi ultimi saluti del fuggente nemico si vedono ancora le tracce in alcune palle sferiche da cannone da campagna infisse nei muri, di cui due nella facciata prospiciente la strada di Lodi della Cascina Pallavicina al n.277, una al disopra della porta sud dell’osteria S.Giorgio al n.243 ed una nella cascina della casa in via Cavour n.49 del dottor fisico Luigi Moro. Una poi colpì lo spigolo di una finestra della casa posta sulla piazza ora Vittorio Emanuele al n.83, gettandone nella camera frantumato il telajo, casa che si distinse il giorno appresso per l’accoglienza e le cure che in essa si prestarono ai feriti, talchè il signor Francesco Spernazzati studente farmacista, figlio del proprietario si acquistò una medaglia al valore civile conferitagli dal nostro Governo. Vennero così le 9 di sera che tutto era finito, ed il silenzio della notte non veniva interrotto ad intervalli che delle grida di gioja dei vincitori che bivaccavano sulle piazze e nelle vie intorno a crepitanti falò, forbendo le insanguinate lame destinate ad altre imprese.
Breve fu la durata del combattimento, ma relativamente grande fu la strage subita da ambe le parti, poiché si calcolano a 940 i francesi morti o feriti e 1200 i tedeschi. Questi ebbero, dicesi, circa 800 prigionieri e perdettero un cannone. E’ voce comune in Melegnano che lo stesso generale Roden sia stato ferito mortalmente e che sia spirato nel trasportarlo a Lodi, ma non v’ha alcuno degli scrittori da me esaminati che ne faccia cenno: anzi in una relazione di fonte austriaca è detto che ciò sia avvenuto al generale-maggiore Boer. Ossevo peraltro che il Boer non si trovava in Melegnano, e che diversi testimonj oculari accertano aver veduto trasportare Roden moribondo.
Le forze tedesche che presero parte alla pugna erano circa 8000 uomini, dei quali sofferse maggior perdite il reggimento Principe Alberto di Sassonia composto di Boemi. Le forze francesi erano da 5 a 6 mila uomini, di cui soffersero maggiormente i reggimenti 1° zuavi, che, come di disse perdette anche il proprio colonnello, e 33° di linea che ebbe ferito il colonnello Bordas e fu in pericolo di perdere la propria aquila avendone avuta spezzata l’asta. Sembra che la sola divisione Bazaine con poca parte di quella Ladmirault abbia sostenuta la lotta, poiché la divisione Forey staccatasi a destra ed il rimanente di quella Ladmirault a sinistra non pervennero a guadagnar Melegnano che a fatti compiuti o pocomeno: anzi, qualche fucilata fu scambiata fra i soldati di Bazaine già padroni del paese e quelli di Forey che arrivarono più tardi, e vi furono due feriti. Dei due corpi d’armata poi di Mac-Mahon e di Niel si sa che il primo fu trattenuto nei dintorni di Dresano dalle difficoltà topografiche del terreno ed il secondo non si mosse dai dintorni di Carpiano per tenere in soggezione un corpo d’austriaci che accampava a Landriano.
Circa molte altre particolarità di fatti non credo opportuno occuparmi, perché non sono fra loro d’accordo né le pubblicazioni fatte né le informazioni da me raccolte. Solo aggiungerò, come cosa non accennata da alcuno degli scrittori che, dicesi fosse intenzione di Baraguey non già di prendere Melegnano d’assalto, ma di bombardarlo, se il paese fosse stato di minore importanza e che gli dispiacque assai quando seppe che si trattava di una grossa borgata anziché di un villaggio.
Se ciò fosse vero la gratitudine dei melegnanesi verso il generale meriterebbe di essere tramandata ai posteri, mentre invece non si sente nemmeno parlarne. Un’altra circostanza che non vedo accennata da alcuno si è che sembrerebbe constatare come il generale Fanti nel giorno dell’avvenuto combattimento si trovasse nei dintorni di Linate. L’amico onorevole deputato Giovanni Secondi mi fa sapere che il generale Pettinengo gli scrisse qualmente il Fanti, dopo Magenta, andò a Linate, lasciando Milano all’arrivo della divisione Cucchiari, ed il signor Vismara oste della Battola si ricorderebbe di aver veduto il corpo di Fanti accampato in quei dintorni, Ho cercato di avere informazioni attendibili se il Fanti avesse incarico di appoggiare eventualmente il corpo di Mac-Mahon, come avvenne a Magenta e ciò per constatare che questi storici, mentre si son data tanta premura di accennare a tutti i movimenti e posizioni dei diversi corpi francesi, non fanno ombra di cenno dei nostri. Le mie ricerche però riescono ancora infruttuose. ... (omissis) 
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