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I tempi di Carlo Bascapè |
I tempi di Carlo Bascapè
Il personaggio dominante dalla metà del 1500 ai primi del 1600 è senza dubbio Giovanni Francesco Bascapè (più tardi assumerà il nome di Carlo), nato a Melegnano da Angelo dei feudatari di Basilicapetri (oggi Bascapè in provincia di Pavia) e dalla melegnanese Isabella Giussani, il 25 ottobre 1550, ultimo di sette figli. Il periodo dell’infanzia fu amareggiato dalla prematura morte del padre, alla quale sciagura Giovanni Francesco reagì con forza, continuando gli studi primari in Melegnano e quelli superiori a Milano. Si iscrisse all’università di Pavia nel 1574 si laureò in Diritto civile e canonico e stava per avviarsi alla docenza universitaria. Proprio a Pavia si incontrò con i Barnabiti e incominciò a portare dentro di sé un certo richiamo a diventare uno di loro. I Barnabiti erano stati fondati poco tempo prima da Antonio Maria Zaccaria. La loro congregazione si sviluppò rapidamente in tutta l’Italia, in Francia, in Spagna e in Austria. I Barnabiti erano dediti all’insegnamento, alla predicazione, alle missioni popolari. Si segnalarono anche come consiglieri dei regnanti, come scrittori ed anche come prelati. Al termine del corso degli studi il Bascapè ottenne un posto nel Collegio dei Nobili Giureconsulti di Milano, cioè di una associazione che preparava gli amministratori per le più alte cariche politiche. Ma l’impegno tra i giureconsulti non affievolì il desiderio per la vita religiosa. La sua vocazione divenne più forte e decise di farsi sacerdote sotto la guida di Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. Carlo Borromeo gli diede l’abito ecclesiastico, gli conferì gli Ordini minori e nel luglio 1576 il Bascapè fu ordinato sacerdote. Era il triste periodo della peste a Milano e a causa della peste celebrò la sua prima santa messa senza pubblicità nel raccoglimento della chiesa di san Bernardino delle suore clarisse, dove erano monache le sorelle Clara e Isabella. Carlo Borromeo gli donò il privilegio di far parte dei suoi familiari e segretari. Lo nominò anche canonico ordinario del duomo di Milano, per assicurargli un adeguato stipendio. Successivamente lo elesse come Visitatore Generale della diocesi, per cui il Bascapè poteva e doveva eseguire la Visite pastorali nelle parrocchie delle diocesi di Cremona e di Bergamo, come faceva Carlo Borromeo. Fu chiamato nel 1574 come consigliere nella fondazione degli Oblati, cioè di un gruppo di sacerdoti con il voto di ubbidienza all’arcivescovo, i quali Oblati avevano come compiti principali la missione, la predicazione, la preparazione alla visita pastorale, la vicarìa nelle parrocchie vacanti, l’educazione nei seminari e nei collegi di recente fondati. Poco tempo dopo, il 21 marzo 1578, Giovanni Francesco Bascapè decise di entrare nella Congregazione dei Barnabiti, realizzando il suo desiderio coltivato fin dalla giovinezza. Prese il nome di Carlo per onorare l’amicizia con Carlo Borromeo. Aveva 28 anni. Era fresco di studi, già stimato per riconosciute capacità, guardato con ammirazione, ma anche, purtroppo, con una certa invidia, perché era intimo consigliere di Carlo Borromeo, era suo confidente specialmente negli affari ecclesiastici più delicati e nelle questioni pastorali più difficili. Cadde su di lui la scelta di un viaggio presso il grande re Filippo II di Spagna, da cui dipendeva direttamente il governo di Milano. Fu un viaggio tenuto in estrema segretezza in Italia e in Spagna. Si trattava di informare direttamente e minutamente Filippo II sulla vera condizione della politica a Milano, e si voleva la destituzione del governatore spagnolo. Le contestazioni e le rivendicazioni da una parte e dall’altra rendevano tese le relazioni tra la Chiesa milanese e lo Stato spagnolo. L’intransigenza dell’arcivescovo si scontrava con le giurisdizioni dei governatori che si succedevano l’uno dopo l’altro. La missione in Spagna del Bascapè si svolse dal maggio all’agosto del 1580 a Badajos dove in quel momento si trovava il grande re. Il Bascapè ebbe più d’una volta udienza particolare e poté ottenere, tra le diverse richieste, quella che premeva all’arcivescovo, cioè la nomina a governatore di Milano di una persona accetta alla Chiesa milanese. Durante la permanenza in Spagna, il Bascapè strinse amicizie culturali preziose, tra cui quella con lo studioso Luigi da Granada, storico e filosofo. Intanto Carlo Borromeo, per le fatiche apostoliche e per le discipline penitenziali, unitamente ai tanti impegni gravosi nella grandissima diocesi di Milano che allora aveva circa 600 parrocchie, morì il 3 novembre 1584. Negli ultimi istanti della sua morte fu assistito continuamente dal Bascapè, il quale, l’8 novembre, scrisse una lettera al vescovo di Piacenza per dare la relazione analitica del “felice passaggio dell’illustrissimo signor cardinale Borromeo, di questa a miglior vita”. Come barnabita venne eletto tre volte superiore generale della sua Congregazione, dal 1586 al 1593, avendo già prima dato la forma definitiva alle Costituzioni della sua stessa Congregazione (1579). Il periodo della sua reggenza fu connotato da ben precisi programmi: 1) Accettazione di pochi ma validi novizi. 2) Massima esigenza alla disciplina del regolamento. 3) Insistenza sulla carità fraterna tra i membri. 4) Opposizione alle baldorie pubbliche festaiole, proponendo processioni penitenziali là dove maggiormente fervevano le feste chiassose. Il papa Clemente VIII lo nominò vescovo di Novara nell’anno 1593. Entrato nella sede episcopale novarese, sull’esempio di Carlo Borromeo, attese tenacemente alla riforma della disciplina ecclesiastica, secondo le prescrizioni del Concilio Ecumenico di Trento (1545-1563). Insistette sulla correzione degli usi e degli atteggiamenti scadenti del popolo mediante frequenti visite e lettere pastorali. Radunò tre volte il Sinodo diocesano, al quale dovevano partecipare tutti i parroci e diversi incaricati della pastorale parrocchiale. Istituì a Novara gli Oblati sull’esempio di quanto era stato fatto a Milano da Carlo Borromeo. Fondò scuole per la dottrina cristiana. Diede vita a Congregazioni religiose per laici. Migliorò e restaurò il seminario diocesano, aggiungevi un suo proprio reparto per i chierici in procinto di diventare preti, senza più che frequentassero altri seminari teologici fuori diocesi. Fu lui il promotore della canonizzazione di Carlo Borromeo ed ebbe la gioia di vederlo agli onori dell’altare. Difatti Carlo Borromeo fu canonizzato nel 1610. Già dal lontano 1154, Novara col suo territorio, da Federico Barbarossa, era stata posta sotto la giurisdizione temporale dei vescovi. I Visconti, gli Sforza ed infine gli Spagnoli ridussero i poteri amministrativi e politici dei vescovi. Ma alcune terre, come la Riviera d’Orta e Vespolate, erano ancora direttamente soggette al vescovo, il quale, per questo motivo, era ancora chiamato Principe dell’Impero e Principe di San Giulio, di Orta e di Vespolate. E come principe, cioè come primo responsabile amministrativo e politico, il Bascapè dovette scontrarsi con i caporioni delle fazioni e con il banditismo, comminare multe, giudicare le cause civili e penali sedendo in tribunale, procurare il sale e i cereali. E della sua condotta e della sua politica il Bascapè doveva rendere conto al duca di Parma, che era stato scelto dall’imperatore come commissario ed ispettore degli affari pubblici dell’Impero. Anche a Novara ebbe contrasti e controversie sulla questione della giurisdizione ecclesiastica non sempre chiara, contro quella statale non sempre ben definita. I due anni più cruciali furono il 1597 e il 1614. Dai suoi avversari si tentò di avvelenarlo, di ucciderlo con un’archibugiata, di bruciarlo nel suo palazzo vescovile. E furono anche spedite a Roma, al papa, alcune lettere anonime che erano veri libelli di accuse infamanti. Le accuse erano le seguenti: impedimento per tutti a mettersi in contatto con la Santa Sede, le decime destinate alla Santa Sede erano da lui rubate, non ubbidienza alle lettere papali, conversione a suo vantaggio dello stipendio dei preti, arresto durante la messa del parroco di Balmuccia con saccheggio della sua casa, favori speciali agli eretici. Si faceva anche correre la voce che il Bascapè era avaro, ingiusto, empio, crudele, turpe. A tutto questo si aggiungeva la presa di aspra e polemica posizione di un suo sacerdote ex vicario, che era stato accolto da lui su raccomandazione del cardinale Bellarmino, ma che fu poi licenziato perché indegno. Costui a Roma si pose come capo e nemico acerrimo per tutte le azioni contro il Bascapè. La Santa Sede mandò un fascicolo delle accuse al Bascapè. Il Bascapè vi scrisse sopra queste parole: fasciculus myrrae, cioè fascicolo di cose amare come la mirra. Ma i suoi accusatori principali, ad uno ad uno, sconfessarono pubblicamente tutto quanto avevano presentato contro il Bascapè. E già il Bascapè aveva chiesto di dimettersi dalla carica episcopale, perché si sentiva troppo lacerato e stanco. Ma da Roma venne l’ordine per lui di rimanere al proprio posto. Ricevette anche una lettera personale del papa nella quale il pontefice “era persuaso che quella Chiesa di Novara sarebbe retta meglio da lui infermo che da ogni altro più sano”. Tra le sue opere di carità, vi erano le visite ai carcerati e agli infermi. Invitava alla sua mensa, ad ogni festa religiosa, due poveri segnalatigli dai parroci e alla fine del pranzo donava loro anche una buona elemosina. Istituì il Monte di Pietà e l’Ospizio di Santa Lucia per le orfane. Rimase famosa una Lettera Pastorale a tutti i parroci sulla cura per i poveri. Tutti i parroci dovevano evitare di arricchire nipoti o parenti, ma destinare una somma prestabilita alle famiglie povere. Consigliava anche di sensibilizzare il popolo a donare particolari offerte durante le messe festive più frequentate. Un suo segretario, dopo aver guardato il registro delle spese del Bascapè, ebbe a dire: “Per canonizzare il vescovo, basta vedere il suo libro delle entrate e delle uscite”. Tuttavia la salute fisica cominciò a farsi più debole per tutte le sue fatiche e tante sue preoccupazioni. Forti dolori causati da reumatismi lo costringevano a letto per lunghi tempi. Capiva che si avvicinava la morte. Delle sue sostanze, molte delle quali erano state già elargite, volle nominare erede per testamento l’Ospedale Civico di Novara. Lasciò legati testamentari a diverse chiese. Lasciò al vescovo successore tutto quanto si trovava nel palazzo vescovile con l’obbligo di trasmetterlo al vescovo che sarebbe venuto in seguito. Ai Barnabiti lasciò tutti i libri, le scritture, l’anello pastorale e alcuni quadri. Morì il 6 ottobre 1615. E’ attualmente sepolto nella cattedrale di Novara, dopo essere stato portato dalla chiesa di san Marco, dissacrata e confiscata dai Francesi durante la Rivoluzione francese del 1789. Carlo Bascapè scrisse moltissimo, cioè fu scrittore assai fecondo. La sua attività di scrittore iniziò quando non era ancora barnabita (fu ordinato sacerdote nel luglio 1576) mentre era zelante tra i giovani per i quali scrisse Galateo spirituale dei costumi del buon cristiano. Per esplicito desiderio del cardinale Carlo Borromeo, presso la segreteria del quale entrò nel 1577, preparò una Memoria sull’osservanza quaresimale nel rito ambrosiano. La sue principali opere dal 1575 al 1615, possono essere così catalogate: - Di alcune chiese di Milano, 1576. - Dell’osservanza regolare delle Monache della Provincia d Milano l’anno 1583, e composta per incarico di Carlo Borromeo, 1583. - De successoribus S. Barnabae in Ecclesia Mediolanensi usque ad annum 1584. - De Regulari Disciplina, 1588. - De Metropoli Mediolanensi, 1592. - Novaria sacra, seu de Ecclesia novariensi libri duo, unus de locis, alter de Episcopis, opera stampata nel 1612. Uno dei suoi capolavori. In quest’opera si avverte che il Bascapè conobbe capillarmente le sue 276 parrocchie, e che, per quelle fuori Novara, volle dividere in 25 vicariati. - Historia Ecclesiae Mediolanensis... et vita XI priorum Archiepiscoporum, 1615. - Commentarii canonici, 1615. - De choreis et spectaculis in festis diebus non exhibendis, opera postuma stampata a Tolosa nel 1662. Mentre il Bascapè era nella segreteria di Carlo Borromeo, lavorava alla ristampa del Rituale e del Breviario ambrosiani e attendeva a ricerche per il nuovo messale; dal cumulo di materiale raccolto nacquero quattro monografie che vennero in luce postume nel 1628, nonché libri e documenti di storia generale della Chiesa che poi sarebbero serviti a Cesare Baronio per compilare i famosi Annales Ecclesiastici. Quando fu eletto per la prima volta superiore generale dei Barnabiti nel 1586, compose gli Uffici, una specie di regole per l’esercizio degli incarichi nella comunità barnabitica. E durante tutto il periodo del suo incarico di superiore generale, compose un volumetto che era come un Florilegio di sentenze dei santi padri per la vita religiosa. Curò egli stesso il volume Gli scritti, contenente lettere pastorali, sermoni, decreti, avvisi, formule liturgiche riguardanti il culto, il clero, le confraternite, le scuole della dottrina cristiana, la morale, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, in tutto sulle orme di Carlo Borromeo. Ma l’opera fondamentale del Bascapè è la biografia su Carlo Borromeo, dal titolo De vita et rebus gestis Caroli S. R. E. cardinalis tit. S. Praxedis, archiepiscopi Mediolani libri septem, Carolo a Basilica Petri Praepos. gen. congr. cler. relig. S. Pauli auctore, Ingolstadii, ex off. typ. D. Sartorii, MDXCII. Il Bascapè raggruppa gli avvenimenti in sette capitoli. I primi tre narrano la vita di Carlo Borromeo rispettivamente fino alla venuta da Roma in Milano come arcivescovo sotto il pontificato di Pio IV suo zio, e i fatti del decennio 1568-1578. Il quarto è dedicato alla peste. Il quinto alla legazione di Spagna. Il sesto racconta la morte di Carlo Borromeo. Nel settimo offre un ritratto fisico e morale del Borromeo. Con quest’opera, il Bascapè fu il primo biografo di Carlo Borromeo. Egli ha dato materiale a tutti gli altri biografi successori. Con l’aiuto della sezione storica della sua congregazione è stata ripresa la causa della beatificazione di Bascapè ad opera del Comitato promotore di Novara che, nel gennaio 1964, ha proceduto alla preliminare ricognizione delle sue spoglie mortali, mentre un ventennale lavoro di studi ha concretato due Epistolari in 34 grossi volumi per complessive 18.000 lettere. Su Carlo Bascapè hanno scritto in molti. Ma fondamentale è l’opera di Innocenzo Chiesa dal titolo Vita di Carlo Bascapè. Barnabita e vescovo di Novara (1550-1615) del 1636, della quale si è fatta una seconda edizione nel 1858, e più recentemente una nuova edizione a cura di Sergio Pagano, ed. Leo S. Olschki, Firenze 1993. |
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