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I Contemporanei
I Contemporanei
Ad aprire l’epoca contemporanea è Maria Assunta Pogliaghi (1916-1987). Allieva di Francesco Flora e di Pietro Scazzoso. Giornalista, ha collaborato al giornale “L’Italia” e al giornale “L’Avvenire”. Ha pubblicato nel 1965, presso gli Editori Daverio, il libro di argomento storico: “Canto per i Caduti della Battaglia dei Giganti”. Tra i primi esordi poetici stanno le 14 quartine in endecasillabi, con rima alternata, dal titolo Reginaldo Giuliani, una composizione in memoria del frate domenicano padre Reginaldo Giuliani, primo cappellano militare caduto in Africa Orientale nel febbraio 1936, durante la conquista dell’Impero. Il tono della lirica è di forte patriottismo, con una vena di retorica che non guasta, dove si avverte chiara  la preoccupazione di voler usare la poesia per l’esaltazione sincera di gesta eroiche. Si considerino i versi seguenti:
O puro eroe, purissimo Italiano,
Novello fior di nostra razza pura, 
Caduto sotto il bel cielo africano,
Il sangue tuo sarà una fioritura
                               Di santi, di guerrieri, di pionieri,
                               Che col nome d’Italia altero e santo      
                               Daranno luce ad ideali veri.
                               Salve, o fratello nostro, o nostro Vanto!
La guerra d’Africa del 1935-1936 fu l’occasione per altre composizioni liriche della Pogliaghi. Del resto, questa guerra aveva sollevato grande entusiasmo tra gli Italiani, ed anche tra i Melegnanesi. Togliamo dalla cronaca di allora (“La Campana”, giugno 1936, pag. 13) una interessante notizia: “Anche la nostra Melegnano ha vissuto intensamente le ore epiche e gloriose della Patria. Il popolo, accorso il due ottobre alla voce del Capo, ne aveva raccolto il comando e per sette mesi ha vissuto ogni momento della grande impresa, nella disciplina e nell’entusiasmo, seguendo con passione le fulminee, travolgenti tappe della vittoria, orgoglioso e trepidante per i numerosi suoi figli e fratelli legionari in Africa Orientale. Ed all’avvicinarsi della grande lieta certezza che poneva fine alle preoccupazioni e coronava le più grandi speranze, i Melegnanesi sono accorsi compatti e si sono ammassati nella piazza Vittorio Emanuele nella sera del cinque e del nove maggio per salutare la Vittoria e l’Impero e per rispondere e giurare il loro “sì” al comando del Duce. E l’esplosione di entusiasmo e di patriottismo ha avuto degna manifestazione la Domenica 10 maggio. Attorno alle autorità e alle Istituzioni del Partito si sono raccolte le Associazioni combattentistiche, le Associazioni Cattoliche, i Gruppi Aziendali del Dopolavoro, ed in breve ordinato corteo si sono recati alla Prepositurale dove, nella solennità dei riti, venne intonato da Monsignore il “Te Deum” di ringraziamento cantato a viva voce dal popolo, chiudendo con la Benedizione Eucaristica per invocare benedizioni ed aiuti sulla nostra Patria e sulle nuove fortune”. Alla luce di questi avvenimenti si intende anche, della Pogliaghi, una lirica dal titolo Nuovo Fiore, che è il nome della capitale dell’Abissinia, Addis Abeba. E’ una breve lirica che, poeticamente, sta tra le migliori della nostra poetessa, e che fu composta nel maggio 1936. Leggiamone l’inizio
                                Da ruina immane Addis Abeba uscivi
                                Pura alla nuova vita... ché nel
                                Battesimo delle fiamme eri passata.
                                E già le monche tue braccia, tendevi
                                Con passione viva
                                Con lo slancio supremo
                                Di chi morir non vuole, 
                                Ai legionari bronzei nel sole.
                                E fra i leggiadri eucalipti in fiore
                                Che t’incoronan come una fanciulla,
                                Un brivido passò: era stupore!
Nella raccolta delle sue poesie, una raccolta che Maria Assunta Pogliaghi ha chiamato Frammenti di un tutto, apparsa nel 1983, vi è la piena espressione poetica di una personalità che si rivolge alle creature con forti messaggi etici, ma anche si concede la confessione delle sue intimità. Ecco un esempio nella lirica Vanno di corsa:
                                Vanno di corsa
                                i miei pensieri bradi, nessuno -
                                li può imbrigliare - nessuno -
                                neanche la morte allora
                                li fermerà.
Nella raccolta Parole a Maria troviamo l’intimo canto dell’anima, le attestazioni dell’affetto filiale per la creatura evangelica della madre di Cristo, nella modernità della forma, nelle vibrazioni e suggestioni ineffabili.  Maria Assunta Pogliaghi era attenta agli avvenimenti locali nei quali  sapeva trasfondere la sua sensibilità poetica. Vale per esempio la poesia composta in occasione del rifacimento strutturale nuovo del ponte sul Lambro:
                         Un fiume d’acqua, un fiume di persone -
                         e risale nel tempo la memoria:
                         vicende varie, di dolore o buone,
                         giorni di pianto e turbini di gloria.
                                                  Qui la zona romana, qui l’antico
                                                  guado - Savina, i martiri, i guerrieri,
                                                  qui Barbarossa - e Pio quarto amico
                                                  col “Perdono” e ideali grandi e veri.
                       L’acqua ricorda i messi spaventati
                       da Bernabò - e il periodo vitale
                       dei Medici - Napoleone - e amati
                                                 giorni di giugno - e l’eco musicale
                                                 delle campane del “bel San Giovanni”
                                                 Dio, la pace: civiltà che vale.
Una vita per la poesia e per la pubblicistica è stata dedicata da Piero Pogliaghi, morto nel 1989. Dopo aver frequentato la Facoltà di Lettere a Milano, prese parte negli anni cinquanta alla rivista “Il Castello”, dove ebbe la redazione artistica per la poesia e per la pittura. Fino a questo periodo e poi per tutta la vita, la sua fiamma fu la poesia.   
Pubblicò nel 1965 un libro edito dall’editore Rebellato di Padova, dal titolo E’ tempo di partire”. Vinse due volte, nel 1978 e nel 1986 il premio “Ada Negri” a Lodi. Ricevette lusinghieri giudizi di critici valenti, quali Giancarlo Gramigna e Piero Scazzoso ed ebbe  la fortuna di conoscere Eugenio Montale che molto lo apprezzò.  Collaborò come giornalista a “La Notte” di Milano, scrivendo pagine di critica d’arte e interviste di cultura e anche con articoli di diversa estrazione che manifestavano una franca formazione filosofica e religiosa. Passò poi a collaborare su “L’Italia” e infine su “L’Avvenire”, rimanendovi qui per parecchi anni fino a quando la malattia lo colpì la prima volta nel 1981.  Si rese disponibile anche a scrivere sul quindicinale locale “Il Melegnanese”, sul quale pubblicò alcune sue poesie.  Molto materiale giace presso il fratello Giuseppe, un materiale di tutta la sua attività poetica ancora inedita e che certamente varrebbe la pena di portare all’attenzione degli studiosi e della critica ufficiale. Si legga attentamente la seguente poesia, dove in estrema sintesi sta la poetica di Piero Pogliaghi:
                                            Come lasciamo parte di noi stessi
                                            in ogni cosa
                                            e quanti luoghi
                                            ci rapiscono un gesto -
                                            un passo - una parola
                                            per ridarceli - intatti- dopo morti,
dove si nota l’estrema essenzialità del pensiero che racchiude vita e morte e dove sembra di avvertire il grido del poeta latino Orazio: Non omnis moriar, non voglio morire del tutto.   
Maria Biglia Gandini, vivente, è  una valente scrittrice che ci ha dato un’impronta  magistralmente pregevole nella poesia. Nata a Melegnano, si è laureata in Lettere Classiche all’Università di Stato di Milano. Si è impegnata in attività nel campo dell’educazione, dell’insegnamento scolastico  e nei settori sociali e culturali. Il suo interesse è stato rivolto alla prosa, alla critica, alla saggistica. Ma la raccolta poetica dal titolo Amore rimane tra le produzioni di alto livello nella letteratura melegnanese.  Il libro delle sue poesie dal titolo Amore è stato stampato nel febbraio 1980 e ha una presentazione (alle pagine 9-10) della professoressa Rosangela Restelli che su Maria Biglia Gandini, tra l’altro, scrive: “La sua poesia risuona di motivi etici e dell’amore per la natura e la gente: bambini e vecchi, che ricongiunge in armoniosa simbiosi, e figure”.  La Restelli distingue i brani poetici secondo due periodi della vita dell’autrice, quelli scritti prima della morte del suo compagno di vita (Giuseppe Gandini)  e quelli scritti dopo quel terribile battesimo del dolore che è la morte, la separazione, la “cognizione del dolore più profondo”, che ha segnato però una crescita qualitativa e un affinamento del suo sentire. Una sua composizione è la sintesi della gioia e della tragedia. E’ quella dal titolo Più Nulla
                                 Io,
                                 una lampada
                                 luccicante
                                 abbagliante
                                 perché tu mi accendevi: 

                                Io,
                                una fontana
                                d’acqua viva
                                dissetante
                                brillante perché tu eri la mia vena. 

                                Ed ora, senza di te, 
                                la fontana si è disseccata
                                la lampada si è smorzata

                                Io,
                                senza di te,
                                più nulla.
Sono, dunque, 57 composizioni poetiche che ci immergono nella  vasta problematica della vita soprattutto affettiva. Stanno davanti a noi liriche “tenere, delicate, leggere, incantate” (Restelli) come mattini luminosi di vita primaverile, anche se in esse si avvertono lontani soffusi echi ancestrali di sofferenze umane, quasi per ricordare il verso virgiliano nell’Eneide. “Sunt lacrimae rerum”, ogni realtà umana ha in sé un germe di brezza dolorante.  Il sentimento vitale, gioioso o di crudezza esistenziale,  che la Gandini esprime, ha il supporto linguistico ricco  e con il ricupero dei suggerimenti della retorica. Vi si nota, molte volte, la voluta successione di vocaboli incalzanti, come nella poesia Settembre:
                                Rondini rondini
                                nel cielo
                                di settembre
                                vi chiamate
                                vi allontanate
                                vi radunate
                                ve ne andate
                                via,
                                via, lontan, di là dai monti
                                di là dai mari.
Manca ancora, per la conoscenza della fatica letteraria della Gandini, uno studio sulla sua produzione in articoli su riviste e in saggi culturali, quasi certamente di alto valore contenutistico e di sicuro buon livello espressivo. Già nelle sue poesie, infatti, noi avvertiamo ricchezza di contenuto, proprietà di linguaggio, chiarezza espressiva.  
Di elezione melegnanese fu Roberto Aurelio Pozzi, nato a Sant’Angelo Lodigiano da Gerolamo e da Maria Gnocchi, ma venuto giovanissimo a Melegnano.  Il padre a Melegnano esercitava l’arte della lavorazione del cuoio. Aurelio Pozzi divenne maestro delle scuole elementari  e successivamente professore di magistero, fino ad essere nominato direttore della Regia Scuola di Avviamento al Lavoro in Melegnano nel 1943.  Era iscritto al Partito Nazionale Fascista e fu nominato membro del Consiglio dell’Opera Nazionale Balilla, una istituzione fascista che divenne poi Gioventù Italiana del Littorio. Quando cadde il fascismo il 25 aprile 1945, Roberto Aurelio Pozzi fu portato in carcere dove rimase per oltre un mese, ma non fu deportato in campo di concentramento e fu lasciato libero. Morì a Milano il 1° novembre 1983 per una grave malattia polmonare. Pozzi fu fecondo scrittore di prosa e di poesia, con diverse composizioni apparse su “La Campana”, una pubblicazione mensile edita a Melegnano. Tra le sue composizioni in prosa sono eccellenti le descrizioni dei mesi, con uno stile ricco di aggettivi felici, con un cursus rethoricus  ricercato, chiaro e di vasto respiro culturale.  Ma il nostro autore si espresse anche nella composizione di poesie, dove sta la bravura delle descrizioni di piccoli graziosi bozzetti popolari. Si osservi la seguente poesia, dal titolo Ave Maria!
                                             Ave Maria! Dalle valli infide
                                        lenta e solenne l’ombra sale ognora,
                                        grave si spande il suon della sonora
                                       squilla, là, dove il gufo tetro stride.
                                            Ave! Donzella sorridente scende,
                                       canterellando, lungo l’aspra via, 
                                       balzando e rotolando i sassi, e spia
                                       l’amica, che di fiori, un mazzo tende
                                           nel tabernacol, alla Madre inclita.
                                      Ave! Il villan la zappa a terra pone,
                                      piega il ginocchio stanco, e, il viso alzato
                                          al ciel che in suo sospir seral invita, 
                                     lieta la voce innalza e in Lei ripone
                                     ogni sua speme, il capo  scoperchiato.
Il Pozzi si dimostra studioso e buon conoscitore delle opere della nostra letteratura italiana, in modo particolare sembra volersi esprimere sui canoni della grande poetica pascoliana. Eccone un esempio nella poesia dal titolo In morte del mons. Davide Rossi, che è del gennaio 1933, e di cui ne trascriviamo i versi 22-30:
                                       Laggiù, fra le brume, risplende
                                       la bianca pupilla
                                       di una finestra, 
                                       che ombre indistinte l’oscura;
                                       là tutto, ne’l sonno de l’umida notte, 
                                       esprime la calma
                                       che ultima grava l’umano,
                                       e il muto silenzio che lento si spande
                                       è tutto un segreto.
Ci troviamo, dunque, davanti a un nostro scrittore, non proprio melegnanese, ma di elezione melegnanese già dai primi anni della sua gioventù, che bisognerebbe meglio studiare, raccogliendo più e meglio le sue composizioni letterarie.  Certamente potremo scoprire altri aspetti di più vasta e preziosa conoscenza nella poesia e nella saggistica. Tuttavia occorre ricordare che Roberto Aurelio Pozzi espresse con prosa forte la sua passione politica fascista. Basti ricordare che nel 1939, nei giorni 6-10 aprile, si tenne a Melegnano la Mostra Coloniale, a cura della Sottosezione Fascista per l’Africa Orientale, di cui il Pozzi era presidente. Nell’opuscolo di illustrazione della mostra egli ne fa la presentazione, nella quale sono chiari gli accenti di una sincera e profonda fede politica:
                       L’Italia ha ormai sorpassati i tempi dell’afosa quiete di
                       un giorno di tempesta, sono ormai spariti gli uomini deboli
                       che potevano pensare al riposo tranquillo sopra un cartoccio 
                       di quella che fu una foglia di alloro; ora è venuto il tempo
                       di una rinascita che non è soltanto coloniale ma imperiale,
                       ora dobbiamo valutare i nostri interessi coloniali nella loro
                       imprescindibile importanza.
                       Sono finiti i giri di valzer, come giustamente ha detto il Duce,
                       perché ormai l’Italia non può più accontentarsi di sporadici
                       accordi fra una nazione solo ieri nemica, di deboli amicizie
                       mutate a mutar di vento; oggi sappiamo soprattutto che al
                       di sopra dei cosiddetti amici vi sono i nostri vitali interessi,
                       sappiamo che il nostro popolo di volonterosi e di lavoratori,
                       di conquistatori soprattutto, ha diritto al suo campicello in
                       terra propria, ha diritto di alzare il capo con fierezza, perché 
                       ben può guardare in faccia a tutti, giacché sparuta è l’opera 
                       di coloro che oggi si vantano di tanto aver compiuto, nei 
                       confronti della grande attività fascista.
Aristide Arioli (1922-1995), missionario francescano cappuccino in Brasile, costruttore di numerose opere sociali, colà residente per 42 anni, scrisse tre libri di forte sostanza nel settore dell’etnologia. Nei suoi scritti egli si è preoccupato di dare un’analisi non tanto scientifica, ma piuttosto  storica del proprio oggetto di studio, le tribù primitive degli Indios delle foreste brasiliane del Maranhão a Montes Altos.  Venne stampato nel 1961 il suo primo libro dal titolo Danze sacre nella steppa. In quest’opera le note su quei popoli, come si scrive nella Prefazione: “non sono stese da uno scienziato che studia con fredda e staccata oggettività un mondo così strano per noi europei, ma da un missionario, che insieme con l’impegno di portare il Vangelo, nutre, con distinta felicità di intuito, il desiderio di penetrare nella vita di questo popolo, ignorato e antichissimo. "
Dopo aver parlato dell’ambientazione, ecco la descrizione dei villaggi, degli uomini e donne Indios e dei loro caratteri morali, i loro usi e costumi, il tipo di lavoro e soprattutto le riflessioni filosofico-morali sulla vita dei selvaggi. In appendice sta anche una carta geografica molto interessante. La descrizione, che occupa 236 pagine, è minuziosa, ricca di infinite curiosità popolari, una descrizione per la quale non è stato un facile lavoro. Leggiamo un brano a pagina 130: "E’ duro e faticoso recarsi nella aldée degli Indi, ma è ancora più difficile soffermarsi tra loro, parlare e bonariamente scherzare, interessarsi della loro vita. Per meritarsi affetto e confidenza, condizione essenziale per poterli guidare al Bene, sono necessari una infinita pazienza, molta carità e un grande spirito di sacrificio.
 Occorre abbassarsi con semplicità, farsi uno di loro, mantenendo intatti i   propri princìpi di fede e di condotta. Il cercare di intenderli bene con calma, con perspicacia e intuizione, è lavoro di psicologo e di naturalista”, perché l’Indio “ora è ingenuo e bonaccione come un bambino, ora fiero e istintivo come una belva...”.  Nel 1966 esce il secondo libro dal titolo La foresta chiama con il sottotitolo di Uomini primitivi, di pagine 135. Qui gli Indios sono studiati e descritti in tutta la loro personalità, la loro vita privata e tribale, le loro cosiddette superstizioni. Sono quadri della vita quotidiana pieni di rilievi e di notizie, e perfino con l’informazione sulle nozioni di medicina indigena. Ma sullo sfondo di tutto il libro sta sempre la vita del missionario che  crea, si adatta, propone, suggerisce in ogni occasione, dopo aver osservato e cercato di capire un altro mondo umano, tanto diverso dal nostro mondo europeo. Lo si legge a pagina 17, quando padre Arioli scrive: “La Divina Provvidenza  dispose che io fossi destinato a questo lavoro duro, urgente, privo di soddisfazioni e richiesto ormai da secoli dalla nostra coscienza...”.  Nel 1993 esce il libro, dal titolo Livro de Tombo, (cioè: registro che raccoglie fatti, avvenimenti, eventi, riferiti ad una regione, provincia, parrocchia, località, comunità, ecc.), stampato in Brasile e in lingua portoghese, di pagine 203. Questo volume, con interessanti illustrazioni fotografiche,  si riferisce specialmente all’ospedale “Casa Pontificia Alìvio do Sofrimento” e la sua storia dalla fondazione. E’ la storia di un complesso ospedaliero costruito da padre Arioli, con clinica medica di 55 letti,  clinica pediatrica con 20 letti, clinica ostetrica  con 15 letti, clinica chirurgica con 9 letti,  settore isolamento con 1 letto. Nel 1992 questo ospedale  ebbe 242 ricoverati. 
Il professionista architetto Gianluigi Sala (vivente), accanto alle sue numerose presenze progettuali come architetto in Melegnano e in altri luoghi, si segnala per l’impegno culturale e come scrittore. Già negli anni giovanili incominciò ad interessarsi, con lunga insistenza, della situazione della chiesa di Santa Maria di Calvenzano, facendone conoscere la storia, descrivendone il degrado strutturale, cercando consensi per i lavori di riparazione, organizzando prestigiose iniziative ai fini di una concreta comprensione la più vasta possibile.  Un ulteriore merito culturale sta nell’aver assunto la ripetuta presidenza di “Melegnano Cultura”, un’istituzione che aveva come scopo l’organizzazione delle attività culturali e che aveva raccolto l’adesione di quasi tutti gli intellettuali di Melegnano. Gianluigi Sala fondò “Il Melegnanese”, il periodico quindicinale di informazione della nostra città, il primo strumento culturale giornalistico alla portata di tutti e che è tuttora fiorente, di cui il Sala fu direttore per tanti anni.  Si deve ascrivere al Sala la fondazione di “Radio Melegnano”, una voce quotidiana che arrivava in tutte le case e che presentava buoni programmi radiofonici di vasti interessi. Sala era scelto anche come commissario nelle commissioni esaminatrici dei vari concorsi culturali e artistici.  La sua presenza si estese pure nel settore politico, sia come consigliere comunale di Melegnano sia come consigliere alla provincia di Milano.  Questa sua intensa attività non gli impedì di tenere in mano la penna dello scrittore: i suoi articoli  su “Il Melegnanese” emergevano per spiccata visione critica alle diverse realtà vecchie e nuove della nostra società. Ma in modo particolare tre sono i lavori letterari, a forte tinta storica e urbanistica, per cui Sala, oltre ad altri scritti,  va considerato nella nostra letteratura melegnanese. Un primo grosso lavoro letterario fu la compartecipazione e la presenza fattiva nel Comitato di redazione per la stesura dell’opera dal titolo Il Territorio del Rotary di Melegnano, un libro, oggi raro, di 187 pagine, edito nel dicembre del 1969. E’ lo studio dei  20 Comuni del territorio del Rotary Club di Melegnano. Un prezioso libro per il quale Gianluigi Sala stese la pagine sulla corografia, sulla popolazione, sull’urbanistica, sulle infrastrutture e  servizi, e sulla ricreazione.  Un secondo lavoro da evidenziare è il denso lungo articolo apparso sul “Bollettino della Banca Popolare di Lodi”, dei mesi settembre-dicembre 1986, alle pagine 24-30, dal titolo L’armoniosa vitalità di un centro dal fascino discreto, dove si coglie una chiara e ricca sintesi della storia di Melegnano, quella dei grandi eventi e quella della quotidianità.  E finalmente ecco una parte sul primo volume della monumentale storia di Lodi, apparsa su tre grossi volumi in occasione del 125° anno di fondazione della Banca Popolare di Lodi. L’opera dal titolo Lodi - La storia vede l’architetto Gianluigi Sala come collaboratore per la parte dal titolo Lodi, il tessuto urbanistico, dalla pagina 427 alla pagina 445, con illustrazioni  e cartografie illustrative.
Ricca di accenti intimi e luminosi di sentimento sono gli scritti poetici di Anna Maria Sarchi (vivente). Una delle sue raccolte è quella - per noi assai significativa - del 1989 che comprende poesie dai vari titoli: Se, Frammento di Natale, Io corro, Sera d’estate,
Una donna, Tempo, Per te.  Arieggia in un clima dolcemente nostalgico, a volte anche sulla scia del grande Giacomo Leopardi, la poesia dal titolo Sera d’estate. Ascoltiamola:
                                       Chiara è la notte
                                       e il cielo d’estate,
                                       ed io, silenziosa,
                                       cammino piano piano.
                                       In soffice veste
                                       e gaio sorriso
                                       mi scopro tornare
                                       bambina a sognare.
                                      Castelli di sabbia 
                                      vele incantate
                                      mari azzurri
                                      cieli lontani...
                                      In riva al mare
                                      mi fermo a guardare:
                                      impronte dei piedi
                                      su sabbia liscia
                                      svaniscono presto 
                                      con l’impeto dell’onda.
                                      E’ una dolce canzone
                                      il rumore del mare,
                                      è un invito a pensare,
                                      a danzare, a perdersi nel tutto...
                                      mentre il vento fresco 
                                      di questa notte d’estate
                                      s’alza leggero
                                      e asciuga, timidamente,
                                      dal mio volto, una lacrima.
Nelle altre  composizioni trovi il desiderio, a volte struggente, si uscire da una solitudine quasi esasperata, come se l’eremitaggio dello spirito crei sofferenza ai giorni terreni. Avverti una smania, delicata ma forte e insistente, di trovare e sentire la presenza 
necessaria di un altro capace di colmare un vuoto persecutore  e placare l’assillo di un “mare inquieto e triste”, simbolo chiaro di una vita intrisa di  “profonda solitudine”.  Si mediti, con calma e con una rilettura attenta, la poesia dal titolo Tempo, e si potrà cogliere la corsa “alla ricerca dell’altro” nella fase iniziale e l’arrivo soddisfatto dell’incontro umano:
                                      Sono in corsa con le ore
                                      bramo la notte
                                      che non mi fa pensare,
                                      anniento l’essere
                                      divoro il tempo spietato
                                      con frenesia assurda
                                      perché sono senza di te.
                                      Accarezzo ogni istante
                                      assaporo lenta, i minuti,
                                      il mio essere vive, 
                                      colgo ogni momento
                                      di questo tempo gentile
                                      perché ora
                                      sono con te.
Un’altra robusta feconda scrittrice è Maria Rosa Schiavini (vivente). Dice di sé: “Amo leggere e scrivere da sempre; questa passione mi è stata trasmessa da mia madre. Un ricordo vivo della mia infanzia sono i libri rilegati in cartone blu con il marchio della Biblioteca,  un altro ricordo è la gioia per i premi ottenuti dai miei componimenti scolastici... Ho coltivato questo giardino, mi sono innamorata delle parole, di ciò che si poteva rivivere e trasmettere con un foglio qualsiasi e una biro...”.  Undicenne, scrive la sua prima poesia. A sedici anni partecipa con due testi a un Concorso Nazionale vincendo il primo premio e la pubblicazione sull’Antologia Poeti e Novellieri di oggi e di domani (Edizioni del Cavalluccio, Milano). Una delle due poesie vincitrici viene musicata e riprodotta in un 45 E.P. con l’accompagnamento del complesso “Happy Day”, per la Casa Discografica Il Discobolo.  Collabora regolarmente per alcuni anni, con poesie e pezzi di costume, a un periodico edito da un’ importante industria, ottenendo buone critiche, in particolare dal poeta Alberto Cavaliere, del Comitato di Redazione.  Partecipa nel 1986 al Premio di Poesia “Clemente Rebora” con cinquanta testi e con giudizi positivi. Poi, per un certo periodo, non sente il bisogno di pubblicare: scrive per se stessa, avverte l’esigenza di una sosta, di una nuova crescita che le faccia guardare il mondo e cercarne le radici, stanare la sofferenza e amare comunque la vita. Nasce da ciò un racconto: Io e l’Arcangelo, che  segna  una  nuova  e  significativa  fase della sua attività. Ecco un giudizio espresso su questo testo, al quale è stato attribuito il secondo premio nel concorso “Città di Varese” nel 1985: “(...) L’autrice incentra il suo lavoro in forma misurata, compiuta, senza nulla concedere alla retorica. I suoi sono tratti rapidi, sincopati, non privi comunque di quella essenzialità che la vita, giorno dopo giorno, incide nell’essere affinché trovi la forza di una continuazione nel proprio discorso vitale. Lavoro che non sfugge altresì a un sommesso esistenzialismo”.  Inizia, quindi, una collaborazione costante con la storica testata cittadina “Il Melegnanese” e con la rivista “Il Foglio” dell’Associazione Internazionale Amici dei Bambini (AiBi), della cui redazione entra a far parte.  Come rappresentante de “Il Foglio” partecipa a numerosi congressi internazionali alla Cittadella di Assisi, nei quali vengono ampiamente dibattuti, con l’apporto di personalità di primo piano, i problemi dell’infanzia. Ecco, quindi, l’impulso a scrivere favole (qualche titolo: La storia di Belinda, La montagna azzurra, Il palloncino rosa, Nerofumo) pubblicate sulla rivista e che otterranno altri riconoscimenti. Su “Il Melegnanese” vengono pubblicati i seguenti testi: Io e l’Arcangelo, I giorni del lilium, Angelo custode, C’era una volta, Margherita, La casa dagli occhi di luna, Il fiume, La città, La Casa vecchia, La bottega delle parole, La sposa, Una pagina per Anna. La lirica Angelo custode è vincitrice del premio speciale di Poesia nel Concorso Internazionale “Pisaurum d’Oro”, e i racconti sono stati tutti singolarmente vincitori del primo premio per la narrativa nei diversi Concorsi Annuali Nazionali “Fanum Fortunae”, dei quali ha dato notizia la stampa a livello nazionale (“Il Resto del Carlino”, “L’Avvenire”).  Il racconto C’era una volta è stato inserito nel volumetto dal titolo C’era una volta il Natale realizzato nel 1993 a cura del Centro Culturale della Parrocchia prepositurale della Natività di San Giovanni Battista in Melegnano. Ecco una sintesi della recensione, a sigla del direttore prof. Nino Dolcini, alla presentazione di Io e l’Arcangelo pubblicata su “Il Melegnanese”: La prosa dell’autrice è agile, nervosa, sicuramente moderna e padrona del lessico. Io e l’Arcangelo non racconta una vicenda, una trama, ma porta in superficie sottili meditazioni e stati d’animo, avvolti in un’atmosfera un po’ surreale, eppure intrisa di tensione religiosa.".  A partire dal 1997 nasce dalla penna della Schiavini un nuovo personaggio, Adalgisa, le cui vicende trovano spazio tuttora sulle pagine de “Il Melegnanese”. Ed ecco il giudizio espresso dal noto critico e narratore Gian Franco Grechi: “ E’ Adalgisa l’eroina di un diario che si snoda di volta in volta costituendo un appuntamento sicuro. Una donna avanti negli anni, osservatrice del mondo che la circonda con gli occhi sgranati per l’intensità dell’attenzione o per la meraviglia”. Dal 1999 ha inizio anche la collaborazione, a livello di Comitato di Redazione e di pezzi a carattere sociale, con la rivista “I Fratelli Dimenticati” che si occupa di problemi dell’infanzia nel Terzo Mondo.  La Schiavini ha prestato per molti anni la sua opera nell’amministrazione dell’Ospedale Predabissi di Vizzolo Predabissi, in provincia di Milano. Si era nel frattempo iscritta alla Facoltà di Lettere Moderne dell’Università degli Studi di Milano, che tuttora frequenta con forte motivazione a conoscere e imparare.   All’inizio del Terzo Millennio è pronta a continuare come sempre: ama lo scrivere pulito, secco, stringato, ama la parola povera e al contempo levigata e cercata e, spera, autentica. A modo di esempio, si legga e si rilegga la seguente poesia, dove, non subito appare ma è potentemente presente il contrasto tra la forza della natura eterna immutabile nei suoi aspetti e la creatura umana effimera e di poco tempo esistenziale:
                                                           Piove
                                             L’acqua scroscia violenta
                                             e mette gioia,
                                             e corre con baldanza sull’asfalto.
                                             Incurva gli alberi
                                             antichi servitori
                                             pronti al richiamo.
                                            E il lampo
                                            vecchio mago,  
                                            esplode rovelli d’alchimia
                                            a far spavento.
                                            a uomini sospesi, senza storia.
Autrice di pura lirica amorosa si presenta Adriana Belloni (vivente). Si è dedicata particolarmente alla poesia già dagli anni della scuola media. Sulla rivista “Confidenze” ha esordito ed ha pubblicato le sue composizioni nella rubrica “E’ nato un poeta”.  Il tema principale che emerge dalle sue liriche è l’amore, sentito ed espresso, sperimentato e analizzato perfino nelle più sottili sfumature esistenziali. Amore che è freschezza dell’animo, che è risveglio della giovinezza, incanto e rapimento. Ma anche amore che è malinconia, ansia turbante. Di qui, gli estremi dei sentimenti contrastanti: lusinga paradisiaca o inganno.  Adriana Belloni stende tocchi melodici delicati fino al melodramma intimo, mai urlante quando la passione amorosa è tradita, ma sente lo sdegno per alzare la voce quando il cuore desidera. Il profilo del suo “amante” non è mai stagliato e nitido, ma è sfuggente e velato di crepuscolo: è la creazione poetica di una innamorata.  I pensieri della Belloni si esprimono ora con delicatezza ora con forza, in uno stile espressivo piano, apertamente autobiografico e proprio di chi ha la naturale tendenza ad una confessione poetica limpida e senza enfatiche o torbide palpitazioni linguistiche. Si veda la poesia dal titolo Ingenuità:
                                           Portavo con felicità
                                           e ingenuità
                                           quel che tu mi hai detto
                                           che si chiama amore.
                                           Poi con quel tuo “io”
                                           ti è bastato un gesto,
                                           una parola
                                          per lasciarmi delusa.
E’ sempre forte il  presentimento che la gioia della conquista affettiva ed il possesso amoroso abbia sempre una contrapposizione, un momento pensoso che debba smorzare l’entusiasmo dell’animo. Si legga la poesia  Storia d’amore:
                                          Lo so che forse è meglio,
                                          ma io stento a crederci:
                                          forse sarà un sogno.
                                          E magari mi sveglierò,
                                          riderò per quello che ho sognato.
                                          Ma le lacrime sulla pelle
                                          mi bruciano.
                                          E allora capisco che
                                          stare insieme
                                          è finito per noi.
Oltre ogni poetica della massiccia tradizione Ottocentesca e del Primo Novecento sta Guido Oldani (vivente). Nato nel 1947, divide la propria attività fra problemi scientifici e poesia. Collabora con articoli alle riviste di Shering Editore. Ha scritto interventi di critica estetica su “ Arte Italiana nel Mondo”. E’ autore di una visualizzazione poetica (Edizioni Linati). Ha operato alla RAI come autore di poesia e commentatore critico. Suoi testi sono accolti dalle riviste “Incognita” e “Bagordo”. E’ inoltre uno dei curatori della rubrica di poesia contemporanea sulla rivista “Psychopathologia”.  Su di lui e sulla sua opera hanno scritto e tuttora scrivono in molti. Il nostro primo e continuo approccio con Oldani è stato  attraverso “Kamen’„ una rivista semestrale di poesia e di filosofia del maggio 1991, che espone Oldani nelle pagine 41-100 e da noi maggiormente meditate sul commento di Luigi Commissari. nelle pagine 43-63. Ecco quanto osserva il Commissari: “Il poeta Oldani proclama che non bisogna infoltire i versi di parole, magari per arrotondare un endecasillabo; bisogna stringere in brevità la folla dei sogni, sia pure col rischio di ricevere l’accusa di  poeta oscuro. Due sono i propositi. Anzitutto la concisione ad ogni costo, pur con il rischio - di fatto non sempre evitato - di oscurità. La riga più nuda possibile di parole diventa il filo attorno al quale è il labirinto di questa vita. Il secondo proposito è la sfida a non “ridire”, ossia a non ricalcare la tradizione, a marciare sul tragitto della novità. Per questo, Oldani, come strumenti della sua espressione,  vuole spigolare il raro e l’antico, cioè ecco parole con diverso significato che avevano nel passato aureo, con procedimenti di omissioni, con aggressività del lessico al punto da inventare i verbi, oppure da dilatare i verbi intransitivi a verbi transitivi, sempre con l’intento innovativo. Sono questi alcuni nostri accenni della grande ricchezza delle novità linguistiche, che Oldani celebra e usa nelle sue composizioni. In una parola, il programma di Oldani è quello di una innovatrice incisività”.  Quando ci si accosta alla lettura delle poesie di Oldani, vi troviamo annotazioni morali, talvolta cariche e dolorose. Ed ecco anche la stringata sintesi nei frammenti di storia, di mito e di mondo. Altre volte la conclusione di lampo etico plana in sarcastica ironia. E vogliamo lasciarci da Oldani (ma la sua immensa opera meriterebbe ben altro commento) con una sua poesia, come uno dei testi più illuminanti:

Sempre perenni verdi
stavolta proni proprio
per l’impreveduta neve;
groviglia accanto astuto
l’acquoso pioppo setacciante
e loro loro
slittanti i due l’oceano
in condominio bianco
osano fino non oltre
alle colonne d’Ercole
recanti nomi e campanelli.
Anche noi (voi)
si è contenuti in un cortile dentro
e non per gioco
per qual ragione ignota non uscendo.
Due pini insieme con il pioppo, nel prato del condominio, sono carichi di neve e agitati come chi stia camminando. In realtà non compiono nessun passo, non varcano i cancelli. Sono immagine dell’uomo illuso di uscire, di andare: “Anche noi (voi) / si è contenuti in un cortile dentro / e non per gioco / per qual ragione ignota non uscendo”. Si sottolinei il “si è contenuti”: il mondo-cortile ci tiene dentro lì dove siamo  piantati e noi stessi ci teniamo piantati, non si esce dal giro di sguardo che abbiamo. E non è un gioco, ma legge inflessibile. Tuttavia, la stagione forte del poeta Oldani è rintracciabile nella raccolta che va sotto il titolo generale Stil nostro, apparsa nel 1985, nella collana di poesie Clemente Rebora. Sono qui riunite 52 composizioni che sono introdotte da una nota di Giovanni Raboni, il quale ci avvisa che per Oldani “la realtà va di continuo interrogata, riconsiderata: e occorre, per questo, descriverla, renderla corpo presente - ma per segni veloci, magri, scompiacenti”.  Si osservi la seguente poesia e si coglierà un Oldani, simile in altre composizioni, che - come umana creatura - ha in sé progetti, sollecitazioni, voglie (“bucatori come conficcati tarli”), ma che se ne vanno con   una   voce   che  può essere lamento oppure     un grido di rassegnazione (“quasi  miagolando  vaporarono  di  me”).   Ma   tuttavia  ancora  la vita sprizza in  qualche  occasione  (“splendendo  talvolta,   in   uno  scampolo reale”) che si blocca  consolandosi  con  un  sigaro  stretto  tra  le  dita,  quasi  come  una  delle  scelte:
                                              Comparendo, bucatori
                                              come conficcati tarli
                                              e quasi miagolando
                                              vaporarono di me

                                              talvolta, in uno scampolo
                                              reale si va
                                              in vicissitudine
                                              e altre poche consone
                                              (per noi) saggezze.
Guido Oldani ha curato l’Annuario di poesia 2000, uscito dalla tipografia Crocetti e pubblicato recentemente grazie al contributo del Comune di San Donato Milanese. E’ un volume di respiro europeo e vuole essere “un omaggio - come scrive Oldani - ad autori del passato remoto, dei luoghi che contribuiscono alla nascita dell’Annuario”.
Tra i contemporanei si pone, vigoroso nel genere di letteratura musicale, Luca Bragalini, vivente. La sua presenza è piuttosto intensa e ben specifica. Egli ha studiato armonia con il Maestro Ettore Righello (pianista e direttore dell’Orchestra Rai di Milano) e con lui ha suonato in diverse occasioni.  Ha frequentato i “Seminari Senesi di Musica Jazz - corsi internazionali di perfezionamento”, studiando teoria, armonia, analisi e musicologia con Marcello Piras, Stefano Zenni e Giancarlo Schiaffini.  Dal 1997 inizia la collaborazione letteraria con “Musica Jazz”, il maggiore periodico specializzato per il quale scrive saggi e articoli analitici. Lo studio “Miles Davis e la disgregazione dello standard” è pubblicato sul sito internet dell’università del Maryland, raccogliendo critiche favorevoli da illustri musicologi: “I downloated your Miles Davis essay. Great work!”, a firma di Wolfram Knauer, direttore del Jazz Institut di Darmstadt. E ancora: “I visited your website and was much impressed with your work” di Andrew Homzy della Concordia University Departement of Music. Il saggio è più volte citato nel libro di Stefano Zenni, Herbie Hancock, Jazz, Budda e funky a 88 tasti, Roma, Nuovi Equilibri Stampa Alternativa, 1999.  In occasione del centenario “Duke Ellington” il nostro Bragalini è stato promotore e direttore  artistico di un’iniziativa  culturale  che  si  è  tenuta  a  Melegnano nel  mese    di ottobre e che si è realizzata in una settimana di celebrazioni del musicista americano attraverso una mostra fotografica, un’esposizione di dischi da collezione, una conferenza e un concerto. La rassegna ha ospitato le figure più autorevoli delle fotografia jazz, della discografia e della musicologia afroamericana oltre a musicisti di levatura nazionale.  E ancora per l’anniversario “Duke Ellington” Bragalini ha curato per il “Sismografo” di aprile (il Bollettino della SISMA, Società Italiana per lo Studio della Musica Afroamericana) la versione italiana degli Atti del Congresso Internazionale di Studi sul tema “Duke Ellington, oltre le categorie del Novecento”, Teatro Metastasio, Prato 22, febbraio 1999. E sul medesimo tema Bragalini ha pubblicato alcuni saggi. E dal 1999 Bragalini inizia la sua collaborazione anche con il periodico bimestrale “Jazz It”. E attualmente è iscritto alla SISMA (Società Italiana per lo Studio della Musica Afroamericana), e anche al CBMR (Center for Black Music Research di Chicago).  La presenza culturale di Luca Bragalini a Melegnano è scandita da varie emergenze significative:
Nel maggio del 1997 vince il “Premio Città di Melegnano per studi e ricerche d’ambito melegnanese”, consistente in una somma di lire 500.000, con uno studio intitolato “Melegnano e il Rinascimento Musicale”, un’elaborazione di una ricerca precedentemente condotta per l’esame si “Storia della Musica Medievale e Rinascimentale” per la DAMS - Università di Musicologia, con il punteggio di 30 e lode dal professore Alberto Gallo, docente di Storia della Musica Medievale. Il verbale della Commissione Melegnanese per l’assegnazione del premio così si esprime tra l’altro: “...gli argomenti sono approfonditi con la descrizione analitica chiara e commentata degli affreschi del Castello Medìceo. Il lavoro è corredato, con una certa ampiezza, oltre che da illustrazioni esplicative, anche da parti di partiture musicali. E’ evidente uno sforzo serio, prolungato e meticoloso per far emergere una ricca documentazione che possa dare ulteriore valore alla ricerca stessa. Del resto tale lavoro potrebbe essere di somma utilità ai cultori dell’arte figurativa e della musica”.
Uno degli aspetti della ricerca “Melegnano e il Rinascimento musicale” venne  trattato in una conferenza tenutasi il 5 dicembre 1999 presso la Palazzina Trombini di Melegnano. Tale conferenza era parte di una rassegna “Pomeriggi d’Autore”, organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Melegnano.  Luca Bragalini, che abbiamo già ricordato come promotore a Melegnano del centenario “Duke Ellington”, come direttore artistico organizzerà nel 2001, in collaborazione  con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Melegnano, una imponente rassegna incentrata sulla figura del grande musicista Louis Armstrong.
L’attuale storiografia melegnanese è arricchita dalle opere di don Cesare Amelli, autore  di questa opera storica Storia della letteratura melegnanese.  Cesare Francesco Amelli nasce a Melegnano nel 1924 da famiglia povera e numerosa.  Dopo aver frequentato le scuole medie inferiori e superiori presso il Pontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano, studia teologia al Seminario regionale di Fano per scelta del vescovo di origine pavese mons. Egidio Bignamini. E’ ordinato sacerdote nel 1953. Risiede a Melegnano come collaboratore della parrocchia della Natività di san Giovanni Battista.  Nel tempo libero si dedica agli studi letterari e storici. Laureato presso l’Università Cattolica in Lettere Classiche nel 1961, è  docente di ruolo al Liceo artistico di Brera in Milano per circa 20 anni e successivamente passa all’Istituto Tecnico Statale per Ragionieri in Melegnano.  Attualmente, accanto alla sua primaria attività religiosa parrocchiale, si dedica agli studi e alla pubblicazione di opere storiche riguardanti Melegnano, arricchendo e dirigendo il prezioso archivio della parrocchia. Fonda e dirige la trimestrale “Rivista Storica Melegnanese”, arrivata al suo 30° numero. E’ insegnante del Primo Corso per Guide Storiche Amatoriali Melegnanesi e insegnante dalla fondazione dell’Università della Terza Età in Melegnano. Ordina diversi archivi parrocchiali. Ha ricevuto diverse onorificenze. E’ socio onorario dei Rotary Club del Distretto 2050 di Melegnano con onorificenza di Fellow Paul Harris. E’ membro della Società Storica Lombarda. La sua opera culturale, oltre a molti articoli di natura storica civile o ecclesiastica su diverse riviste e giornali, e per diversi anni anche su “Il Melegnanese”, sta raccolta in numerose pubblicazioni qui di seguito segnalate con l’anno di edizione:
  1. La storia di Melegnano (1957).
  2. La battaglia dell’ 8 giugno 1859 (1959).
  3. Il “Battesimo di Cristo” di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1963).
  4 .Il “Perdono” di Pio IV (1963).
  5. La chiesa del Carmine (1965).
  6. La battaglia di Marignano, detta “di giganti” (1965).
  7. La battaglia di Marignano, detta “di giganti”. Studi e ricerche sull’opera degli
      Svizzeri prima e dopo la battaglia (1965).
  8. Storia di Melegnano dalle origini all’anno 1000 (1967).
  9. Festa e fiera del Perdono (1973).
10. Storia di Melegnano (1974).
11. Il castello di Melegnano (1977).
12. La chiesa di san Giovanni Battista (1979).
13. Il 75° di fondazione della “Virtus et Labor” (1981).
14. Vincenzo Bettoni nel centenario della nascita (1981).
15. Storia di Melegnano (1984).
16. Meregnàn in dialètt Trenta composizioni letterarie (1985).
17. Natale Boneschi nel 50° della scomparsa (1985).
18. Meregnàn in dialètt. I quattro rioni storici (1985).
19. L’oratorio maschile di Melegnano nella collaborazione amministrativa
      e politica per la libertà e la democrazia (1986).
20. La chiesa di san Rocco e un antico affresco (1987).
21. Cento anni della nostra storia.  L’Oratorio maschile al suo centenario
      di fondazione (1987).
22. Vitaliano Marchini, scultore (1988).
23. Suore Domenicane del Santo Rosario. Cento anni di presenza in Melegnano 1989).
24. Vogliamo  vivere  ancora.  Storia  della  resistenza  melegnanese  al  fascismo e al
      nazismo (1989). 
25. Profilo  della   storia   ecclesiastica   di   Melegnano.  In  “Dizionario  della  Chiesa 
      Ambrosiana”. Ed. NED, Milano 1990. Volume. quarto. pp. 2151 - 2157. 
26. I tempi e le potenze. Il castello di Melegnano (1990).
27. Storia di Cerro al Lambro, Riozzo e frazioni (1991).
28. Preparate la via al Signore. Storia della parrocchia della Natività di san Giovanni
      Battista in Melegnano nel 550° di fondazione della prepositura (1992).
29. Profilo storico della parrocchia “Natività di san Giovanni Battista”  in Melegnano
      nel  suo  sviluppo  di  antichità,  grandezza,  valore  artistico, clero,  consacrazione 
      solenne della chiesa,  studi  e ricerche storiche, entro  il  contesto  amministrativo
      e   politico   nei  secoli.  Pubblicazione   in   ricordo  del   titolo  di   basilica  minore 
      conferito chiesa di san Giovanni Battista in data 19 maggio 1992.
30. Il prof. Agostino Reati, in collaborazione con il maestro Marco Marzi (1993).
31. Il dialetto melegnanese. Pronuncia, origini, forme, scrittura. Antologia (1993).
32. La “Deposizione di Cristo” nella chiesa dei santi Pietro e Biagio, popolarmente
      detta “Caragnòn de san Péder” (1993).
33. I Carmelitani a Melegnano (1993).
34. Melegnano, terra di san Carlo Borromeo (inedito).
35. Melegnano nella fotografia storica (1998) in collaborazione con Ernesto Prandi.
36. Santa Maria dei Servi. La storia di ieri e di oggi nell’ex convento e nella chiesa 
      a lei dedicata (1984).
37. Cento anni: la Casa di Riposo in Melegnano 1894 - 1994,  in collaborazione con 
      Ernesto Prandi (1994).
38. Due  dipinti  riportati  alla  luce.  In  collaborazione con  Carol  J. Modica.  A  cura 
      del  Rotary Club Melegnano (1994),
39. Il cuore e la legge. Giovanni Angelo Medici, papa Pio IV (1995).
40  Profilo storico dell’agricoltura nel Melegnanese. Dall’antichità romana ai primi
      decenni del ‘900.  In  “Dalla  Festa  del  Perdono di Melegnano  una  speranza   per 
      l’Europa”.  Numero Unico a cura della USSL N. 56 e Comune di Melegnano(1995).
41. La battaglia del Portone dell’ 8 giugno 1859. (1998).
42. Aspetti della vita rurale a Vizzolo Predabissi attraverso i secoli (1998).
43. Dizionario biografico dei Melegnanesi (1998).
44. Presenza e testimonianza della comunità melegnanese negli anni del Giubileo con
      Guida storica artistica della basilica della Natività di S. Giovanni Battista (2000).
45. Vie e piazze di Melegnano (2000).
46  Storia della letteratura melegnanese (2000).
La sua attività storica attualmente continua, nei limiti del tempo e della disponibilità. Comunque, ogni suo lavoro storiografico è depositato presso l’archivio della basilica della Natività di san Giovanni Battista in Melegnano, presso la Pro Loco Melegnano e presso la Biblioteca Civica Popolare di Melegnano.

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