I Contemporanei
Ad aprire l’epoca contemporanea è Maria
Assunta Pogliaghi (1916-1987). Allieva di
Francesco Flora e di Pietro Scazzoso. Giornalista, ha collaborato al giornale
“L’Italia” e al giornale “L’Avvenire”. Ha pubblicato nel 1965, presso gli
Editori Daverio, il libro di argomento storico: “Canto
per i Caduti della Battaglia dei Giganti”.
Tra i primi esordi poetici stanno le 14 quartine in endecasillabi, con
rima alternata, dal titolo Reginaldo Giuliani,
una composizione in memoria del frate domenicano padre Reginaldo Giuliani,
primo cappellano militare caduto in Africa Orientale nel febbraio 1936,
durante la conquista dell’Impero. Il tono della lirica è di forte
patriottismo, con una vena di retorica che non guasta, dove si avverte
chiara la preoccupazione di voler usare la poesia per l’esaltazione
sincera di gesta eroiche. Si considerino i versi seguenti:
O puro eroe, purissimo Italiano,
Novello fior di nostra razza pura,
Caduto sotto il bel cielo africano,
Il sangue tuo sarà una fioritura
Di santi, di guerrieri, di pionieri,
Che col nome d’Italia altero e santo
Daranno luce ad ideali veri.
Salve, o fratello nostro, o nostro Vanto! |
La guerra d’Africa del 1935-1936 fu l’occasione per
altre composizioni liriche della Pogliaghi. Del resto, questa guerra aveva
sollevato grande entusiasmo tra gli Italiani, ed anche tra i Melegnanesi.
Togliamo dalla cronaca di allora (“La Campana”, giugno 1936, pag. 13) una
interessante notizia: “Anche la nostra Melegnano
ha vissuto intensamente le ore epiche e gloriose della Patria. Il popolo,
accorso il due ottobre alla voce del Capo, ne aveva raccolto il comando
e per sette mesi ha vissuto ogni momento della grande impresa, nella disciplina
e nell’entusiasmo, seguendo con passione le fulminee, travolgenti tappe
della vittoria, orgoglioso e trepidante per i numerosi suoi figli e fratelli
legionari in Africa Orientale. Ed all’avvicinarsi della grande lieta certezza
che poneva fine alle preoccupazioni e coronava le più grandi speranze,
i Melegnanesi sono accorsi compatti e si sono ammassati nella piazza Vittorio
Emanuele nella sera del cinque e del nove maggio per salutare la Vittoria
e l’Impero e per rispondere e giurare il loro “sì” al comando del
Duce. E l’esplosione di entusiasmo e di patriottismo ha avuto degna manifestazione
la Domenica 10 maggio. Attorno alle autorità e alle Istituzioni
del Partito si sono raccolte le Associazioni combattentistiche, le Associazioni
Cattoliche, i Gruppi Aziendali del Dopolavoro, ed in breve ordinato corteo
si sono recati alla Prepositurale dove, nella solennità dei riti,
venne intonato da Monsignore il “Te Deum” di ringraziamento cantato a viva
voce dal popolo, chiudendo con la Benedizione Eucaristica per invocare
benedizioni ed aiuti sulla nostra Patria e sulle nuove fortune”.
Alla luce di questi avvenimenti si intende anche, della Pogliaghi, una
lirica dal titolo Nuovo Fiore,
che è il nome della capitale dell’Abissinia, Addis Abeba. E’ una
breve lirica che, poeticamente, sta tra le migliori della nostra poetessa,
e che fu composta nel maggio 1936. Leggiamone l’inizio
Da ruina immane Addis Abeba uscivi
Pura alla nuova vita... ché nel
Battesimo delle fiamme eri passata.
E già le monche tue braccia, tendevi
Con passione viva
Con lo slancio supremo
Di chi morir non vuole,
Ai legionari bronzei nel sole.
E fra i leggiadri eucalipti in fiore
Che t’incoronan come una fanciulla,
Un brivido passò: era stupore!
Nella raccolta delle sue poesie, una raccolta
che Maria Assunta Pogliaghi ha chiamato Frammenti
di un tutto, apparsa nel 1983, vi è
la piena espressione poetica di una personalità che si rivolge alle
creature con forti messaggi etici, ma anche si concede la confessione delle
sue intimità. Ecco un esempio nella lirica Vanno
di corsa:
Vanno di corsa
i miei pensieri bradi, nessuno -
li può imbrigliare - nessuno -
neanche la morte allora
li fermerà.
Nella raccolta Parole a Maria troviamo l’intimo
canto dell’anima, le attestazioni dell’affetto filiale per la creatura
evangelica della madre di Cristo, nella modernità della forma, nelle
vibrazioni e suggestioni ineffabili. Maria Assunta Pogliaghi era
attenta agli avvenimenti locali nei quali sapeva trasfondere la sua
sensibilità poetica. Vale per esempio la poesia composta in occasione
del rifacimento strutturale nuovo del ponte sul Lambro:
Un fiume d’acqua, un fiume di persone -
e risale nel tempo la memoria:
vicende varie, di dolore o buone,
giorni di pianto e turbini di gloria.
Qui la zona romana, qui l’antico
guado - Savina, i martiri, i guerrieri,
qui Barbarossa - e Pio quarto amico
col “Perdono” e ideali grandi e veri.
L’acqua ricorda i messi spaventati
da Bernabò - e il periodo vitale
dei Medici - Napoleone - e amati
giorni di giugno - e l’eco musicale
delle campane del “bel San Giovanni”
Dio, la pace: civiltà che vale.
Una vita per la poesia e per la pubblicistica
è stata dedicata da Piero Pogliaghi,
morto nel 1989. Dopo aver frequentato la Facoltà di Lettere a Milano,
prese parte negli anni cinquanta alla rivista “Il Castello”, dove ebbe
la redazione artistica per la poesia e per la pittura. Fino a questo periodo
e poi per tutta la vita, la sua fiamma fu la poesia.
Pubblicò nel 1965 un libro edito dall’editore
Rebellato di Padova, dal titolo E’ tempo di
partire”. Vinse due volte, nel 1978 e nel
1986 il premio “Ada Negri” a Lodi. Ricevette lusinghieri giudizi di critici
valenti, quali Giancarlo Gramigna e Piero Scazzoso ed ebbe la fortuna
di conoscere Eugenio Montale che molto lo apprezzò. Collaborò
come giornalista a “La Notte” di Milano, scrivendo pagine di critica d’arte
e interviste di cultura e anche con articoli di diversa estrazione che
manifestavano una franca formazione filosofica e religiosa. Passò
poi a collaborare su “L’Italia” e infine su “L’Avvenire”, rimanendovi qui
per parecchi anni fino a quando la malattia lo colpì la prima volta
nel 1981. Si rese disponibile anche a scrivere sul quindicinale locale
“Il Melegnanese”, sul quale pubblicò alcune sue poesie. Molto
materiale giace presso il fratello Giuseppe, un materiale di tutta la sua
attività poetica ancora inedita e che certamente varrebbe la pena
di portare all’attenzione degli studiosi e della critica ufficiale. Si
legga attentamente la seguente poesia, dove in estrema sintesi sta la poetica
di Piero Pogliaghi:
Come lasciamo parte di noi stessi
in ogni cosa
e quanti luoghi
ci rapiscono un gesto -
un passo - una parola
per ridarceli - intatti- dopo morti,
dove si nota l’estrema essenzialità del
pensiero che racchiude vita e morte e dove sembra di avvertire il grido
del poeta latino Orazio: Non omnis moriar, non voglio morire del tutto.
Maria Biglia Gandini,
vivente, è una valente scrittrice che ci ha dato un’impronta
magistralmente pregevole nella poesia. Nata a Melegnano, si è laureata
in Lettere Classiche all’Università di Stato di Milano. Si è
impegnata in attività nel campo dell’educazione, dell’insegnamento
scolastico e nei settori sociali e culturali. Il suo interesse è
stato rivolto alla prosa, alla critica, alla saggistica. Ma la raccolta
poetica dal titolo Amore
rimane tra le produzioni di alto livello nella letteratura melegnanese.
Il libro delle sue poesie dal titolo Amore è stato stampato nel
febbraio 1980 e ha una presentazione (alle pagine 9-10) della professoressa
Rosangela Restelli che su Maria Biglia Gandini, tra l’altro, scrive: “La
sua poesia risuona di motivi etici e dell’amore per la natura e la gente:
bambini e vecchi, che ricongiunge in armoniosa simbiosi, e figure”.
La Restelli distingue i brani poetici secondo due periodi della vita dell’autrice,
quelli scritti prima della morte del suo compagno di vita (Giuseppe Gandini)
e quelli scritti dopo quel terribile battesimo del dolore che è
la morte, la separazione, la “cognizione del
dolore più profondo”, che ha segnato
però una crescita qualitativa e un affinamento del suo sentire.
Una sua composizione è la sintesi della gioia e della tragedia.
E’ quella dal titolo Più Nulla:
Io,
una lampada
luccicante
abbagliante
perché tu mi accendevi:
Io,
una fontana
d’acqua viva
dissetante
brillante perché tu eri la mia vena.
Ed ora, senza di te,
la fontana si è disseccata
la lampada si è smorzata
Io,
senza di te,
più nulla.
Sono, dunque, 57 composizioni poetiche che ci
immergono nella vasta problematica della vita soprattutto affettiva.
Stanno davanti a noi liriche “tenere, delicate,
leggere, incantate” (Restelli) come mattini
luminosi di vita primaverile, anche se in esse si avvertono lontani soffusi
echi ancestrali di sofferenze umane, quasi per ricordare il verso virgiliano
nell’Eneide. “Sunt lacrimae rerum”, ogni realtà umana ha in sé
un germe di brezza dolorante. Il sentimento vitale, gioioso o di
crudezza esistenziale, che la Gandini esprime, ha il supporto linguistico
ricco e con il ricupero dei suggerimenti della retorica. Vi si nota,
molte volte, la voluta successione di vocaboli incalzanti, come nella poesia
Settembre:
Rondini rondini
nel cielo
di settembre
vi chiamate
vi allontanate
vi radunate
ve ne andate
via,
via, lontan, di là dai monti
di là dai mari.
Manca ancora, per la conoscenza della fatica
letteraria della Gandini, uno studio sulla sua produzione in articoli su
riviste e in saggi culturali, quasi certamente di alto valore contenutistico
e di sicuro buon livello espressivo. Già nelle sue poesie, infatti,
noi avvertiamo ricchezza di contenuto, proprietà di linguaggio,
chiarezza espressiva.
Di elezione melegnanese fu Roberto
Aurelio Pozzi, nato a Sant’Angelo Lodigiano
da Gerolamo e da Maria Gnocchi, ma venuto giovanissimo a Melegnano.
Il padre a Melegnano esercitava l’arte della lavorazione del cuoio. Aurelio
Pozzi divenne maestro delle scuole elementari e successivamente professore
di magistero, fino ad essere nominato direttore della Regia Scuola di Avviamento
al Lavoro in Melegnano nel 1943. Era iscritto al Partito Nazionale
Fascista e fu nominato membro del Consiglio dell’Opera Nazionale Balilla,
una istituzione fascista che divenne poi Gioventù Italiana del Littorio.
Quando cadde il fascismo il 25 aprile 1945, Roberto Aurelio Pozzi fu portato
in carcere dove rimase per oltre un mese, ma non fu deportato in campo
di concentramento e fu lasciato libero. Morì a Milano il 1°
novembre 1983 per una grave malattia polmonare. Pozzi fu fecondo scrittore
di prosa e di poesia, con diverse composizioni apparse su “La Campana”,
una pubblicazione mensile edita a Melegnano. Tra le sue composizioni in
prosa sono eccellenti le descrizioni dei mesi, con uno stile ricco di aggettivi
felici, con un cursus rethoricus ricercato, chiaro e di vasto respiro
culturale. Ma il nostro autore si espresse anche nella composizione
di poesie, dove sta la bravura delle descrizioni di piccoli graziosi bozzetti
popolari. Si osservi la seguente poesia, dal titolo Ave
Maria!
Ave Maria! Dalle valli infide
lenta e solenne l’ombra sale ognora,
grave si spande il suon della sonora
squilla, là, dove il gufo tetro stride.
Ave! Donzella sorridente scende,
canterellando, lungo l’aspra via,
balzando e rotolando i sassi, e spia
l’amica, che di fiori, un mazzo tende
nel tabernacol, alla Madre inclita.
Ave! Il villan la zappa a terra pone,
piega il ginocchio stanco, e, il viso alzato
al ciel che in suo sospir seral invita,
lieta la voce innalza e in Lei ripone
ogni sua speme, il capo scoperchiato.
Il Pozzi si dimostra studioso e buon conoscitore
delle opere della nostra letteratura italiana, in modo particolare sembra
volersi esprimere sui canoni della grande poetica pascoliana. Eccone un
esempio nella poesia dal titolo In morte del
mons. Davide Rossi, che è del gennaio
1933, e di cui ne trascriviamo i versi 22-30:
Laggiù, fra le brume, risplende
la bianca pupilla
di una finestra,
che ombre indistinte l’oscura;
là tutto, ne’l sonno de l’umida notte,
esprime la calma
che ultima grava l’umano,
e il muto silenzio che lento si spande
è tutto un segreto.
Ci troviamo, dunque, davanti a un nostro scrittore,
non proprio melegnanese, ma di elezione melegnanese già dai primi
anni della sua gioventù, che bisognerebbe meglio studiare, raccogliendo
più e meglio le sue composizioni letterarie. Certamente potremo
scoprire altri aspetti di più vasta e preziosa conoscenza nella
poesia e nella saggistica. Tuttavia occorre ricordare che Roberto Aurelio
Pozzi espresse con prosa forte la sua passione politica fascista. Basti
ricordare che nel 1939, nei giorni 6-10 aprile, si tenne a Melegnano la
Mostra Coloniale, a cura della Sottosezione Fascista per l’Africa Orientale,
di cui il Pozzi era presidente. Nell’opuscolo di illustrazione della mostra
egli ne fa la presentazione, nella quale sono chiari gli accenti di una
sincera e profonda fede politica:
L’Italia ha ormai sorpassati i tempi dell’afosa
quiete di
un giorno di tempesta, sono ormai spariti gli uomini deboli
che potevano pensare al riposo tranquillo sopra un cartoccio
di quella che fu una foglia di alloro; ora è venuto il tempo
di una rinascita che non è soltanto coloniale ma imperiale,
ora dobbiamo valutare i nostri interessi coloniali nella loro
imprescindibile importanza.
Sono finiti i giri di valzer, come giustamente ha detto il Duce,
perché ormai l’Italia non può più accontentarsi di
sporadici
accordi fra una nazione solo ieri nemica, di deboli amicizie
mutate a mutar di vento; oggi sappiamo soprattutto che al
di sopra dei cosiddetti amici vi sono i nostri vitali interessi,
sappiamo che il nostro popolo di volonterosi e di lavoratori,
di conquistatori soprattutto, ha diritto al suo campicello in
terra propria, ha diritto di alzare il capo con fierezza, perché
ben può guardare in faccia a tutti, giacché sparuta è
l’opera
di coloro che oggi si vantano di tanto aver compiuto, nei
confronti della grande attività fascista.
Aristide Arioli
(1922-1995), missionario francescano cappuccino in Brasile, costruttore
di numerose opere sociali, colà residente per 42 anni, scrisse tre
libri di forte sostanza nel settore dell’etnologia. Nei suoi scritti egli
si è preoccupato di dare un’analisi non tanto scientifica, ma piuttosto
storica del proprio oggetto di studio, le tribù primitive degli
Indios delle foreste brasiliane del Maranhão a Montes Altos.
Venne stampato nel 1961 il suo primo libro dal titolo Danze
sacre nella steppa. In quest’opera le note
su quei popoli, come si scrive nella Prefazione: “non
sono stese da uno scienziato che studia con fredda e staccata oggettività
un mondo così strano per noi europei, ma da un missionario, che
insieme con l’impegno di portare il Vangelo, nutre, con distinta felicità
di intuito, il desiderio di penetrare nella vita di questo popolo, ignorato
e antichissimo. "
Dopo aver parlato dell’ambientazione, ecco la
descrizione dei villaggi, degli uomini e donne Indios e dei loro caratteri
morali, i loro usi e costumi, il tipo di lavoro e soprattutto le riflessioni
filosofico-morali sulla vita dei selvaggi. In appendice sta anche una carta
geografica molto interessante. La descrizione, che occupa 236 pagine, è
minuziosa, ricca di infinite curiosità popolari, una descrizione
per la quale non è stato un facile lavoro. Leggiamo un brano a pagina
130: "E’ duro e faticoso recarsi nella aldée
degli Indi, ma è ancora più difficile soffermarsi tra loro,
parlare e bonariamente scherzare, interessarsi della loro vita. Per meritarsi
affetto e confidenza, condizione essenziale per poterli guidare al Bene,
sono necessari una infinita pazienza, molta carità e un grande spirito
di sacrificio.
Occorre abbassarsi con semplicità,
farsi uno di loro, mantenendo intatti i propri princìpi
di fede e di condotta. Il cercare di intenderli bene con calma, con perspicacia
e intuizione, è lavoro di psicologo e di naturalista”, perché
l’Indio “ora è ingenuo e bonaccione come un bambino, ora fiero e
istintivo come una belva...”. Nel 1966
esce il secondo libro dal titolo La foresta
chiama con il sottotitolo di Uomini primitivi,
di pagine 135. Qui gli Indios sono studiati e descritti in tutta la loro
personalità, la loro vita privata e tribale, le loro cosiddette
superstizioni. Sono quadri della vita quotidiana pieni di rilievi e di
notizie, e perfino con l’informazione sulle nozioni di medicina indigena.
Ma sullo sfondo di tutto il libro sta sempre la vita del missionario che
crea, si adatta, propone, suggerisce in ogni occasione, dopo aver osservato
e cercato di capire un altro mondo umano, tanto diverso dal nostro mondo
europeo. Lo si legge a pagina 17, quando padre Arioli scrive: “La
Divina Provvidenza dispose che io fossi destinato a questo lavoro
duro, urgente, privo di soddisfazioni e richiesto ormai da secoli dalla
nostra coscienza...”. Nel 1993 esce
il libro, dal titolo Livro de Tombo,
(cioè: registro che raccoglie fatti, avvenimenti, eventi, riferiti
ad una regione, provincia, parrocchia, località, comunità,
ecc.), stampato in Brasile e in lingua portoghese, di pagine 203. Questo
volume, con interessanti illustrazioni fotografiche, si riferisce
specialmente all’ospedale “Casa Pontificia Alìvio do Sofrimento”
e la sua storia dalla fondazione. E’ la storia di un complesso ospedaliero
costruito da padre Arioli, con clinica medica di 55 letti, clinica
pediatrica con 20 letti, clinica ostetrica con 15 letti, clinica
chirurgica con 9 letti, settore isolamento con 1 letto. Nel 1992
questo ospedale ebbe 242 ricoverati.
Il professionista architetto Gianluigi
Sala (vivente), accanto alle sue numerose
presenze progettuali come architetto in Melegnano e in altri luoghi, si
segnala per l’impegno culturale e come scrittore. Già negli anni
giovanili incominciò ad interessarsi, con lunga insistenza, della
situazione della chiesa di Santa Maria di Calvenzano, facendone conoscere
la storia, descrivendone il degrado strutturale, cercando consensi per
i lavori di riparazione, organizzando prestigiose iniziative ai fini di
una concreta comprensione la più vasta possibile. Un ulteriore
merito culturale sta nell’aver assunto la ripetuta presidenza di “Melegnano
Cultura”, un’istituzione che aveva come scopo l’organizzazione delle attività
culturali e che aveva raccolto l’adesione di quasi tutti gli intellettuali
di Melegnano. Gianluigi Sala fondò “Il Melegnanese”, il periodico
quindicinale di informazione della nostra città, il primo strumento
culturale giornalistico alla portata di tutti e che è tuttora fiorente,
di cui il Sala fu direttore per tanti anni. Si deve ascrivere al
Sala la fondazione di “Radio Melegnano”, una voce quotidiana che arrivava
in tutte le case e che presentava buoni programmi radiofonici di vasti
interessi. Sala era scelto anche come commissario nelle commissioni esaminatrici
dei vari concorsi culturali e artistici. La sua presenza si estese
pure nel settore politico, sia come consigliere comunale di Melegnano sia
come consigliere alla provincia di Milano. Questa sua intensa attività
non gli impedì di tenere in mano la penna dello scrittore: i suoi
articoli su “Il Melegnanese” emergevano per spiccata visione critica
alle diverse realtà vecchie e nuove della nostra società.
Ma in modo particolare tre sono i lavori letterari, a forte tinta storica
e urbanistica, per cui Sala, oltre ad altri scritti, va considerato
nella nostra letteratura melegnanese. Un primo grosso lavoro letterario
fu la compartecipazione e la presenza fattiva nel Comitato di redazione
per la stesura dell’opera dal titolo Il Territorio
del Rotary di Melegnano, un libro, oggi raro,
di 187 pagine, edito nel dicembre del 1969. E’ lo studio dei 20 Comuni
del territorio del Rotary Club di Melegnano. Un prezioso libro per il quale
Gianluigi Sala stese la pagine sulla corografia, sulla popolazione, sull’urbanistica,
sulle infrastrutture e servizi, e sulla ricreazione. Un secondo
lavoro da evidenziare è il denso lungo articolo apparso sul “Bollettino
della Banca Popolare di Lodi”, dei mesi settembre-dicembre 1986, alle pagine
24-30, dal titolo L’armoniosa vitalità
di un centro dal fascino discreto, dove si
coglie una chiara e ricca sintesi della storia di Melegnano, quella dei
grandi eventi e quella della quotidianità. E finalmente ecco
una parte sul primo volume della monumentale storia di Lodi, apparsa su
tre grossi volumi in occasione del 125° anno di fondazione della Banca
Popolare di Lodi. L’opera dal titolo Lodi
- La storia vede l’architetto Gianluigi Sala
come collaboratore per la parte dal titolo Lodi, il tessuto urbanistico,
dalla pagina 427 alla pagina 445, con illustrazioni e cartografie
illustrative.
Ricca di accenti intimi e luminosi di sentimento
sono gli scritti poetici di Anna Maria Sarchi
(vivente). Una delle sue raccolte è
quella - per noi assai significativa - del 1989 che comprende poesie dai
vari titoli: Se, Frammento di Natale, Io corro, Sera d’estate,
Una donna, Tempo, Per te. Arieggia in un
clima dolcemente nostalgico, a volte anche sulla scia del grande Giacomo
Leopardi, la poesia dal titolo Sera d’estate. Ascoltiamola:
Chiara è la notte
e il cielo d’estate,
ed io, silenziosa,
cammino piano piano.
In soffice veste
e gaio sorriso
mi scopro tornare
bambina a sognare.
Castelli di sabbia
vele incantate
mari azzurri
cieli lontani...
In riva al mare
mi fermo a guardare:
impronte dei piedi
su sabbia liscia
svaniscono presto
con l’impeto dell’onda.
E’ una dolce canzone
il rumore del mare,
è un invito a pensare,
a danzare, a perdersi nel tutto...
mentre il vento fresco
di questa notte d’estate
s’alza leggero
e asciuga, timidamente,
dal mio volto, una lacrima.
Nelle altre composizioni trovi il desiderio,
a volte struggente, si uscire da una solitudine quasi esasperata, come
se l’eremitaggio dello spirito crei sofferenza ai giorni terreni. Avverti
una smania, delicata ma forte e insistente, di trovare e sentire la presenza
necessaria di un altro capace di colmare un vuoto
persecutore e placare l’assillo di un “mare inquieto e triste”, simbolo
chiaro di una vita intrisa di “profonda solitudine”. Si mediti,
con calma e con una rilettura attenta, la poesia dal titolo Tempo,
e si potrà cogliere la corsa “alla ricerca dell’altro” nella fase
iniziale e l’arrivo soddisfatto dell’incontro umano:
Sono in corsa con le ore
bramo la notte
che non mi fa pensare,
anniento l’essere
divoro il tempo spietato
con frenesia assurda
perché sono senza di te.
Accarezzo ogni istante
assaporo lenta, i minuti,
il mio essere vive,
colgo ogni momento
di questo tempo gentile
perché ora
sono con te.
Un’altra robusta feconda scrittrice è
Maria Rosa Schiavini
(vivente). Dice di sé: “Amo leggere
e scrivere da sempre; questa passione mi è stata trasmessa da mia
madre. Un ricordo vivo della mia infanzia sono i libri rilegati in cartone
blu con il marchio della Biblioteca, un altro ricordo è la
gioia per i premi ottenuti dai miei componimenti scolastici... Ho coltivato
questo giardino, mi sono innamorata delle parole, di ciò che si
poteva rivivere e trasmettere con un foglio qualsiasi e una biro...”.
Undicenne, scrive la sua prima poesia. A sedici anni partecipa con due
testi a un Concorso Nazionale vincendo il primo premio e la pubblicazione
sull’Antologia Poeti e Novellieri di oggi e di domani (Edizioni del Cavalluccio,
Milano). Una delle due poesie vincitrici viene musicata e riprodotta in
un 45 E.P. con l’accompagnamento del complesso “Happy Day”, per la Casa
Discografica Il Discobolo. Collabora regolarmente per alcuni anni,
con poesie e pezzi di costume, a un periodico edito da un’ importante industria,
ottenendo buone critiche, in particolare dal poeta Alberto Cavaliere, del
Comitato di Redazione. Partecipa nel 1986 al Premio di Poesia “Clemente
Rebora” con cinquanta testi e con giudizi positivi. Poi, per un certo periodo,
non sente il bisogno di pubblicare: scrive per se stessa, avverte l’esigenza
di una sosta, di una nuova crescita che le faccia guardare il mondo e cercarne
le radici, stanare la sofferenza e amare comunque la vita. Nasce da ciò
un racconto: Io e l’Arcangelo, che segna una nuova
e significativa fase della sua attività. Ecco un giudizio
espresso su questo testo, al quale è stato attribuito il secondo
premio nel concorso “Città di Varese” nel 1985: “(...)
L’autrice incentra il suo lavoro in forma misurata, compiuta, senza nulla
concedere alla retorica. I suoi sono tratti rapidi, sincopati, non privi
comunque di quella essenzialità che la vita, giorno dopo giorno,
incide nell’essere affinché trovi la forza di una continuazione
nel proprio discorso vitale. Lavoro che non sfugge altresì a un
sommesso esistenzialismo”. Inizia, quindi,
una collaborazione costante con la storica testata cittadina “Il Melegnanese”
e con la rivista “Il Foglio” dell’Associazione Internazionale Amici dei
Bambini (AiBi), della cui redazione entra a far parte. Come rappresentante
de “Il Foglio” partecipa a numerosi congressi internazionali alla Cittadella
di Assisi, nei quali vengono ampiamente dibattuti, con l’apporto di personalità
di primo piano, i problemi dell’infanzia. Ecco, quindi, l’impulso a scrivere
favole (qualche titolo: La storia di Belinda,
La montagna azzurra,
Il palloncino rosa,
Nerofumo) pubblicate
sulla rivista e che otterranno altri riconoscimenti. Su “Il Melegnanese”
vengono pubblicati i seguenti testi: Io e
l’Arcangelo,
I giorni del lilium,
Angelo custode,
C’era una volta,
Margherita, La
casa dagli occhi di luna,
Il fiume, La
città,
La Casa vecchia,
La bottega delle parole,
La sposa, Una
pagina per Anna. La lirica Angelo custode
è vincitrice del premio speciale di Poesia nel Concorso Internazionale
“Pisaurum d’Oro”, e i racconti sono stati tutti singolarmente vincitori
del primo premio per la narrativa nei diversi Concorsi Annuali Nazionali
“Fanum Fortunae”, dei quali ha dato notizia la stampa a livello nazionale
(“Il Resto del Carlino”, “L’Avvenire”). Il racconto C’era
una volta è stato inserito nel volumetto
dal titolo C’era una volta il Natale realizzato nel 1993 a cura del Centro
Culturale della Parrocchia prepositurale della Natività di San Giovanni
Battista in Melegnano. Ecco una sintesi della recensione, a sigla del direttore
prof. Nino Dolcini, alla presentazione di Io e l’Arcangelo pubblicata su
“Il Melegnanese”: La prosa dell’autrice è
agile, nervosa, sicuramente moderna e padrona del lessico. Io e l’Arcangelo
non racconta una vicenda, una trama, ma porta in superficie sottili meditazioni
e stati d’animo, avvolti in un’atmosfera un po’ surreale, eppure intrisa
di tensione religiosa.". A partire dal
1997 nasce dalla penna della Schiavini un nuovo personaggio, Adalgisa,
le cui vicende trovano spazio tuttora sulle pagine de “Il Melegnanese”.
Ed ecco il giudizio espresso dal noto critico e narratore Gian Franco Grechi:
“ E’ Adalgisa l’eroina di un diario che si
snoda di volta in volta costituendo un appuntamento sicuro. Una donna avanti
negli anni, osservatrice del mondo che la circonda con gli occhi sgranati
per l’intensità dell’attenzione o per la meraviglia”.
Dal 1999 ha inizio anche la collaborazione, a livello di Comitato di Redazione
e di pezzi a carattere sociale, con la rivista “I Fratelli Dimenticati”
che si occupa di problemi dell’infanzia nel Terzo Mondo. La Schiavini
ha prestato per molti anni la sua opera nell’amministrazione dell’Ospedale
Predabissi di Vizzolo Predabissi, in provincia di Milano. Si era nel frattempo
iscritta alla Facoltà di Lettere Moderne dell’Università
degli Studi di Milano, che tuttora frequenta con forte motivazione a conoscere
e imparare. All’inizio del Terzo Millennio è pronta
a continuare come sempre: ama lo scrivere pulito, secco, stringato, ama
la parola povera e al contempo levigata e cercata e, spera, autentica.
A modo di esempio, si legga e si rilegga la seguente poesia, dove, non
subito appare ma è potentemente presente il contrasto tra la forza
della natura eterna immutabile nei suoi aspetti e la creatura umana effimera
e di poco tempo esistenziale:
Piove
L’acqua scroscia violenta
e mette gioia,
e corre con baldanza sull’asfalto.
Incurva gli alberi
antichi servitori
pronti al richiamo.
E il lampo
vecchio mago,
esplode rovelli d’alchimia
a far spavento.
a uomini sospesi, senza storia.
Autrice di pura lirica amorosa si presenta Adriana
Belloni (vivente). Si è dedicata particolarmente
alla poesia già dagli anni della scuola media. Sulla rivista “Confidenze”
ha esordito ed ha pubblicato le sue composizioni nella rubrica “E’
nato un poeta”. Il tema principale che
emerge dalle sue liriche è l’amore, sentito ed espresso, sperimentato
e analizzato perfino nelle più sottili sfumature esistenziali. Amore
che è freschezza dell’animo, che è risveglio della giovinezza,
incanto e rapimento. Ma anche amore che è malinconia, ansia turbante.
Di qui, gli estremi dei sentimenti contrastanti: lusinga paradisiaca o
inganno. Adriana Belloni stende tocchi melodici delicati fino al
melodramma intimo, mai urlante quando la passione amorosa è tradita,
ma sente lo sdegno per alzare la voce quando il cuore desidera. Il profilo
del suo “amante” non è mai stagliato e nitido, ma è sfuggente
e velato di crepuscolo: è la creazione poetica di una innamorata.
I pensieri della Belloni si esprimono ora con delicatezza ora con forza,
in uno stile espressivo piano, apertamente autobiografico e proprio di
chi ha la naturale tendenza ad una confessione poetica limpida e senza
enfatiche o torbide palpitazioni linguistiche. Si veda la poesia dal titolo
Ingenuità:
Portavo con felicità
e ingenuità
quel che tu mi hai detto
che si chiama amore.
Poi con quel tuo “io”
ti è bastato un gesto,
una parola
per lasciarmi delusa.
E’ sempre forte il presentimento che la
gioia della conquista affettiva ed il possesso amoroso abbia sempre una
contrapposizione, un momento pensoso che debba smorzare l’entusiasmo dell’animo.
Si legga la poesia Storia d’amore:
Lo so che forse è meglio,
ma io stento a crederci:
forse sarà un sogno.
E magari mi sveglierò,
riderò per quello che ho sognato.
Ma le lacrime sulla pelle
mi bruciano.
E allora capisco che
stare insieme
è finito per noi.
Oltre ogni poetica della massiccia tradizione
Ottocentesca e del Primo Novecento sta Guido
Oldani (vivente). Nato nel 1947, divide la
propria attività fra problemi scientifici e poesia. Collabora con
articoli alle riviste di Shering Editore. Ha scritto interventi di critica
estetica su “ Arte Italiana nel Mondo”. E’ autore di una visualizzazione
poetica (Edizioni Linati). Ha operato alla RAI come autore di poesia e
commentatore critico. Suoi testi sono accolti dalle riviste “Incognita”
e “Bagordo”. E’ inoltre uno dei curatori della rubrica di poesia contemporanea
sulla rivista “Psychopathologia”. Su di lui e sulla sua opera hanno
scritto e tuttora scrivono in molti. Il nostro primo e continuo approccio
con Oldani è stato attraverso “Kamen’„ una rivista semestrale
di poesia e di filosofia del maggio 1991, che espone Oldani nelle pagine
41-100 e da noi maggiormente meditate sul commento di Luigi Commissari.
nelle pagine 43-63. Ecco quanto osserva il Commissari: “Il
poeta Oldani proclama che non bisogna infoltire i versi di parole, magari
per arrotondare un endecasillabo; bisogna stringere in brevità la
folla dei sogni, sia pure col rischio di ricevere l’accusa di poeta
oscuro. Due sono i propositi. Anzitutto la concisione ad ogni costo, pur
con il rischio - di fatto non sempre evitato - di oscurità. La riga
più nuda possibile di parole diventa il filo attorno al quale è
il labirinto di questa vita. Il secondo proposito è la sfida a non
“ridire”, ossia a non ricalcare la tradizione, a marciare sul tragitto
della novità. Per questo, Oldani, come strumenti della sua espressione,
vuole spigolare il raro e l’antico, cioè ecco parole con diverso
significato che avevano nel passato aureo, con procedimenti di omissioni,
con aggressività del lessico al punto da inventare i verbi, oppure
da dilatare i verbi intransitivi a verbi transitivi, sempre con l’intento
innovativo. Sono questi alcuni nostri accenni della grande ricchezza delle
novità linguistiche, che Oldani celebra e usa nelle sue composizioni.
In una parola, il programma di Oldani è quello di una innovatrice
incisività”. Quando ci si accosta
alla lettura delle poesie di Oldani, vi troviamo annotazioni morali, talvolta
cariche e dolorose. Ed ecco anche la stringata sintesi nei frammenti di
storia, di mito e di mondo. Altre volte la conclusione di lampo etico plana
in sarcastica ironia. E vogliamo lasciarci da Oldani (ma la sua immensa
opera meriterebbe ben altro commento) con una sua poesia, come uno dei
testi più illuminanti:
Sempre perenni verdi
stavolta proni proprio
per l’impreveduta neve;
groviglia accanto astuto
l’acquoso pioppo setacciante
e loro loro
slittanti i due l’oceano
in condominio bianco
osano fino non oltre
alle colonne d’Ercole
recanti nomi e campanelli.
Anche noi (voi)
si è contenuti in un cortile dentro
e non per gioco
per qual ragione ignota non uscendo. |
Due pini insieme con il pioppo, nel prato del condominio,
sono carichi di neve e agitati come chi stia camminando. In realtà
non compiono nessun passo, non varcano i cancelli. Sono immagine dell’uomo
illuso di uscire, di andare: “Anche noi (voi) / si è contenuti in
un cortile dentro / e non per gioco / per qual ragione ignota non uscendo”.
Si sottolinei il “si è contenuti”: il mondo-cortile ci tiene dentro
lì dove siamo piantati e noi stessi ci teniamo piantati, non
si esce dal giro di sguardo che abbiamo. E non è un gioco, ma legge
inflessibile. Tuttavia, la stagione forte del poeta Oldani è rintracciabile
nella raccolta che va sotto il titolo generale Stil
nostro, apparsa nel 1985, nella collana di
poesie Clemente Rebora. Sono qui riunite 52 composizioni che sono introdotte
da una nota di Giovanni Raboni, il quale ci avvisa che per Oldani “la realtà
va di continuo interrogata, riconsiderata: e occorre, per questo, descriverla,
renderla corpo presente - ma per segni veloci, magri, scompiacenti”.
Si osservi la seguente poesia e si coglierà un Oldani, simile in
altre composizioni, che - come umana creatura - ha in sé progetti,
sollecitazioni, voglie (“bucatori come conficcati tarli”), ma che se ne
vanno con una voce che può
essere lamento oppure un grido di rassegnazione
(“quasi miagolando vaporarono di me”).
Ma tuttavia ancora la vita sprizza in qualche
occasione (“splendendo talvolta, in
uno scampolo reale”) che si blocca consolandosi con
un sigaro stretto tra le dita, quasi
come una delle scelte:
Comparendo, bucatori
come conficcati tarli
e quasi miagolando
vaporarono di me
talvolta, in uno scampolo
reale si va
in vicissitudine
e altre poche consone
(per noi) saggezze.
Guido Oldani ha curato l’Annuario di poesia 2000,
uscito dalla tipografia Crocetti e pubblicato recentemente grazie al contributo
del Comune di San Donato Milanese. E’ un volume di respiro europeo e vuole
essere “un omaggio - come scrive Oldani - ad autori del passato remoto,
dei luoghi che contribuiscono alla nascita dell’Annuario”.
Tra i contemporanei si pone, vigoroso nel genere
di letteratura musicale, Luca Bragalini,
vivente. La sua presenza è piuttosto intensa e ben specifica. Egli
ha studiato armonia con il Maestro Ettore Righello (pianista e direttore
dell’Orchestra Rai di Milano) e con lui ha suonato in diverse occasioni.
Ha frequentato i “Seminari Senesi di Musica Jazz - corsi internazionali
di perfezionamento”, studiando teoria, armonia, analisi e musicologia con
Marcello Piras, Stefano Zenni e Giancarlo Schiaffini. Dal 1997 inizia
la collaborazione letteraria con “Musica Jazz”, il maggiore periodico specializzato
per il quale scrive saggi e articoli analitici. Lo studio “Miles
Davis e la disgregazione dello standard” è
pubblicato sul sito internet dell’università del Maryland, raccogliendo
critiche favorevoli da illustri musicologi: “I
downloated your Miles Davis essay. Great work!”,
a firma di Wolfram Knauer, direttore del Jazz Institut di Darmstadt. E
ancora: “I visited your website and was much
impressed with your work” di Andrew Homzy
della Concordia University Departement of Music. Il saggio è più
volte citato nel libro di Stefano Zenni, Herbie Hancock, Jazz, Budda e
funky a 88 tasti, Roma, Nuovi Equilibri Stampa Alternativa, 1999.
In occasione del centenario “Duke Ellington” il nostro Bragalini è
stato promotore e direttore artistico di un’iniziativa culturale
che si è tenuta a Melegnano nel
mese di ottobre e che si è realizzata in una settimana
di celebrazioni del musicista americano attraverso una mostra fotografica,
un’esposizione di dischi da collezione, una conferenza e un concerto. La
rassegna ha ospitato le figure più autorevoli delle fotografia jazz,
della discografia e della musicologia afroamericana oltre a musicisti di
levatura nazionale. E ancora per l’anniversario “Duke Ellington”
Bragalini ha curato per il “Sismografo” di aprile (il Bollettino della
SISMA, Società Italiana per lo Studio della Musica Afroamericana)
la versione italiana degli Atti del Congresso Internazionale di Studi sul
tema “Duke Ellington, oltre le categorie del
Novecento”, Teatro Metastasio, Prato 22, febbraio
1999. E sul medesimo tema Bragalini ha pubblicato alcuni saggi. E dal 1999
Bragalini inizia la sua collaborazione anche con il periodico bimestrale
“Jazz It”. E attualmente è iscritto alla SISMA (Società Italiana
per lo Studio della Musica Afroamericana), e anche al CBMR (Center for
Black Music Research di Chicago). La presenza culturale di Luca Bragalini
a Melegnano è scandita da varie emergenze significative:
Nel maggio del 1997 vince il “Premio Città
di Melegnano per studi e ricerche d’ambito melegnanese”, consistente in
una somma di lire 500.000, con uno studio intitolato “Melegnano e il Rinascimento
Musicale”, un’elaborazione di una ricerca precedentemente condotta per
l’esame si “Storia della Musica Medievale e Rinascimentale” per la DAMS
- Università di Musicologia, con il punteggio di 30 e lode dal professore
Alberto Gallo, docente di Storia della Musica Medievale. Il verbale della
Commissione Melegnanese per l’assegnazione del premio così si esprime
tra l’altro: “...gli argomenti sono approfonditi con la descrizione analitica
chiara e commentata degli affreschi del Castello Medìceo. Il lavoro
è corredato, con una certa ampiezza, oltre che da illustrazioni
esplicative, anche da parti di partiture musicali. E’ evidente uno sforzo
serio, prolungato e meticoloso per far emergere una ricca documentazione
che possa dare ulteriore valore alla ricerca stessa. Del resto tale lavoro
potrebbe essere di somma utilità ai cultori dell’arte figurativa
e della musica”.
Uno degli aspetti della ricerca “Melegnano e
il Rinascimento musicale” venne trattato in una conferenza tenutasi
il 5 dicembre 1999 presso la Palazzina Trombini di Melegnano. Tale conferenza
era parte di una rassegna “Pomeriggi d’Autore”, organizzata dall’Assessorato
alla Cultura del Comune di Melegnano. Luca Bragalini, che abbiamo
già ricordato come promotore a Melegnano del centenario “Duke Ellington”,
come direttore artistico organizzerà nel 2001, in collaborazione
con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Melegnano, una imponente rassegna
incentrata sulla figura del grande musicista Louis Armstrong.
L’attuale storiografia melegnanese è arricchita
dalle opere di don Cesare Amelli,
autore di questa opera storica Storia della letteratura melegnanese.
Cesare Francesco Amelli nasce a Melegnano nel 1924 da famiglia povera e
numerosa. Dopo aver frequentato le scuole medie inferiori e superiori
presso il Pontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano, studia teologia
al Seminario regionale di Fano per scelta del vescovo di origine pavese
mons. Egidio Bignamini. E’ ordinato sacerdote nel 1953. Risiede a Melegnano
come collaboratore della parrocchia della Natività di san Giovanni
Battista. Nel tempo libero si dedica agli studi letterari e storici.
Laureato presso l’Università Cattolica in Lettere Classiche nel
1961, è docente di ruolo al Liceo artistico di Brera in Milano
per circa 20 anni e successivamente passa all’Istituto Tecnico Statale
per Ragionieri in Melegnano. Attualmente, accanto alla sua primaria
attività religiosa parrocchiale, si dedica agli studi e alla pubblicazione
di opere storiche riguardanti Melegnano, arricchendo e dirigendo il prezioso
archivio della parrocchia. Fonda e dirige la trimestrale “Rivista Storica
Melegnanese”, arrivata al suo 30° numero. E’ insegnante del Primo Corso
per Guide Storiche Amatoriali Melegnanesi e insegnante dalla fondazione
dell’Università della Terza Età in Melegnano. Ordina diversi
archivi parrocchiali. Ha ricevuto diverse onorificenze. E’ socio onorario
dei Rotary Club del Distretto 2050 di Melegnano con onorificenza di Fellow
Paul Harris. E’ membro della Società Storica Lombarda. La sua opera
culturale, oltre a molti articoli di natura storica civile o ecclesiastica
su diverse riviste e giornali, e per diversi anni anche su “Il Melegnanese”,
sta raccolta in numerose pubblicazioni qui di seguito segnalate con l’anno
di edizione:
1. La storia
di Melegnano (1957).
2. La battaglia dell’ 8 giugno 1859 (1959).
3. Il “Battesimo di Cristo” di Ambrogio
da Fossano detto il Bergognone (1963).
4 .Il “Perdono” di Pio IV (1963).
5. La chiesa del Carmine (1965).
6. La battaglia di Marignano, detta “di
giganti” (1965).
7. La battaglia di Marignano, detta “di
giganti”. Studi e ricerche sull’opera degli
Svizzeri prima
e dopo la battaglia (1965).
8. Storia di Melegnano dalle origini all’anno
1000 (1967).
9. Festa e fiera del Perdono (1973).
10. Storia di Melegnano (1974).
11. Il castello di Melegnano (1977).
12. La chiesa di san Giovanni Battista (1979).
13. Il 75° di fondazione della “Virtus et
Labor” (1981).
14. Vincenzo Bettoni nel centenario della nascita
(1981).
15. Storia di Melegnano (1984).
16. Meregnàn in dialètt Trenta
composizioni letterarie (1985).
17. Natale Boneschi nel 50° della scomparsa
(1985).
18. Meregnàn in dialètt. I quattro
rioni storici (1985).
19. L’oratorio maschile di Melegnano nella collaborazione
amministrativa
e politica per
la libertà e la democrazia (1986).
20. La chiesa di san Rocco e un antico affresco
(1987).
21. Cento anni della nostra storia. L’Oratorio
maschile al suo centenario
di fondazione
(1987).
22. Vitaliano Marchini, scultore (1988).
23. Suore Domenicane del Santo Rosario. Cento
anni di presenza in Melegnano 1989).
24. Vogliamo vivere ancora.
Storia della resistenza melegnanese al fascismo
e al
nazismo (1989).
25. Profilo della storia
ecclesiastica di Melegnano. In “Dizionario
della Chiesa
Ambrosiana”. Ed.
NED, Milano 1990. Volume. quarto. pp. 2151 - 2157.
26. I tempi e le potenze. Il castello di Melegnano
(1990).
27. Storia di Cerro al Lambro, Riozzo e frazioni
(1991).
28. Preparate la via al Signore. Storia della
parrocchia della Natività di san Giovanni
Battista in Melegnano
nel 550° di fondazione della prepositura (1992).
29. Profilo storico della parrocchia “Natività
di san Giovanni Battista” in Melegnano
nel suo
sviluppo di antichità, grandezza, valore
artistico, clero, consacrazione
solenne della
chiesa, studi e ricerche storiche, entro il contesto
amministrativo
e
politico nei secoli. Pubblicazione
in ricordo del titolo di
basilica minore
conferito chiesa
di san Giovanni Battista in data 19 maggio 1992.
30. Il prof. Agostino Reati, in collaborazione
con il maestro Marco Marzi (1993).
31. Il dialetto melegnanese. Pronuncia, origini,
forme, scrittura. Antologia (1993).
32. La “Deposizione di Cristo” nella chiesa dei
santi Pietro e Biagio, popolarmente
detta “Caragnòn
de san Péder” (1993).
33. I Carmelitani a Melegnano (1993).
34. Melegnano, terra di san Carlo Borromeo (inedito).
35. Melegnano nella fotografia storica (1998)
in collaborazione con Ernesto Prandi.
36. Santa Maria dei Servi. La storia di ieri
e di oggi nell’ex convento e nella chiesa
a lei dedicata
(1984).
37. Cento anni: la Casa di Riposo in Melegnano
1894 - 1994, in collaborazione con
Ernesto Prandi
(1994).
38. Due dipinti riportati alla
luce. In collaborazione con Carol J. Modica.
A cura
del Rotary
Club Melegnano (1994),
39. Il cuore e la legge. Giovanni Angelo Medici,
papa Pio IV (1995).
40 Profilo storico dell’agricoltura nel
Melegnanese. Dall’antichità romana ai primi
decenni del ‘900.
In “Dalla Festa del Perdono di Melegnano
una speranza per
l’Europa”.
Numero Unico a cura della USSL N. 56 e Comune di Melegnano(1995).
41. La battaglia del Portone dell’ 8 giugno 1859.
(1998).
42. Aspetti della vita rurale a Vizzolo Predabissi
attraverso i secoli (1998).
43. Dizionario biografico dei Melegnanesi (1998).
44. Presenza e testimonianza della comunità
melegnanese negli anni del Giubileo con
Guida storica
artistica della basilica della Natività di S. Giovanni Battista
(2000).
45. Vie e piazze di Melegnano (2000).
46 Storia della letteratura melegnanese
(2000).
La sua attività storica attualmente continua,
nei limiti del tempo e della disponibilità. Comunque, ogni suo lavoro
storiografico è depositato presso l’archivio della basilica della
Natività di san Giovanni Battista in Melegnano, presso la Pro Loco
Melegnano e presso la Biblioteca Civica Popolare di Melegnano. |
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