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Casaletto
Lodigiano
i Primordi |
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Durante
la preistoria e la protostoria, la maggior parte della pianura Padana era
coperta da fitte foreste di Querce, Olmi e Faggi, mentre nelle vicinanze
dei fiumi, vi erano insidiose e malsane paludi, formate da inondazioni
o dalle deviazioni del corso dei fiumi. Questo quadro geografico,
ha rallentato sicuramente l'insediamento stabile di popolazioni umane,
e la conformazione del suolo, favorendo, nel Lodigiano gli insediamenti
ad ovest del Lambro, terreno relativamente asciutto, mentre tra il Lambro
e l'Adda vi erano terreni paludosi. Il prof. Pearce, dell'Università
di Nottingham, ha ipotizzato che tra il Lambro Meridionale ed il
Lambro Settentrionale, vi fosse una brughiera e che l'acqua vi fosse stata
portata solo in un secondo tempo. Nella nostra zona, sono rimaste ugualmente,
poche testimonianze dell'esistenza d’insediamenti umani, i lavori agricoli,
idraulici ed edilizi, subiti dal nostro territorio durante i secoli, hanno
sicuramente favorito la distruzione d’eventuali reperti. Nel neolitico,
gruppi di cacciatori, che praticavano anche l'agricoltura itinerante, poiché
non erano ancora in grado di sfruttare i concimi naturali, si spostavano
nella pianura vicino al Lambro. Di questo periodo abbiamo un'ascia di giadeite,
rinvenuta nel pavese, a Pieve Porto Morone ed un'altra rinvenuta in territorio
di Gerenzago, del tutto simile ad un modello largamente diffuso in Gran
Bretagna, questo ed altri ritrovamenti, testimoniano una fitta rete di
scambi tanto che nel tardo neolitico, in pratica alla fine del VI millennio
a.C., vi era una distribuzione omogenea di manufatti, in Lombardia, Francia
del sud, Germania e Gran Bretagna. Inoltre le uniche cave di giadeite,
erano in Piemonte, nelle Alpi occidentali e nell'Appennino Ligure, quindi,
si può anche supporre uno scambio di materiale grezzo. Dell'età
del Rame o Eneolitico, non si hanno ritrovamenti nel lodigiano, manufatti,
si sono trovati a Chieve ed a Camatta di Chignolo Po, località,
dove è stato trovato un pugnale in giadeite bianca, segno di un
villaggio o di una tomba erosa dal Lambro, ma ovviamente manca il materiale
necessario a dare un inquadramento sicuro a queste popolazioni. Nell'antica
età del bronzo (2250-2150/1600 circa a. C.) le maggiori aree abitative
erano nel benacese (zona del lago di Como), con la cultura di Polada ed
un'altra non ben definita, ma distinta dall'altra, ubicata nella zona dei
laghi del varesotto. La pianura padana, ad eccezione del cremonese,
era probabilmente occupata con insediamenti non stabili e nella nostra
zona sembra piuttosto evidente dai ritrovamenti di ripostigli a Lodivecchio.
Questi ripostigli, segnano evidentemente le vie seguite dai fabbri/mercanti,
per scambiare i propri manufatti ed approvvigionarsi delle materie prime,
queste erano vere e proprie rotte mercantili, diffuse in tutta l'Europa.
All'epoca della maggior fioritura della cultura terramaricolo-palafitticola,
durante la media e tarda Età del Bronzo (XVI-XII sec. a. C.), una
cultura distinta si sviluppò nella Lombardia occidentale e prende
il nome, dalla località dove sono state portate alla luce le prime
testimonianze; Viverone, dove sorgeva un insediamento palafitticolo, assegna
il nome alla cultura della Media Età del Bronzo, mentre la necropoli
di Scamozzina, vicino Varese, assegna il nome alla cultura sviluppatasi
durante la fine della media e l'inizio della tarda Età del Bronzo.
Testimonianza della presenza Scamozzina in questa fascia di territorio,
è la tomba a cremazione, risalente all'inizio della tarda età
del Bronzo (XIII sec. a.C.), trovata al Guado di Gugnano, nel febbraio
del 1876, durante i lavori di livellamento in un campo nei pressi del Lisone.
Delle suppellettili, rimangono, frammenti dell'urna cineraria a collo cilindrico
separato dalla spalla da una larga solcatura, con una presa a bugnetta
sul corpo e due
spilloni di bronzo due spilloni di bronzo a capocchia biconica, con
il gambo ingrossato sotto la capocchia, decorato a fasci di linee a zig/zag
e forato. Di questa popolazione, non conosciamo ancora bene il tipo
di struttura sociale o che abitazioni costruissero, neanche lo studio delle
necropoli, nelle quali i defunti erano deposti su pire di legna e cremati,
ed i resti raccolti, assieme al corredo, in un'urna cineraria, chiusa con
una ciotola-coperchio e quindi deposta in una buca e sepolta con la terra
del rogo. Finora è impossibile azzardare una ricostruzione
della società Scamozzina, delle abitazioni, dai reperti di Ponzana,
presso Novara, si può supporre fossero fabbricate in legno, paglia
ed argilla. Nel corso dei lavori, venne portata alla luce, anche
una necropoli dell'Età del Ferro. La ceramica dei vasi cinerari
è rozza e lavorata a stampo. Il Castelfranco raccolse in tutto 27
frammenti, che una volta uniti, ridiedero forma alle urne cinerarie ed
alle ciotole-coperchio. Il vaso maggiore, è alto non meno di 30
centimetri, la bocca doveva avere il diametro di circa 23 centimetri ed
il fondo circa 20, un coccio, porta un'ansetta poco rilevata e mal formata.
L'impasto è rozzissimo, d'argilla nera, mal depurata, con i soliti
ciottoli frantumati, le pareti esterne ed interne, sono ingubbiate con
argilla più fine, lisciata con le dita o con una stecca, lo spessore
è di circa 8 mm ed è stato cotto all'aperto, in maniera disomogenea.
Altri cocci diedero la forma di un vaso colorato di rosso, d'argilla ben lavata e ben cotta, senza piede e con il fondo piatto, di spessore robusto, nelle pareti vi corre un cordone e sotto, contiguo, un solco, forse lavorato al tornio. Due cocci, lasciano pensare ad un secondo vaso simile, ma con i cordoni più marcati. Delle ciotole-coperchio, rimangono solo due frammenti, uno rosso, spalmato nelle due facce, delle quali solo l'esterna è ben cotta, l'altro appartiene ad una scodella, a labbro rientrante, con le pareti robuste e molto ben cotte. Interessanti sono altri due ciottoli, il fondo e la parte inferiore, di un vasetto di forma troncoconica rovesciata, di colore bruno rossastro e lavorato al tornio. Vi era anche un corredo di oggetti in bronzo, di cui facevano parte : due fibule a sanguisuga, di cui, quella più grossa, di tipo Lodigiano A, e quella più piccola, di tipo Tondo Alpino, variante B - raccolta sul posto dal Prof. Castelfranco, che in seguito acquistò tutti i reperti - alla quale doveva appartenere l'ardiglione ritrovato in precedenza, comunque, entrambi coeve del periodo Golasseca III A1; una fibula tipo certosa di chiaro influsso etrusco, del periodo Golasecca III A2; un braccialetto a sezione circolare, zigrinato esternamente; un pendaglio formato da un gancio ad otto, inserito in un'astina con due anelli all'estremità, collegata tramite un anellino ad un semianello, ricavato su un ciondolo a forma di disco con incisi cinque cerchietti concentrici e forato nel centro; una perla bitroncoconica, con foro passante per i due vertici; altra perla bitroncoconica, schiacciata ai vertici, anch'essa forata; un pendaglio circolare, decorato all'esterno con sei anatrelle, che guardano in basso, tre da un lato e tre dall'altro, con le ali decorate da tre cerchi concentrici, di influsso celtico. Un pendaglio con anatrelle, del tutto simile, è stato scoperto, durante gli scavi condotti dal prof. B. Clansdorff nella grotta di Han-sur-Lesse, nelle Ardenne Belghe, a testimonianza della rete di scambi esistente all'epoca e dell'importanza del "nostro" ritrovamento. Più tardi vennero consegnati al Castelfranco, un pendaglio circolare. lavorato all'esterno con 14 globetti, che gli diede, sulla base di altri ritrovamenti simili, l'idea del "triangolo", Miradolo-San Colombano/Guado di Gugnano/La Mazzucca di Montanaso Lombardo, area geografica di maggior densità di ritrovamenti golasecchiani nel Lodigiano ed un'altro pendaglio ad anatrelle, tutte con le ali lisce, identico al primo, ma di maggior diametro e con al centro una "T" sormontata da un'anatrella, anch'essa con le ali non lavorate. Anche di questa popolazione, conosciamo poco del loro ordinamento sociale, sappiamo però, dai resti di Como, che le loro capanne erano sorrette da pali di legno, con tetti a doppio spiovente, i muri erano fatti con un intreccio di rami incannuciato con argilla ed il pavimento era di ciottoli, con il rivestimento superiore in argilla battuta. Mentre il rito funerario era simile a quello della Scamozzina, occasionalmente, i vasi venivano sepolti in un tumulo ed i corredi femminili erano nettamente distinti da quelli maschili. I nostri antenati, sarebbero appartenuti ad una civiltà omogenea nel lodigiano, di tipo golasecchiano, ma con influssi dalla civiltà d'Este, stanziata nel Veneto. Caretta, prendendo spunto da altri saggi, li indica come liguri - pedemontani, cioè un sottogruppo dei liguri, meglio conosciuto come insubri. |
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