| Dall'homo
erectus all'homo religiosus ...
scritto inedito di: Milost Della Grazia |
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| in Africa |
A
pochi passi dall’aeroporto Moi di Mombasa trovo il fuoristrada prenotato,
con una guida esperta che ci sta aspettando. Prima di puntare sulla gola
di Olduvai visitiamo il cratere del Ngorongoro, la vasta pianura del Serengheti
ed il parco nazionale del lago Mannara, dove incontriamo il nostro primo
leone, episodio che vale la pena di raccontare. Passando con
il fuoristrada sotto ad una grande acacia, la guida ci fa notare un leone
che sta tranquillamente dormendo, appollaiato su uno dei rami più
alti dell’albero, per nulla turbato dalla nostra presenza. La guida ci
spiega che, dormendo così in alto, evita di essere molestato dai
numerosi insetti che pullulano nell’aria e che a quella altezza non salgono
perché disturbati dal venticello che li disperde.
Concludiamo
che è stolto qualificare un leone come bestia feroce, in quanto
l’unico animale feroce è l’uomo. In secondo luogo abbiamo capito
che, se siamo inseguiti da un leone affamato, è meglio non arrampicarsi
su di un albero, perché il leone è più rapido a salire
di noi. Come terzo, la sua tecnica di evitare gli insetti e dormire
tranquillamente al fresco, è cultura animale, di competenza
dell’etologia, soltanto che la maggior parte degli animali usa sistemi
ingegnosi per procurarsi il cibo, mentre il leone, grande filosofo, ha
trovato un sistema per rilassarsi e dormire in santa pace.
Percorrendo la pista Ngorongoro-Serengheti, all’ottantesimo chilometro, giriamo a destra e percorriamo dieci chilometri di pista sabbiosa per raggiungere la famosa Great Rift Valley, la “grande spaccatura “che parte dal Mar Rosso e dopo migliaia di chilometri arriva in Tanzania. Ci
fermiamo in un posto ombroso, sull’orlo di un burrone, dove si gode una
splendida vista della gola di Olduvai.
La guida ci racconta la storia della scoperta di Olduvai da parte degli archeologi e ci fa esaminare e fotografare il materiale raccolto in tanti anni nella zona, esposto in un piccolo museo, circa trenta metri quadrati, gestito da una tribù di simpatici e variopinti Masai. Il villaggio ed il piccolo museo sono situati su di un altopiano ed a circa cento metri il terreno scende ripidamente verso il fondo per schiudersi in una piana nel cui mezzo troneggia un largo terrapieno rotondeggiante. Scendiamo lentamente, guardando accuratamente dove mettiamo i piedi, per evitare di calpestare un “serpente dei sette passi”, così chiamato, in quanto se ti morde, dopo sette passi sei morto. La guida conosce bene il luogo e la storia, ci fa osservare i vari strati dove gli archeologi hanno lavorato per molti anni, concludendo che nei vari strati di questo grande torrione è scritta tutta la storia della nostra umanità. Questa è la zona dove vivevano, milioni di anni or sono, i nostri antenati ominidi, chiamati Zinjanthropus boisei dall’archeologo Louis Leakey, che arrivò per la prima volta in questa valle, insieme a sua moglie Mary e continuò a scavare fino a che nel luglio del 1959 trovò un teschio di Zinjanthropus e nel 1960, in uno altro strato del torrione, il teschio di un homo abilis, confermando che questa valle era stata la culla dell’umanità. |
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