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Computers La mia vita
scritto inedito di: Milost Della Grazia
i motivi della scelta del mio indirizzo clinico
Avevo conosciuto un chirurgo tedesco che da molti anni fungeva da dirigente di un reparto chirurgico a Nairobi in Kenia. Sapeva che ero fresco di laurea e che avrei fatto volentieri una carriera chirurgica. Gli sarò sempre grato per i consigli che mi diede. Fare il chirurgo generale voleva dire, dopo la specializzazione, mettersi in lista d’attesa per diventare “ il chirurgo della mutua “ che cura unghie incarnate ed ascessi glutei. Una specialità moderna, simile alla chirurgia, era l’urologia, che, dopo qualche anno, avrebbe potuto comprendere l’andrologia, la sessuologia e la nefrologia, con pochi specialisti in Italia. Fu così che mi iscrissi a urologia e frugando, in una libreria universitaria, tra i vari testi, acquistai un libro dell’olandese W. J. Kolff “New Ways of treating uraemia“.L’autore s’era costruito un apparecchio, che chiamò “rene artificiale,“ per trattare pazienti ai quali non funzionavano più i reni, cioè per dializzarli, permettendo al paziente di sopravvivere in attesa che i suoi reni riprendano la loro funzione. Nel libro, stampato a Londra nel 1947, erano riportati i primi risultati ottenuti con questo nuovo apparecchio. Le 112 pagine di questo libro, che conservo ancora, diventarono la mia bibbia, modificando radicalmente la mia vita, procurandomi un mare di grane, ma dandomi anche qualche soddisfazioni, come quando l’onorevole Franco Verga, appena tornato da New York, dove aveva consegnata al senatore Robert Kennedy la Stella della Solidarietà, volle personalmente, con una cerimonia, consegnarla anche a me, dimostrando di aver capito che ero un seguace di Cristo non solo a parole, ma con i fatti. Dopo aver costruito con un artigiano un apparecchio simile a quello di Kolff, iniziai il mio lavoro di urologo. Prima che entrasse in funzione la dialisi, a questi pazienti, oltre alle solite fleboclisi, accendevano sotto il letto una stufa elettrica, procurando al paziente un’intensa sudorazione, nella speranza di eliminare una parte dei liquidi e delle tossine che i reni non erano più in grado di eliminare. Nessuno ha mai pubblicato i risultati ottenuti con questa terapia. Stabilito che soltanto la dialisi poteva salvarli, con un perfetto bilancio delle entrate e delle perdite dei liquidi e degli elettroliti, diventai il medico responsabile della dialisi e dei pazienti nefropatici. A parte casi particolari tipo nefrite acuta, errori trasfusionali e shock postoperatorio, la maggior parte dei pazienti erano giovani ragazze le quali, non esistendo ancora la possibilità di abortire legalmente, ricorrevano a delle fattucchiere che con decotti di prezzemolo e ferri da calza riuscivano a farle abortire. La diagnosi era sempre la stessa, sepsi da aborto criminale con blocco renale. E’ rimasto famoso il caso di una giovane signora, moglie di un tenente dei bersaglieri, il quale aveva organizzato nel giardino del nostro istituto un accampamento per una ventina di bersaglieri, che si erano offerti di fornirci tutto il sangue indispensabile per tentare di salvare la giovane moglie, sangue che a noi serviva per riempire ogni volta il famoso rene artificiale. Eravamo nel 1954, non avevo nessuno al quale chiedere un consiglio. Dopo tre emodialisi fatte nell’arco di una decina di giorni, la paziente sembrava sulla buona strada per superare la crisi, ma una setticemia l’uccise, perchè non esisteva ancora l’antibiotico adeguato. Perdere questa paziente fu un duro colpo per me, ma avevo capito che per migliorare i risultati dovevo individuare un reparto dialisi già in funzione da qualche tempo e seguire tutto il procedimento, dall’inizio alla fine. Incentivare la ricerca è compito del governo, ma in un paese come il nostro, con un clima da Tangentopoli e con un governo che autorizzava la creazione di “ cattedrali “ del deserto e di ospedali inutili, parlare di ricerche da programmare era ridicolo, ma fui fortunato perchè il CNR mi inviò per tre mesi a Denver nel Colorado da Starzl per studiare i trapianti di rene, probabilmente come premio per aver dato una mano a Mariotti, ministro della Sanità, a preparare la prima bozza della riforma ospedaliera. Quando invece era indispensabile una visita ad una clinica all’estero, come nel mio caso per la dialisi, dopo aver individuato l’ospedale o la clinica migliore, rinunciavo alle ferie, ero assistente universitario, e con il consenso del direttore che prelevava per me una piccola somma dai fondi dell’istituto, raggiungevo quella clinica cercando di imparare il più possibile, prendendo appunti, facendo schizzi delle apparecchiature, prendendo le misure e fotografando tutto quello che mi interessava, come fanno i giapponesi quando vedono qualcosa di nuovo e di strano. Alla sera, prima di coricarmi, dovevo riordinare tutto quello che avevo memorizzato e documentato ed al ritorno in clinica dovevo dimostrare di non aver perso tempo e che ormai ero un esperto. Con questo metodo, mangiando e dormendo con dieci dollari al giorno e volando con vecchie fortezze volanti rimesse a nuovo, visitai tutti i centri d’Europa e d’America. l’Hotel Dieu ed il Necker a Parigi , Alwal a Lund in Svezia, a Cliveland Kolff, che aveva abbandonato l’Olanda per gli Stati Uniti, dove, nello stesso periodo, molte equipe di medici, di docenti universitari, di chirurghi, ben distribuite in tutto il paese, stavano per arrivare alla conclusione che tutte le trasfusioni di sangue fatte nel corso di interventi chirurgici erano più pericolose che utili, per le malattie che possono trasmettere al paziente, tanto più che la emodiluizione era molto bene tollerata sia dal cervello che dal miocardio. In corso di interventi particolari un apparecchio molto semplice ricuperava il sangue e lo ridava al paziente in circolo chiuso. Naturalmente questa revisione del problema ha permesso allo stato un risparmio enorme di dollari, con grande gioia dei Testimoni di Geova i quali con la loro insistenza e con la loro fede hanno spinto lo stato a chiarire il problema. Chiedo scusa a quei tre-quattro pazienti che ho rifiutato di operare, quando mi chiesero di farlo rispettando i loro principi e ammetto la mia ignoranza in materia.
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