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Computers Lunga storia degli Asburgo e .....
scritto inedito di: Milost Della Grazia e Machì Venera Milost
Sguardo sulla storia e sul mito
Quattro secoli dopo stavo facendo il giro della Sicilia con Vera e il nostro programma era raggiungere Selinunte prima di notte. Superata Trapani il tramonto sulle Egadi era troppo bello per non fermarci ed assistere allo spettacolo. Ci sediamo in riva al mare, raccolgo un sasso per ricordo e dico a Vera: « Questa è la tua terra, ogni sasso, ogni scoglio, ogni roccia ha la sua storia, Non parlo di Segesta, il più significativo testimone dell’arte dorica, o del parco archeologico della splendida Selinunte, dell’araba Girgenti, patria dell’immortale Empedocle, filosofo, medico e allievo di Pitagora, di Siracusa e di Ortigia, il suo suggestivo isolotto. Penso alle ombre di Didone e di Enea che nella notte vagano per l’ antica Mozia ed a Federico di Svevia che riposa nella Cattedrale di Palermo, felice quando posano sul suo sarcofago un mazzetto di fiori, perché sa che vivrà fin quando vive nel cuore della sua gente, penso a Salvatore Quasimodo, che nel famedio di Milano brontola nell’alto monumento in cui giace, ma chi mi ha messo in questo freddo catafalco di questa gelida città, invece di farmi riposare nella mia dolce Tindari ? A metà strada verso Marsala ci fermiamo nuovamente accanto ad un cippo e ci godiamo le ultime luci del tramonto. Vera, vedi questo cippo? Erano anni che desideravo fermarmi accanto a questo sasso. Tu sai che il mio hobby è la storia, non solo quella letta o scritta, ma anche quella vissuta. A Calatafimi ho vagato per i colli, cercando di capire come Garibaldi era riuscito a trasformare una possibile catastrofe in una brillante vittoria, come fece Napoleone a Marengo. All’inizio della guerra avrei potuto imboscarmi in qualche ospedale militare di Milano, ma ho preferito viverla questa guerra, non subirla, patire il freddo e la fame, una volta ferito, essere sballottato da un ospedale da campo all’altro. Ma non potrò mai dimenticare quel giorno in cui il comandante di tutta la linea gotica, Feldmaresciallo Kesselring, per vedermi meglio in faccia, si inginocchiò accanto alla mia brandina e, fissandomi con i suoi occhi d’acciaio, mi diede la mano e mi disse: grazie per quello che hai fatto per la nostra patria e complimenti per la medaglia che ti daranno. Pochi giorni prima, Benito Mussolini, passando in rassegna la Divisione che stava partendo per il fronte, mi aveva sfiorato con il suo sguardo stanco e triste. Avrei voluto dirgli, sono qui, non ti ho mai tradito, cerchiamo di finire in bellezza, facciamo vedere a questa gente come sa muore un soldato italiano, Invece le cose andarono diversamente. « Come vedi, Vera, il cippo ha tre lati, sul primo puoi intravedere una scritta latina che ricorda che qui si imbarcò Scipione l’Africano per andare a distruggere Cartagine e per sconfiggere Annibale Barca nella famosa battaglia di Zama del 202 a.C. Sul secondo lato una scritta ricorda che la notte del 5 maggio 1860 qui sbarcarono Giuseppe Garibaldi ed i suoi Mille per fare l’Italia. Sul terzo lato una scritta ricorda che il 16 settembre del 1541 la flotta della Lega iniziò qui la ricerca della flotta turca. Sarà la brezza di terra della notte, sarà il profumo dei fiori, ma io sento nell’aria il profumo della storia che insegna agli uomini che soltanto chi lancia il dado, l “alea Jacta est “ entra nella storia, soltanto chi sa fare una scelta precisa fra la pace e la guerra, chi decide di combattere e giocare tutto se stesso in una partita senza rivincita, può definirsi un leader e dare la sua impronta alla storia. » Queste parole le scrisse nel 1954 il senatore John Fitzgerald Kennedy nel suo libro “ Ritratti del Coraggio”, quando dovettero operarlo alla colonna vertebrale per le ferite riportate nella guerra nel Pacifico. Ricordava solo pochi leader famosi, Alessandro Magno, che nel 334 attraversò l’Ellesponto con 40.000 uomini per conquistare un impero, Giulio Cesare, il quale, dopo aver vinto Vercingetorige, attraversò il Rubicone armato e con tutti i suoi soldati, senza tenere in alcun conto il divieto del Senato, Moshè, che se non avesse dato una voce alla disperazione dei suoi correligionari, se non avesse esercitato la sua leadership con durezza, se non avesse sfidato l’ autorità del faraone, gli ebrei sarebbero ancora oggi in Egitto. Dei leader moderni Kennedy stimava soltanto Garibaldi, Bismarck, de Gaule e Churchill. Del primo ministro inglese, il cui carattere era simile a quello di un mastino, Kennedy ricorda nel suo libro una singolare abitudine, quella di tenere sul comodino da notte la fotografia di Adolfo Hitler, l’ uomo che detestava di più al mondo. Se qualcuno gli chiedeva il motivo, rispondeva: non voglio mai dimenticare, neppure per un secondo, che questo essere malvagio esiste. Quando mi sveglio durante la notte oppure all’alba, devo immediatamente ricordarmi che non ho alcun diritto di rilassarmi, di crogiolarmi nel letto, fino a quando quell’essere malvagio è ancora vivo. Onestamente non sono del tutto sicuro che senza di lui avremmo vinto la guerra. In una palazzina di Londra si era creato un centro di decodificazione, con il quale le sue varie collaboratrici traducevano per lui in poco tempo tutti i messaggi segreti che i tedeschi e gli italiani inviavano alle loro forze armate e quelle che si scambiavano tra di loro. Pur di non far capire o sospettare al nemico di essere al corrente dei suoi piani, permise ai tedeschi di bombardare alcune città, uccidendo migliaia di cittadini, permise ai loro sommergibili di silurare navi colme di prigionieri inglesi. Non so quante altre persone al suo posto l’avrebbero fatto. Lui lo fece e vinse la guerra.
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