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Computers Un presepe universale
articolo, di Mariano Berti -21 dicembre 2006 - Paese (TV)
Un presepe da vivere e non solo da guardare. Con questo proposito i genitori dei bambini della scuola dell’infanzia “San Giuseppe” di Paese (Treviso) hanno riproposto il mistero della nascita di Cristo all’interno del parco giochi. Non uno spettacolo, ma una rappresentazione all’insegna della multiculturalità, da vedere soprattutto di sera per l’avvicendamento dei giochi di luce, tale da procurare una sensazione mistica e magica insieme. I multietnici personaggi sono rappresentati da sagome lignee, magistralmente decorate a tratti semplici ma efficaci, in stile con la semplicità dei bimbi. Fanno da sfondo le scene del paesaggio della Palestina. Sul parterre si nota una larga strada bianca e un ponte di legno transitabili dai bimbi, percorrendo i quali si arriva alla capanna di Betlemme. Sì perché questo presepe è stato concepito per essere vissuto e non come un’opera statica. Quello di Paese è un presepio che rispecchia il progetto della scuola, che è accogliente con tutti, a prescindere dal colore della pelle, dalla cultura e dalla religione. A qualcuno i presepi danno fastidio, ne hanno già parlato le cronache dello corso anno, e si ègià appreso che molte scuole della nazione hanno rinunciato a questa rievocazione per non disturbare i non credenti cristiani. Alcuni politici, intervistati, si sono detti d’accordo. Un’opinione da rispettare se non venisse dagli stessi personaggi che si dicon - a parole - paladini della nostra libertà e identità. Sono le contraddizioni che emergono in chi ha perso per strada tanti valori. In altre parole non sono gli altri a chiederci di cambiare la nostre usanze, ma sono le nostre abiure, le posizioni opportunistiche senza assunzione di responsabilità, i nostri vuoti a lasciare spazio a rivendicazioni che non ci rispettano. La rinuncia ai presepi maschera una secolarizzata miscredenza, evidenziando nel contempo povertà d’animo e culturale. In compenso esibiamo la ricchezza economica, come se questa non offendesse nessuno tra le migliaia di diseredati che raggiungono il nostro paese. Abdichiamo, anche se nessuno ce lo chiede, non per non offendere le coscienze di altri, ma per remissività e per non essere disturbati. Questo modo di fare è un invito per gli estremisti ad alzare la posta in rivendicazioni sempre più radicali. Chi raggiunge questa nostra Italia dovrebbe rispettare le nostre peculiarità oltre che le nostre leggi, ma spesso siamo noi ad aver smarrito la strada, a porci in condizione di inferiorità togliendo i crocifissi dalle scuole e rinunciando ai presepi. Ci sono ben altri modi di andare incontro agli immigrati. Di questo passo, a quando la proibizione del suono delle campane o la scalpellatura dei simboli cristiani dalle facciate delle chiese, come fece Napoleone con i leoni di San Marco? Dovremo rinunciare a mettere ai nostri figli i nomi dei santi? Dipende esclusivamente da noi. Il presepio non disturba più di un turbante, di un velo islamico, del Ramadam o d’altri simboli che contraddistinguono i vari popoli: emblemi civili, culturali e religiosi insieme. Il presepio dona anzi un messaggio di pace, di comprensione e di tolleranza, accomuna i popoli, ma per comprendere ciò occorre essere disponibili ed accoglienti, riempire il vuoto interiore. Non è con i veti o con le intolleranze e tantomeno con le remissioni che si costruisce la civiltà degli uomini, ma con il rispetto reciproco, con la costruzione del presepio universale. A ciò non c’è alternativa se si vuole dare al mondo un futuro migliore. È esattamente quanto vuole esprimere, nel suo piccolo, il presepio multietnico e multiculturale della scuola materna parrocchiale di Paese. Un messaggio che invita ognuno a fare la propria parte in questa direzione.

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