Olga ebbe il privilegio, rarissimo a quei tempi in cui viaggiare potevano solo i ricchi, di conoscere il modo di vivere sia del Nord che del Sud dei suoi futuri Sudditi della Terra Russa e quindi potè capire meglio di chiunque altro come fare a porsi di fronte a loro in tutte le occasioni, cosa importantissima per il prestigio di un principe.
Per il momento comunque la nostra storia si svolge ancora a Pskov dove Olga non è ancora una persona importante, anche se certamente sogna il suo principe azzurro che la porti via con sé!
Impara da sua madre come si fa a preparare la birra di pane di segala fermentato, il kvas, oppure il vino di miele o idromele, in russo mjod (quando è possibile, visto che il miele si vende meglio al mercato ed è sempre bene non consumarne troppo per fare bevande che ubriacano!). Il kvas e il mjod si mettono di solito ad invecchiare in tini e botti giù in cantina, coperti con paglia e neve affinché siano sempre freschi per ogni bevuta importante.
La sera dopo il lavoro nei campi, si mangia tutti insieme raccolti intorno all’unica tavola la zuppa o il minestrone (sc’ci, ukròp, kascia, borsc’c’, pohljòbka etc.) che cuoce tutto l’anno nella pentola di coccio. Certo ogni zuppa ha la sua ricetta e ogni brava massaia fa il minestrone secondo i proprii gusti e le proprie possibilità economiche e di solito è di consistenza densa, quasi come la nostra polenta. Sua madre comincia a preparare il minestrone, proprio alla festa di Kupala, che abbiamo già prima nominata, quando riaccende il fuoco nel forno: acqua, sale, qualche pezzo di carne, erbe aromatiche e soprattutto legumi di stagione e poi si lascia cuocere il tutto. Ogni mattina si aggiunge un po’ d’acqua e qualcosa in più di quello che c’è fra erbe e legumi cosicché di mese in mese il gusto cambia, ma la zuppa buona e calda alla sera c’è sempre sulla tavola! A tavola si beve solitamente l’acqua del pozzo un po’ salata o il succo di betulla dal gusto acidulo e stimolante che prepara lei stessa per tutti … Solo nelle feste si vedono le bevande più pregiate della cantina e, quando c’è un ospite di riguardo, si tira fuori anche il preziosissimo vino greco!
Sulla tavola, coperto da una tovaglietta benedetta, c’è il buon pane nero di segala che si prepara ogni settimana, più o meno, insieme ai vicini, una volta a casa dell’uno e una volta a casa dell’altro, per risparmiar combustibile, ma anche per rafforzare i legami di vicinato.
La farina si prepara in casa a partire dal frumento, importato e perciò carissimo, o specialmente dalla segala, ammassati in mucchi separati nell’izbà nera. Se ne prende quanto basta, si secca ben bene questo grano nella stufa arrivando quasi ad abbrustolirlo e poi lo si macina con la macina di casa composta da due pietre ben levigate. Una delle pietre è fissa (lezhàk) con l’incavo per ricevere la mola rotante (begùn) al di sopra. La macina rotante ha un foro nel centro da dove si lascia scorrere il grano mentre lo si macina, fino quanto si vuole. La farina così ottenuta, viene poi setacciata ed è pronta per essere impastata. Quella in più, la si mette nella madia di casa per altri usi. Acqua, sale e lievito di impasto acido tenuto da parte vengono aggiunti alla farina e si lavora l’impasto per qualche ora o più. Attenzione però che l’acqua sia “silenziosa” (tìhaja vodà, ossia la ragazza che è andata ad attingerla al pozzo non deve aver parlato con nessuno durante il tragitto dal pozzo alla madia e viceversa!), sia “intatta” (nepita vodà perché nessuno deve averne bevuto) e infine “fiorita” perchè la padrona di casa nel secchio ha aggiunto delle erbe magiche affinché il pane lieviti a dovere.
Da questa massa lavorata si ricavano delle forme grandi e rotonde che si lasciano “crescere” vicino al caldo della stufa. L’indomani le grandi forme sono pronte per essere infornate, insieme ad alcune formette più piccole (da non dimenticare mai!) che diventeranno i panini preparati per gli spiriti della casa.
Quando c’è voglia di carne si vanno a tendere le trappole nel bosco vicino e si catturano vari animali di piccola taglia: lepri, volpi, tassi, uccelli etc. evitando di catturare animali di grossa taglia, perché se così fosse, si correrebbe il rischio di severissime punizioni e addirittura c’è la minaccia del taglio del dito della mano o del piede … come multa! Infatti gli animali selvaggi di grossa taglia sono proprietà del principe locale.
Le risorse del bosco però sono tante altre: si trovano funghi, bacche di ogni tipo, gusto e colore, frutti di vario genere, erbe succulente e insalate … sempre attenti a non prendere roba velenosa!
I frutti degli alberi si seccano nella stufa per mangiarli poi nella stagione grama e Olga ha imparato come si fa: Si liberano dai torsoli, se si vuole, si puliscono per benino e si tagliano in pezzi più piccoli, se necessario, e finalmente si mettono su una tavoletta facendoli stare al caldo finchè si riducono di volume e diventano ben secchi. La frutta così preparata si conserva a lungo e occupa poco spazio e può essere portata con sè in viaggio. Uno spirito della casa che aiuta a fare queste operazioni è Mokoscià, semprechè sia ben disposta! Lei presiede a tutti i lavori di casa e quando si sente trattata male, ecco che si vendica e soffia vermi e muffa sui frutti, nella carne secca e … tutto il lavoro fatto con tanta cura, se ne va a pallino! Mokoscià è chiamata anche la bagnata perché lei è nel fiume, nel torrente, nelle correnti d’acqua dove si lavano i panni battendoli sui ciottoli lisci del greto del fiume mentre si canta ritmicamente.
Questo spirito femminile della casa lo si trova sdraiato sul dorso nella terra, con la testa di poco sollevata e dalla cui bocca scaturisce l’acqua come dalla sorgente perenne. Il mormorio delle acque che scorrono è la sua voce e solo chi riesce ad ascoltarla e a capirla, sa usare e interpretare quello che dice. I suoi lunghi capelli sono le onde della corrente d’acqua. Se la terra è secca, bisogna cercare lei, Mokoscià, per trovare l’acqua della vita. A giugno infatti quando si scavano i nuovi pozzi, il cercapozzi usa una padella di coccio che pone capovolta sui punti dove lui “sente” la presenza di questo spirito e, se l’umidità raccolta durante la notte è, a suo dire, abbastanza, allora vuol dire che si deve scavare proprio qui per avere un pozzo d’acqua fresca.
A casa tutte le donne sanno che, se sono state buone con Mokoscià, questa le aiuta e vedrete che l’indomani persino il panno che stavate tessendo è quasi finito, perché Mokoscià, durante la notte mentre voi eravate a dormire, ha tessuto al vostro posto.
Quando fa bel tempo Olga amava pescare lungo le rive del fiume o del lago dove si catturavano facilmente grosse trote, grasse e saporite, che si lasciavano talvolta seccare nel vento per poi tagliarle in pezzi e assaporarle in compagnia, inzuppate in succosi intingoli. Lungo le rive o nelle grandi paludi, si raccolgono erbe d’ogni genere buone o per la cucina o per la medicina di casa insieme agli utilissimi giunchi da intrecciare.
Una donna del X sec. che non sappia fare tutte queste cose, che donna sarebbe? Chi la vorrebbe in sposa? Non c’è ancora il nostro supermercato dove si compra tutto quel che serve già pronto e impacchettato.
Il ritmo della vita qui è scandito dalle stagioni che al Nord sono soltanto due: il lunghissimo oscuro e freddissimo inverno e la bella stagione dalle non troppo lunghe e luminose giornate.
D’inverno si sta chiusi nell’izbà a lavorare al telaio, sulle pelli e sulle pellicce, anche su commissione dei mercanti variaghi, etc. insomma si fanno tutti quei lavori di produzione famigliare che sono in maggioranza affidati alle donne, e d’estate si lavora nei campi. D’inverno si fa all’amore e d’estate si canta e si balla per il buon raccolto quando c’è. Quando c’è carestia o il campo davanti a casa non dà più frutti, bisogna cambiare di posto e così si smonta l’izbà, come meglio si può, e si emigra.
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