Vista della Basilica
dal Broletto
Qui viene esposta la "Bolla del
Perdono Papale", che riporta l'indulgenza plenaria concessa nell'anno 1563
dal Papa Pio IV°; Giovanni Angelo
Medici ai cittadini di Melegnano che si recheranno nella Basilica
dedicata a San Giovanni Battista a Melegnano nei giorni di Giovedì
Santo e Venerdì di Passione. |
La chiesa esisteva già molto
prima del sec. XIV°, la prima data storicamente accertata è
quella del 1398. La tradizione orale, per attestazione del Canonici d'Orta
a metà del 1700, riferisce che la chiesa di San Giovanni in Melegnano
fosse una delle chiese erette per opera di San Giulio Prete nel secolo
di Sant'Ambrogio. Questa tradizione è avvalorata dal fatto che Melegnano
era la stazione AD MILIUM NONUM di fondazione romana augustea a nove miglia
da Milano, come chiaramente testimoniata sull'Itinerarium Burdigalense
dell'anno 333 dopo Cristo. Ed è noto che ogni stazione cambio dei
cavalli aveva una sua chiesetta funzionante. Quando il papa Martino V°
venne a Milano nell'ottobre 1418 concesse una speciale indulgenza per il
restauro della chiesa che era in condizioni rovinose per l'antichità.
Nel 1442, il 6 luglio, la chiesa di San Giovanni, chiamata quaedam parochialis,
fu insignita della dignità di praepositura. Da un solo sacerdote
che era il rector si passò ad un praepositus con tre cappellani
curati. L'erezione a prepositura avvenne su richiesta dei capifamiglia
di Melegnano al cardinale Gerardo Landriani, vescovo di Como, e legato
pontificio per il Ducato di Milano. Dal 1442 la chiesa di San Giovanni
di Melegnano, pur essendo nella Pieve di San Giuliano Milanese, aveva nella
giurisdizione della prepositura chiese e oratori su un largo raggio urbanistico:
San Giovanni Battista in Melegnano
San Pietro in Melegnano
Madonna Assunta in Melegnano
entro il castello visconteo-mediceo
San Materno al Castelvecchio
San Biagio alla Rampina-Vettabia
Santa Brigida a Santa Brera
San Pietro e Paolo a Vizzolo
San Protaso e Gervaso a Sarmazzano
Santa Maria a Calvenzano
Sant'Antonino a Colturano
San Michele a Pedriano
Santa Maria della Neve a Mezzano
Queste
località erano nel raggio di tre chilometri, ed erano o cascine,
o villaggi, o mulini, o antichi vici romani. La chiesa è stata solennemente
consacrata la domenica 21 giugno 1506 dal suffraganeo del cardinale Ippolito
d'Este arcivescovo di Milano, Matteo dell'Olmo, vescovo titolare di Laodicea.
Una lapide murata e ben leggibile ne conferma la consacrazione, e sta su
un pilastro tra l'altare maggiore e il coro. La chiesa è in
primitivo stile romanico con atteggiamenti gotici. Già la facciata,
imponente e sobria, staglia dall'esterno le tre navate interne, separate
da pilastri che sostengono sei arcate. Vi è l'altare maggiore con
il coro del 1635 e due altari laterali. Stanno due cappelle aggiunte all'inizio
del 1600. Nella metà del 1600, in ossequio all'estetica barocca,
l'interno fu arricchito da stucchi e da ornati con una saggia scelta disegnativa.
Il campanile con 5 campane, è alto metri 33,70.
La
facciata e l’esterno
La facciata della chiesa ha
davanti a sè l’ampio sagrato che è separato dalla via Roma
da colonne di granito e delimitano lo spazio di autonomia giuridica del
potere ecclesiastico. Essa ha la forma di capanna spezzata, spartita in
tre ben- distinti settori che segnano dall’esterno le zone delle navate
interne. I tre settori spartiti sono ben visibili per le due lesene, poco
sporgenti che si innalzano da terra fino al tetto e che racchiudono tutta
la zona della navata centrale. Il portale d’ingresso è ad arco a
tutto sesto con sguancio in cotto a modanatura convessa. Nel lunotto dell’arco
vi sta collocato un bassorilievo in cotto, rappresentante il Battesimo
di Cristo, opera dello scultore melegnanese Vitaliano Marchini. Sopra il
portale sta un’apertura rotonda detta oculo con ghiera a sguancio e sta
inquadrato entro profili in cotto su sfondo bianco. Verso la sommità
si apre la bifora ogivale con pilastrino a stampella, anch’essa inquadrata
da un fondo intonacato bianco. A Sinistra e a destra, nello spazio delle
due navate minori, vi sono due finestre monofore ogivali che danno luce
all’interno delle navate minori.
Le due finestre sono ornate con elementi
decorativi in cotto e da davanzali che hanno sottostanti decorazioni ad
archetti ogivali dipinti. Le due finestre sono inquadrate da un fondo intonacato
chiaro. Alle due estremità della facciata si collocano, per un’altezza
di due terzi della parete, le due paraste come contrafforti che rinserrano
tutto l’edificio. Sul fianco sinistro sta il campanile, alto metri 33,70,
con orologio una volta a pendolo ricaricabile a mano, oggi invece funzionante
con impianto elettrico. Anche le campane suonano con un comando computerizzato.
Il campanile è del 1570. Sui lati di destra e di sinistra stanno
due cappelle. In particolare sul lato destro sorge sia il battistero sia
la cappella con cupola poligonale e con finestre quadrangolari a piattabanda
con strombatura. Ancora sulla destra sta un giardinetto che raccoglie le
due statue di san Giovanni Battista e di san Maurizio, con una piccola
lapide tra le due statue che ricorda la visita del cardinale Ferrari. Un’altra
bella lapide è dedicata al melegnanese Carlo Bascapè,
dettata dal Cardinale Schuster nel 1933. Nello stesso giardinetto sta murato
un antico frammento di scultura forse rappresentante sant’Antonio abate
che era titolare di un altare interno, e una recente scultura in bassorilievo
in cotto che rappresenta san Giuseppe, opera dello scultore me1egnanese
Vitaliano Marchini. Anticamente il sagrato era cinto da una mura in cotto
coperta da lastre di sasso e già documentata nel 1367. L’entrata
in chiesa era preceduta da un viale di sasso, largo metri 4,50 e lungo
metri 3,90. La facciata della chiesa aveva tre porte, corrispondenti alle
tre navate. Sopra la porta maggiore stava dipinta la scena della Madonna
con il Bambino tra le braccia, con ai fianchi san Giovanni Battista e santa
Caterina. Entro il cornicione del rosone stava un dipinto rappresentante
san Giovanni Battista nel deserto, opera del pittore Giovanni Battista
del Sole. Sulla facciata vi erano tre finestroni, uno sopra la porta maggiore,
come è attualmente, e le altre due sopra le due porte laterali,
oggi scomparse. Sulla parte destra della facciata stava un porticato sostenuto
da quattro colonne di sasso, che serviva da corridoio per entrare nel cimitero
parrocchiale.
La navata maggiore
Il soffitto si sviluppa con tre grandi
campate con volte a crociera, e sono tra loro separate da archi a sesto
leggermente acuto, come segno architettonico rimasto della primitiva chiesa
antica. La navata centrale è separata dalle navate laterali da pilastri
cruciformi. I pilastri sostengono sei arcate a tutto sesto sopra le quali
corre l’architrave. I pilastri, in numero di dieci, hanno lesene scannellate
e capitelli di ordine ionico; gli architravi e i cornicioni sono decorati
a stucco dorato, con il volto di angioletto centrale e festoni di frutta.
Pure al centro di ogni arcata è posto un semicapitello di stile ionico
con volto di angelo. I pilastri, dal pavimento fino all’altezza di metri
1,46 sono rivestiti di legno lavorato e sagomato. Tali pilastri sono stati
costruiti durante i lavori di abbellimento della chiesa nella metà
del 1600, coprendo le colonne originarie in terracotta, per rendere più
stabile la parte superiore adattata secondo lo stile barocco, e in tal modo
scomparì la forma originaria gotica della chiesa. Il presbiterio
è separato dalla navata centrale dal grande arco detto “arco santo”.
Al suo culmine ha due angeli che sostengono rispettivamente due bianche
superfici sagomate che oggi sono senza parole, ma che fino a poco tempo
fa avevano questa iscrizione D.O.M. Virgini Deiparae ac S. Ianni Baptae,
cioè: A Dio Ottimo Massimo, alla Vergine Madre di Dio e a San Giovanni
Battista. Vi sta anche un Crocifisso con due piccoli angeli. Tra i due pilastri
di questo arco santo, in alto correva un architrave sostenuto nei fianchi
da due mensole; sull’architrave stava collocato il gruppo ligneo formato
dal Crocifisso, dalla Vergine e da San Giovanni evangelista, opera dello
scultore in legno Paolo Garzoni e da lui messo in quel luogo nel 1595. Oggi
il gruppo ligneo è separato e ha trovato una diversa collocazione.
Sull’architrave stava la frase: “Quae non rapui tunc exolvebam” salmo
68,5: “Eppure io ho restituito anche quanto non ho rapito”. La prima campata,
appena al di qua del presbiterio, presenta nel suo alto culmine centrale
una scultura rotonda che significa san Paolo, il quale tiene nella mano
sinistra un libro e nella destra l’elsa di una spada. Agli angoli stanno
quattro medaglioni colorati che rispettivamente rappresentano Zaccaria,
Elisabetta, Gioacchino, San Giuseppe. Zaccaria (S. ZACHARIAS) tiene in mano
un turibolo per l’incenso, Elisabetta (S. ELlSABETH) ha vicino il piccolo
figlio San Giovanni, Gioacchino.(S. IOACHIMUS) sta ascoltando un angelo
che parla dietro di lui, san Giuseppe (S.IOSEPH) è colto in un momento
di riposo mentre si appoggia alla sega da falegname, sullo sfondo si vede
Maria Santissima che tiene in braccio il Bambino Gesù sotto un verde
pergolato. Nella seconda campata, o campata centrale, sta dipinta la glorificazione
di santa Eurosia, compatrona della parrocchia di san Giovanni Battista.
Con le braccia aperte, in veste bianca, sopravveste celeste e manto rosso,
accoglie i simboli del martirio glorificato: la palma e la corona. I cieli
sono aperti e mandano la luce a raggi. Nelle nubi stanno gli angeli partecipanti
alla sua gloria. Sullo sfondo vi sono schiere di donne martiri con la palma.
A destra un angelo porta un bastone con la corda, a sinistra un altro angelo
tiene la scure: sono gli strumenti usati per il suo martirio subìto
il 25 giugno del 714. Alla base, a destra si presentano viti e grappoli
e foglie e con fusti di granoturco a sinistra è una distesa di spighe
mature, per ricordare che Eurosia è stata scelta come protettrice
delle messi e della campagna. Tutto il dipinto è opera dei fratelli
Barabino, verso la metà dei l800. Agli angoli della campata centrale,
oltre alla scena di santa Eurosia, stanno quattro medaglioni con rispettivamente
quattro Santi: santa Savina, che sta appoggiata ad un’urna sepolcrale sulla
quale stanno scritte le lettere CIS che sono le terminali della frase NABORIS
ET FELICIS, cioè Nabore e Felice, che sono i due santi lodigiani
trasportati da Savina da Lodi a Milano, passando dal nostro ponte sul Lambro
e dando origine alla leggenda dei Corpi dei due martiri trasformati in miele
per salvarli dalle guardie del ponte, per cui il primitivo paese detto Giano
si sarebbe trasformato nel nome di miele-giano cioè Mele-gnano. Un
altro medaglione rappresenta santa Anna, madre di Maria Santissima la quale
è presente come bambina che tiene un rotolo della Bibbia e sta parlando
con la madre tenendo la mano destra alzata in atto di colloquio. Il terzo
medaglione esprime sant’Andrea Avellino, vecchio, morente affidato a un
giovane prete che lo sta sorreggendo presso l’altare. Andrea
Avellino fu della congregazione dei Teatini e fu mandato a Milano come vicario
presso la casa di santa Maria presso san Calimero donata alla congregazione
da san Carlo Borromeo, con il quale ebbe frequenti rapporti e segni
di stima e di affetto. Nel 1578 prese il governo della casa di sant’Antonio
a Milano. Il 10 novembre 1608, mentre iniziava la celebrazione della Messa,
fu colpito da apoplessia e si spense la sera dello stesso giorno, all’età
di 87 anni, essendo nato in provincia di Potenza nel 1521. Fu canonizzato
nel 1712 da Clemente XI°. Il quarto medaglione rappresenta san Maurizio,
vestito da soldato, con in mano l’elmo e con il crocifisso; nella scena
appare anche un vessillo con la scritta S.P.Q.R. (cioè: Senatus Populusque
Romanus, il Senato e il Popolo Romano). Maurizio fu un soldato della legione
Tebea che ai tempi dell’imperatore Diocleziano si rifiutò di sacrificare
agli dei prima di una battaglia e quindi fu per questo ucciso. Nell’ultima
campata e sulla sinistra sta il medaglione raffigurante san Giulio prete
con il disegno della nostra chiesa. Una tradizione, che si prolunga fino
ai nostri giorni, attribuisce a san Giulio prete la fondazione della nostra
chiesa di san Giovanni. San Giulio dopo essere passato per vari luoghi arrivò
con il fratello Giuliano in Lombardia dove edificò molte chiese,
tra le cento chiese. fra queste vi sarebbe anche la chiesa di san
Giovanni di Melegnano eretta verso l’anno 390 per coadiuvare l’opera di
sant’Ambrogio. Andrea Beltrami, nella storia della vita di san Giulio con
san Giuliano, scrive: “Passarono nella lombardia e furono per qualche tempo
coadiutori del grande arcivescovo che governava quella diocesi.” Ma un attento
esame dei documenti non ci offre una sicura attribuzione della fondazione
a San Giulio. È Giacinto Coldani che dà questa notizia quando
parla di Melegnano come Borgo: “Quello però insomma che lo rende
più particolare si è che la di Lui chiesa vanta di essere
una delle cento edificate intorno il 390 da San Giulio d’0rta.” Il medaglione
sulla destra che è corrispettivo con quello di san Giulio prete,
rappresenta santa Margherita Maria Alacoque. Era nata il 22 agosto 1647
a Verosvres nella Borgogna; il suo padre, giudice e notaio, morì
quando Margherita era ancora giovinetta. A nove anni si accostò alla
Prima Comunione e a ventidue ricevette la Cresima, alla quale volle prepararsi
con una confessione generale: impiegò ben quindici giorni a trascrivere
su di un quadernetto la lunga lista delle sue mancanze, da leggere poi al
confessore. In quella occasione ella aggiunse al suo nome Margherita quello
di Maria. Vinte le ultime resistenze della madre che avrebbe preferito vederla
ben maritata, poté entrare nel convento dell’Ordine della Visitazione,
fondato sessant’anni prima da san Francesco di Sales, offrendosi dal giorno
del suo ingresso “vittima al Cuore di Gesù”. Le straordinarie visioni
di cui fu favorita le procurarono dapprima incomprensioni. e incauti giudizi,
finché, per scelta divina, fu posta sotto la direzione Spirituale
del gesuita Caudio de la Colombière. Nell’ultimo periodo della sua
vita, nominata maestra delle novizie, ebbe la consolazione di veder propagarsi
la devozione al Cuore di Gesù, e gli stessi oppositori di un tempo
si mutarono in suoi fervidi ammiratori e banditori. Si spense dolcemente
il 17 ottobre 1690 all’età di 43 anni.
L'Altare maggiore
L’altare maggiore è la zona
più importante e più sacra di tutta la chiesa, essa misura
metri 7,10 in larghezza e 7,80 in profondità. All’interno del tamburo,
sotto la lanterna che dà la luce, vi è una varia e intensa
decorazione di carattere biblico: si osserva l’architettura di un bellissimo
colonnato sopra il quale stanno ripartiti diversi piccoli angeli che stanno
in atto di suonare chi uno strumento chi un altro. Più sotto sono
ripartiti otto settori nei quali successivamente si alternano figure di
personaggi biblici e balaustrate. Nella parte centrale, sopra l’altare,
sta il sacerdote Zaccaria, dove si leggono le parole: “TU, PUER, PROPHETA
ALTISSIMI VOCABERIS” il che significa “Tu, o bambino, sarai chiamato profeta
dell’ Altissimo” che è un versetto del cantico del sacerdote Zaccaria
nel giorno della circoncisione del figlio Giovanni Battista. Nella parte
destra guardando l’altare, ecco il profeta Geremia, con le parole: “PRIUSQUAM
TE FORMAREM IN UTERO ANTEQUAM EXIRES E VULVA SANTIfICAVI TE”, cioè:
“prima che ti formassi nell’utero e che tu nascessi, io ti ho santificato”.
Nella parte sinistra guardando l’ altare è la figura del re Davide
con la cetra e che tiene nelle mani: il cartiglio cori la scritta: “PARAVI
LUCERNAM CHRISTO MEO”, cioè: “Ho preparato una lampada per il mio
consacrato”. Nella parte che sta verso la navata è il profeta Malachia,
con le parole: “ECCE EGO MITTO ANGELUM MEUM ET PREPARABIT VIAM ANTE FACIEM
TUAM”, cioè: “Ecco io mando il mio messaggero e preparerà
la via davanti al tuo volto”. Sono, dunque, quattro passi biblici che riecheggiano
la figura e l’opera di Giovanni Battista. Questi affreschi sono opera del
pittore Paolo Pini, attivo anche nel duomo di Milano nella prima metà
del 1600. Tra la parete del presbiterio e il tamburo stanno quattro vele
che legano le due parti, e sono vele che hanno ciascuna, dipinto un evangelista.
A destra, guardando l’altare verso il coro, è l’evangelista Matteo
nella destra tiene la penna e con la sinistra tiene il cartiglio sul quale
si legge: “NON SURREXIT INTER HOMINES MAIOR IOANNE BAPTISTA”. Alla sua destra
vi è un uomo alato che tiene un calamaio, simbolo dell’evangelista
Matteo. Le parole latine nel cartiglio significano: “Non è sorto
tra i nati di donna uno maggiore di giovanni Battista”. A sinistra, guardando
l’altare verso il coro, sta l’evangelista Giovanni che tiene nella sinistra
lo scritto con queste parole: “ILLE ERAT LUCERNA ARDENS ET LUCENS”, cioè:
“Egli era la lucerna che ardeva e che illuminava”. Alla sua sinistra sta
dipinta l’aquila, simbolo di Giovanni evangelista. A sinistra guardando
la navata, si osserva l’evangelista Marco che tiene sulle ginocchia un libro
e con la destra regge le parole seguenti:’ “FUIT IOANNES DESERTO BAPTIZANS
ET PRAEDICANS BAPTISMUM POENITENTIAE”, che significa: “Fu Giovanni nel deserto
a battezzare e a predicare il battesimo di penitenza”. Alla sua sinistra
è accovacciato il leone, simbolo dell’evangelista Marco. A destra
guardando la navata, si osserva l’evangelista Luca che tiene nella destra
la penna e nella sinistra stringe le parole: “MULTI IN NATIVITATE EIUS GAUDEBANT.
ERIT ENIM MAGNUS CORAM DOMINO”, cioè: “Molti saranno gioiosi per
la sua nascita, egli infatti sarà grande davanti al Signore”. Alla
destra sta la figura di un vitello, simbolo dell’evangelista Luca. Sulle
due grosse pareti laterali stanno due scene della vita di San Giovanni Battista:
a sinistra è la Predicazione alle folle, secondo il testo Luca (3,1-18).
Sulla parete di destra è la scena della Decollazione, secondo il
testo evangelico di Marco (6,17-29). Ognuno dei due dipinti ha la misura
di metri 3,70 per 2,20. Sono
stati dipinti dai Fratelli Barabino verso il 1850. Il presbiterio è
separato dal coro dall’arco gotico dipinto in cui stanno sei piccoli angeli
che tengono intrecciata una fascia con la scritta: “ECCE AGNUS DEI QUI TOLLIT
PECCATA”. Gli angioletti tengono nelle mani rami di ulivo. Sotto questo
arco sta l’altare maggiore sollevato di tre gradini di marmo policromo.
L’altare ha la lunghezza di metri 4,55; la profondità dall’inizio
della mensa fino al dosso del postergale è di metri 1,80. La ensa,
sulla quale non si celebra più; la santa Messa, è lunga metri
2,35 e profonda metri 0,80; ha l’altezza dal piano della predella di metri
l,O5. La mensa è sostenuta da un blocco di marmo sagomato che ha,
nel suo centro, la scena scultorea della decollazione di san Giovanni Battista.
Nel centro della mensa sta il tabernacolo che si erge con solennità.
Esso ha la facciata larga metri 0,65 e si innalza di metri O,90. La porticina
in metallo dorato rievoca nella scultura la scena del profeta, che si addormenta
sotto la pianta di ginepro e svegliandosi trova un pane per suo cibo. La
predella dell’altare, cui si accede per tre gradini, misura metri 2,75 per
metri 1,95. Ha i lati di marmo rossiccio fortemente venato con striature
bianche e rosse; al centro è fatto di legno tipo parquet con listelli
disposti a spina di pesce. Sulla parete del pilastro di destra, tra l’altare
e il coro, sta la lapide che ricorda l’anno della consacrazione della chiesa
e l’anno della consacrazione dell’altare, con queste parole: “D.O.M. / TEMPLUM
/ MATTHEUS LULMUS / LAUDICENSIS EP. / 21 IUNIJ 1506 / ARAM MAXIMAM / IOSEPH
CARD PUTEOBONELLUS / MLINI ARCHIEP. / 29 AUGUSTI 1754 / CONSECRARUNT /.
La quale iscrizione significa : A Dio Ottimo Massimo. Il tempio è
stato consacrato da Matteo Lolmo, vescovo di Laodicea il 21 giugno 1506;
l’altare maggiore è stato consacrato dal Cardinale Giuseppe Pozzobonelli
arcivescovo di Milano il 29 agosto 1754. Sotto la lapide vi è un
tabernacolino con porticina di legno dove è riposta la reliquia della
santa Croce. Invece sulla parete del pilastro di sinistra sta, piuttosto
in posizione elevata, un altro tabernacolino come custodia degli Oli santi.
Occorre ricordare che prima di questo altare ve ne era uno di marmo costruito
nel 1506, e prima ve n’era uno di legno dorato i cui resti antichi stavano
appesi in coro fino agli ultimi anni del 1700 e che era opera, secondo lo
storico Giacinto Coldani, dell’artista Bramanti. L’attuale altare è
stato realizzato mediante l’intervento finanziario del nobile melegnanese
Alessandro Maria Visconti “con una magnificenza degna di lui, quale si attesta
dalla preziosità dei marmi che lo compongono”, così dice lo
storico Ferdinando Sareesani nel 1851. L’altare maggiore, come si è
ricordato poco fa citando la lapide, è stato consacrato nell’anno
1754, il 29 agosto. Negli angoli, a destra e a sinistra dell’altare maggiore,
stanno appese rispettivamente le lampade con la luce continua per ricordare
la presenza del Santissimo Sacramento. Sotto il quadro della Decollazione
sta il seggio con tre stalli per i sacerdoti. Esso è in legno di
noce, lavorato con ornati geometrici tipo cornici, mentre sotto il quadro
della Predicazione sta un rivestimento in noce con ornati decorativi. Recentemente,
in conformità alle disposizioni del Concilio Ecumenico Vaticano II°
(1962-1965), si è collocata una mensa davanti al popolo, che serve
ormai quotidianamente per la santa Messa semplice e solenne. Sotto la zona
di questa mensa sta una lapide con la scritta PR0 PRAEPOSITIS ET CANONICIS
e segnala il posto dove si seppellivano i vari sacerdoti prima della costruzione
obbligata dei cimiteri fuori le mura del paese. In questa tomba tuttavia,
la domenica 2 febbraio 1992, sono state collocate circa 170 anforine come
segno di presenza di fede e di contributo che ogni famiglia oppure i fedeli
hanno dato per il rifacimento del tetto della chiesa: ad ogni tegola “pagata”
lire 100.000 il fedele riceveva una anforina che conteneva una piccola pergamena
con il nome dell’offerente e con il nome di una sua persona cara. È
bene ricordare ancora che in questa tomba sta la cassetta in terracotta
che contiene le ossa del prevosto don Giovanni Candia, qui trasportate quando
si demolì il vecchio cimitero, e qui deposte per ricordare la sua
opera nei tempi tristi di Giuseppe II° d’Austria e di Napoleone. La
zona dell’altare maggiore era rinchiusa da una balaustra di marmo variegato,
con un’area più ristretta dl quella attuale, perché la balaustra
incominciava prima delle porte che immettono nelle cappelle laterali. Il
pavimento era lastricato con piastrelle di marmo, in lastre di forma ottagonale
e quadrata, di diversi colori e posto in opera nel 1717 dalla ditta Pietro
Dardini di Varese. Sulla parte superiore del ciborlo stava un altro tipo
di colonnato, costruito nel 1627, con colonnette di basi e di capitelli
dl stile corinzio. Tra l’una e l’altra delle colonnette, in apposite nicchie,
posavano diverse statuette che rappresentavano gli evangelisti e gli apostoli
e altri santi e sante. Nei fianchi del primo ordine delle colonnette vi
erano due altre statutette di grandezza maggiore, una rappresentava san
Giovanni Battista, l’altra sant’Ambrogio. |