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Leggende su Bernabò Visconti
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La vita di Bernabò Visconti e la frequente permanenza a Melegnano furono motivo di leggende, novelle, racconti e storielle: la novella del contadino che riaccompagna a Melegnano Bernabò che si era sperduto nei boschi andando a caccia, e che non conoscendo Bernabò parlava male di lui fino al castello di Melegnano, con grande paura poi di essere castigato; gli ambasciatori del papa che furono costretti sul ponte del Lambro a mangiare la bolla della scomunica se non volevano bere l'acqua del fiume affogando; i festini e le orgette in castello, quasi piccole abbuffate, terminanti con la misteriosa liquidazione delle belle donne melegnanesi; i trabocchetti agli angoli della piazza castello; i sotterranei cupi che univano i punti più lontani di Melegnano; la casa dei cani a Pedriano. Questi raccolti e storielle, che furono composti e divulgati nel medioevo ed anche dopo da parecchi novellieri, hanno pure un loro significato di fondo, anche se nelle narrazioni entrarono motivi inventati o elementi soggettivi con ricchezza di particolari per dare espressività, colore, scenografia e teatralità; ma al di là delle frange retoriche sta un nucleo di verità storica. La novella della scomumca, infatti, raccontava che due ambasciatori del papa portavano la bolla della scomunica a Bernabò, che aveva ripetutamente occupato i terreni e le città del dominio della Chiesa. Bernabò attese i rappresentanti papali sul ponte del Lambro a Melegnano e comandò ai due ambasciatori di scegliere: o mangiare la bolla della scomunica o bere l'acqua del Lambro perchè sarebbero stati gettati dentro al fiume che passava sotto il ponte. I due ambasciatori rimasero sbigottiti, e sotto lo sguardo feroce e divertito di Bernabò mangiarono pezzo per pezzo la bolla della scomunica che era di pelle di animale con il cordoncino ed il sigillo di cera lacca. In realtà, e sul terreno strettamente storico, i Visconti di Milano erano stati più volte scomunicati e si stavano abituando alle scomuniche papali. Matteo Visconti, nonno di Bernabò fu scomunicato dal papa Giovanni XXII°. Lo zio arcivescovo di Milano, Giovanni Visconti, fu scomunicato dal papa Clemente VI°. Lo stesso Bernabò fu scomunicato più volte sia dal papa Urbano V° sia da Gregorio XI°, scomuniche che poi, o venivano assolte o erano alleggerite. Il motivo era quasi sempre economico: la lotta per il possesso delle terre dell'Italia centrale, specialmente di Bologna che il papa voleva per se', mentre i Visconti desideravano annetterle al loro dominio.  La storiella del contadino che riaccompagnò al castello di Melegnano Bernabò, quando una sera si smarrì nei boschi circostanti mentre era a caccia, offrirebbe molta materia per una conoscenza di vita minore e quotidiana di Melegnano: le famiglie melegnanesi sono ricordate come molto accoglienti; il paese è descritto come rifornito di tutte le necessità per gli smarriti; i sudditi correvano incontro al loro signore Bernabò con le fiaccole; e Bernabò, che evidentemente non era conosciuto da quel contadino accompagnatore, era descritto come un tiranno. E, quando giunto a Melegnano, il contadino si accorse che aveva accompagnato Bernabò in persona, mangiò in castello perchè era stato invitato, ma tremava in cuor suo in attesa della vendetta di Bernabò per i giudizi sfavorevoli. Ma questa storiella mette in evidenza la realtà storica di un Bernabò che va a caccia: e tutti i Visconti furono gran cacciatori che emanarono speciali leggi per la difesa monopolistica delle loro riserve ducali. Nel 1393 un nipote di Bernabò pubblicò un editto sulla caccia: fu proibito andare a caccia di cervi in tutto lo stato; furono riservate le zone designate alla caccia per il duca: a Desio, Monza, Melegnano, Pandino, Belgioioso, Cussago, Vigevano, Abbiategrasso. In tali località era anche proibito rompere le siepi fatte con le frasche. Inoltre tale storiella mette bene in evidenza il carattere capriccioso, strano e bizzarro di Bernabò, perchè‚ il contadino non solo fu salvo, ma anche premiato da Bernabò nonostante la confessione aperta dei misfatti come portavoce dell'opinione di tutto il popolo. Attorno alla figura di Bernabò si collocavano anche le  descrizioni tradizionali melegnanesi sulla presenza di sotterranei e di cunicoli che collegavano il castello con la chiesa di San Giovanni o con altre località dentro e fuori di Melegnano. La questione dei sotterranei potrebbe essere avvincente se avesse al suo sostegno qualche documento e non soltanto la fantasia del popolo melegnanese. Inoltre la forma del territorio melegnanese e la presenza del Lambro con un alveo molto basso ponevano gravi problemi per l'apertura di sotterranei. Nei lavori di sterro per le fondamenta di case, per le fognature civiche o per gli impianti del gas e dell'acqua si sono trovati i resti delle mura di difesa perimetrali, ma non mai il segno vero di un autentico sotterraneo. La giurisdizione di Bernabò era ampia, da Melegnano a Pandino a Vaprio d'Adda, Lodi, Parma ed oltre. Nacque nel 1323 e morì il 19 dicembre 1385 nel castello di Trezzo, forse avvelenato dal nipote Gian Galeazzo, figlio di suo fratello, che riunirà in una sola persona tutto il dominio visconteo e che sarà nominato primo duca di Milano. Sembra che per un figlio naturale di Bernabò fu  costruito quel palazzo che si trova in piazza Garibaldi e che ospita il Bar Centrale, con l'interno ricco di sale e di appartamenti e con sale superiori cui si arriva da uno scalone; quel palazzo per secoli fu fiancheggiato da un vasto giardino, e la piazza antistante era detta piazza Visconti. 
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