Francesco Perezzoli detto "il
Ferrarino"
A lungo penalizzata dall'imbarazzante e ravvicinato
confronto con le gloriose vicende dei secoli che la precedono e la seguono,
la "pittura veronese" tra il Sei e Settecento è ancora oggi un terreno
fertile, che offre a chi lo indaga soprese non da poco. Così è
stato per "Francesco Perezzoli o Perrezzolli detto il Ferrarino" , il poco
noto ma estroso pittore di Verona , che sotto la guida di "Giulio Carpioni
(1611-1679)" acquisì le tecniche, le metodologie e stile di
questi, riproponendole inferenziate poi nei dipinti ed affreschi del suo
periodo milanese. Questo periodo , Dal Pozzo lo ricomprende, nella "seconda
maniera" dell'Artista, tanto diversa e inconfondibile con la prima;
il Ferrarino per evidenziare la sua affrancazione dal Carpioni con il suo
propositivo nuovo stile, soleva farsi riconoscere, nel periodo di permanenza
nel milanese, come "Francesco Veronese". Proprio in questo
secondo periodo artistico, quindi, Francesco Perezzoli, fu attivo a Melegnano.
A lui il canonico Coldani attribuisce, nel "Ragguaglio del 1752" 7 appunto
con l'appellativo di "Veronese", la paternità di cinque dipinti
che erano situati nella Chiesa Preposituale di San Giovanni Battista di
Melegnano. Il nostro storico contemporaneo Cesare Amelli ha focalizzato,
di recente, l'attenzione proprio su Francesco Perezzoli, pubblicando un
libro in concomitanza del restauro di un quadro dell'Artista nel
1994. Il restauro e la successiva mostra ha avuto il merito di riaccendere
l'interesse sull'autore veronese del quale tratteremo in modo esaustivo
quanto ci è dato sapere, attingendo da materiale di diversa fonte
quale: "Le vite de' pittori. Degli scultori, et architetti veronesi. Raccolte
da vari Autori stampati, e manuscritti, e da altre particolari memorie."
di Bartolomeo Dal Pozzo Verona MDCCXVII; "Saggio bio-bibliografico e tavole
vol.II". di Dal Pozzo; "La pittura a Verona tra Sei e Settecento" di AA.VV.;
"Due dipinti portati alla luce" di Carol J.Modica - Cesare Amelli;
"Ragguaglio della Chiesa di San Giovanni Batt.a del Borgo di Melegnano
del 4 settembre 1752" di Giacinto Coldani canonico della suddetta chiesa.
Il pittore Francesco Perezzoli detto il "Ferrarino" secondo il Rognini
nacque nel 1661, precisando con ciò che l'alunnato con Carpioni,
morto nel 1679, fu un capitolo assai giovanile seppur determinante nella
sua formazione. Fu soprannominato il Ferrarino per il mestiere del padre,
a tal proposito il Dal Pozzo dice: "Hebbe il Perezzoli il sopra nome di
Ferrarino dall'arte di ferraio, ch'esecitava Antonio suo padre". Circa
la biografia continua dicendo: "Fu allievo di Giulio Carpioni, mentre habitava
in Verona, e seguendo il suo stile, ne riportò molta lode. Portossi
poi a Roma, e trattenutosi per alquanto tempo in Bologna, studiando in
quelle scuole, fece dubbio col cambiar dalla sua prima maniera Carpionesca
se piu' acquistasse o perdette il concetto" Quindi oramai svincolato dalla
scuola Carpionesca iniziò un periodo nuovo intraprendendo, in concomitanza
del periodo milanese, la c.d. Seconda Maniera, stile questo del Veronese
presente nel dipinto "La danzatrice reale che porta ad Erode il capo di
Giovanni (Il banchetto di Erode)" esposto nella Basilica Minore di San
Giovanni Battista a Melegnano. Circa il suddetto periodo il Dal Pozzo conclude
: "Ultimamente stabilissi in Milano, dove con primario gridò fra
quei pittori và pubblicando le sue opere. Però essendo statto
quasi sempre assente dalla Patria, non habbiamo in Verona, che le primitive
del suo pennello, quali si veggono in S.Maria della Vittoria nella Cappella
di S.Anna (Verona Pinacoteca Comunale), dove fece l'Ancona, e i due laterali.
In S.Paolo fece il laterale destro nella Cappella della Madonna, e nella
Chiesa de gli Angeli le due Pale della Madonna, e di S.Giuseppe con qualche
altra opera nelle case de particolari". Nel periodo veronese il Ferrarino
ebbe come suo allievo Ignatio (Ignazio) Benoli detto Borno che successivamente
si diede alla miniatura. Quanto resta comunque del Perezzoli ne fa
un autore interessante, ma dalla fisionomia ancora tutta da precisare.
La parabola artistica del pittore inizia, fra l'altro, con l'opera
giovanile: la Pala di S.Maria della Vittoria, ancora strettamente
carpionesca; successivamente con le due tele del fregio di S.Nicolò
mostrano la conoscenza di Sebastiano Ricci (1659-1734) e del bolognese
Giovan Gioseffo Dal Sole (1654-1719), confermando peraltro l'attenzione,
in questo pittore intellettualistico, per la natura morta. Le due tele
firmate "Francesco Veronese" attualmente a Londra in una collezione privata,
mostrano un pittore di educazione romana , e di gusto diversissimo; può
essere che sia stato lui a portare a Verona quell'insieme di elementi attinti
dalla scuola romana e di Dal Sole che compaiono in certi suoi dipinti.
Fu certamente un pittore di gusti classicistici e come tale ebbe le riserve
di Bartolomeo Dal Pozzo, che diversamente gradiva quelli ancora in qualche
modo barocchi. La data di morte del Ferrarino (anche Ferarino), fornita
dal Zannandreis, fu il 1772 che testualmente dice: " ...morì in
Milano, ove non era conosciuto per altro nome che di Francesco Veronese
l'anno 1772..." Il Perezzoli compare peraltro fra una lista di pittori
gravitanti in Milano e nella Lombardia orientale, nei primi del Settecento,
fra cui: Antonio Balestra (1666-1740), Simone Brentana (1656-1741), Sante
Prunati (1652-1728), Michelangelo Prunati (1690-1756), Antonio Calza (1653-1725),
Alessandro Marchesini (1664-1738) e il pittore bresciano Tortelli. Una
simile biografia, dagli orizzonti decisamente limitati, contribuisce a
spiegare il silenzio quasi totale delle fonti Settecentesche, ma non può
essere intesa come indizio di un percorso figurativo di retroguardia. Dal
suo osservatorio veronese, il Ferrarino dimostra di seguire con attenzione
i fatti che scandivano la vita artistica Veneta tant'è che non esitò
a recarsi anche a Bologna, Roma e Milano. Durante i suoi frequenti spostamenti
il pittore dovette studiare tecniche derivanti da scuole diverse da quella
da lui conosciuta del Carpioni; comunque non dovette faticare molto ad
acquisire le nuove tendenze in voga concernenti anche opere drammatiche
imbevute del brutale realismo dei "tenebrosi" appunto di gran moda presso
vari collezionisti sia veneti che lombardi del Settecento. La prova che
il Perezzoli si aggiornasse su tutto ciò è riscontrata dalla
serie ciclica di "telèri" commissionati a spese dalla Comunità
di Melegnano, motivati da un voto fatto nel 1630 e confermato il giorno
28 agosto 1708, per la festa della decollazione (festa patronale). Il Ferrarino
giunse a Melegnano identificandosi come "Francesco Veronese" a lui
lo storico Coldani ne attribuisce cinque dei dieci commissionati, della
tematica del Battista, che sono: la "Raffigurazione di S.Giovanni Battista
ancora giovinetto nel deserto" ; "Il Battesimo di Cristo"; "Il Precursore
che redarguisce Erode dell'incestuoso adulterio con la moglie del fratello
Filippo"; "Il Battista preso dalla soldatesca per ordine di Erode"
; "La danzatrice reale che porta ad Erode il capo di Giovanni". Di quest'ultimo
telèro, essendo visionabile, abbiamo avuto modo di discernere, oltre
la pittura, l'aspetto morale che l'artista ha voluto comunicare. L'artista,
nella rappresentazione tragica, si trova impegnato a manifestare gli elementi
che si sprigionano nel momento decisivo in cui "Salomè" la
danzatrice porta su un vassoio la "testa del Battista", mostrandola ad
Erode ed Erodiade, l'Artista dovendo mettere al mondo delle creature
che vivono e patiscono una circostanza avversa, è costretto a fantasticare
sul terreno psicologico dando vita ed anima alle figure sceneggiate. I
personaggi, così, sprigionano, con decisa violenza, tutto il loro
essere; quindi i loro caratteri interni vengono a svelarsi con estrema
vitalità. L'espressione drammatica è stata riconosciuta non
solo nella scena, nel moto delle figure e nella rappresentazione
dei soggetti ma anche nel moto pittorico, nell'intrinseco della materia
tecnica. La personalità del Ferrarino a proposito dei sopracitati
dipinti ci ha indotto ad ampliare le ricerche sull'Artista di origini veronesi
e, attraverso il saggio di Alberto Cottino: "Un pittore veronese
a Milano all'inizio del Settecento, Francesco Perezzoli", abbiamo
avuto diverse conferme e riscontri circa la permanenza del pittore
a Melegnano. La scoperta del Perezzoli pittore a Melegnano - come già
accennato - è comunque da attribuire a Cesare Amelli, studioso e
cultore di storia locale, in quanto sappiamo che nel manoscritto del Coldani
l'Artista veniva riportato, quasi in forma dialettale, come Verezzolli
e non Perezzoli. Nel periodo di permanenza nel milanese l'Artista era solito
farsi chiamare anche "Francesco Veronese", questi, fra i numi tutelari
della propria formazione, ebbe inclusa la personalità del Carpioni,
tastimoniata da bellissimi dipinti tra cui "Venere e il pastore"
e "Cristo e l'adultera" attualmente rinvenibili entrambi al Museo
Civico di Monza. I dipinti sono di dimensioni monumentali e nella scena,
di non immediata decifrazione, ma che potrebbe ricollegarsi ad un episodio
della vita di Cristo l'uno e dei Miti pagani l'altro, lo spazio è
costruito per fughe prospettiche aventi la pennellata che ha una febbrile
mobilità che contraddistinguono l'intera opera del Perezzoli, che
tra l'altro riconduce, proprio per il preciso filo stilistico e qualitativo,
ineluttabilmente all'Artista veronese. Sino a pochi anni fa l'opera del
Perezzoli giaceva pressochè nell'anonimato sfuggita a qualunque
catalogazione, solo nel 1984 iniziò a comparire sul mercato antiquario
torinese con due curiosissime tele raffiguranti "Marte e Venere circondati
da un nugolo di amorini", in pendant con "La toeletta di Venere".
Entrambi i dipinti, dalla straordinaria e maliziosa iconografia, presentano
decine e decine di amorini svolazzanti nelle pose più varie, contro
uno sfondo ricco di edifici classicheggianti e con sicuro effetto decorativo
pienamente barocchetto . Affiora, in questi dipinti, l'inconfondibile
sostrato culturale genericamente carpionesco , arricchito in direzione
emiliana, ma riveduto e corretto attraverso un'intelligente meditazione
sul Gaulli romano, non solo sulle glorie angeliche, ma soprattutto sui
suoi bozzetti e modelli, con esiti non lontani, ad esempio, da Giovanni
Odazzi, con cui mostra più parentela artistica. Il "Ferrarino"
possiede anche un'inconfondibile stile che si ripete nei corpi, sempre
slanciati e sinuosi e nei volti femminili, caratterizzati da una pettinatura
classicheggiante e da un curioso e ammiccante sorriso, chi non riconoscerebbe
nella "Rebecca" al pozzo la stessa "danzatrice reale" che porta ad
Erode la testa del Battista, telèro questo restaurato nel 1995 e
rinvenibile nella Basilica Minore in Melegnano già Preposituale
dedicata alla decollazione di San Giovanni Battista. Il corpus, di
questo pittore rimasto per parecchi anni pressochè anonimo, è
comunque ampio con dipinti tutti ritrovati essenzialmente in Piemonte e
Lombardia, tanto che a questo punto l'ipotesi più attendibile rimane
quella che ci si trovi di fronte ad un artista lungamente attivo
in queste regioni. Tra i quadri più significativi e impegnativi
per qualità e dimensioni vi è senz'altro la "Venere che legge
la mano ad Adone", la cui appartenenza al nostro pittore è evidente,
basta osservare la sovrapponibilità dei volti femminili, nonchè
la ripetizione di alcuni particolari quali l'edificio classicheggiante
con cupola. I dipinti raffiguranti "Rebecca al pozzo" e "Mosè
salvato dalle acque" attribuite genericamente alla Scuola bolognese del
XVII secolo, e la tela del Museo di Monza raffigurante "Venere e
il pastore" ascritta a Giulio Carpioni, ci portano ad una datazione
più antica del pittore e quindi costituire una chiave di lettura
fondamentale per la comprensione della sua personalità: si tratterebbe
infatti di veri e propri rifacimenti carpioneschi, ma la figura di Venere
presenta già l'inconfondibile marchio delle figure femminili viste
in precedenza, la grafia pittorica è la stessa, per cui non vi sono
dubbi sull'ascrizione al nostro anonimo; il rapporto col Carpioni,
tuttavia, è più evidente del solito, ed è infatti
tra i suoi seguaci che conviene cercare l'autore di questi dipinti, un
seguace che stempera l'asprezza del segno carpionesco con lo stile più
morbito degli emiliani, ma che conosce molto bene il barocco romano ed
i suoi orientamenti decorativi. La soluzione a questo complesso rebus,
evidentemente stava nella scoperta di un documento certo o di un dipinto
firmato: il documento certo potrebbe essere senz'altro il "manoscritto
Coldani" che però sappiamo riportava il nome del Perezzoli erroneamete,
mentre il dipinto firmato fu rinvenuto a Londra nel 1978, "la Sacra famiglia
con San Giovannino" e "L'educazione della Vergine" che erano
firmati sul retro " Francesco Veronese Original" , che ora sappiamo corrispondere
a Francesco Perezzoli detto "Il Ferrarino" (Verona 1661- Milano 1722).
La conferma si ebbe successivamente al rinvenimento di un'altra piccola
tela raffigurante "L'educaziuone di Cupido" firmata , questa volta sul
telaio, "Francesco Perezzoli" . Nessuno sapeva sino a qualche anno
fa della presenza del Ferrarino a Melegnano, quindi, questo vuol
essere un doveroso risarcimento all'opera di questo petit-maitre, di cui
avremmo modo in futuro di commentare e rivisitare chissà quante
altre opere inedite. |
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