Le
veloci galere venivano costruite nell’Arsenale di Venezia, definito
dal Senato della Serenissima “cuore” dello stato veneto, dove lavoravano
circa 16 mila carpentieri, chiamati “marangoni”. Costruivano per lo più
galee o galere, navi da guerra, a vela ed a remi, i quali servivano soltanto
a manovrare meglio nei porti, nei combattimenti ed a navigare contro vento,
ma anche navi tonde a vela, per il commercio con l’oriente e le galeazze,
più armate ed usate per la prima volta a Lepanto. Venezia
era una piccola repubblica marinara con un lembo di terraferma, che sopravviveva
grazie alla sua flotta che commerciava con l’oriente e solo da questo commercio
traeva ricchezza e potere. Tutta la sua storia è un continuo
succedersi di vicende guerresche per la sua sopravvivenza, ma la
lotta più dura era quella combattuta contro i vari signori del retroterra
che volevano soffocarla. Combatte per più di duecento anni contro
Genova in una lotta mortale fino al 1381, quando i genovesi scompaiono
come potenza politica. Ma è soprattutto contro i turchi ottomani
che Venezia aveva combattuto per quasi 400 anni, per mare e
per terra. L’impero ottomano era immenso, mille volte più
grande della piccola repubblica di Venezia, i turchi erano dilagati nei
Balcani, si erano impadroniti di tutto il mondo arabo e lo scontro
con Venezia era stato inevitabile. A Candia le forze ottomane
vennero tenute in scacco per 25 anni da forze veneziane relativamente modeste
e questa guerra mobilitò tutte le risorse della repubblica,
ma Venezia, anche nei momenti più drammatici, si preoccupava
di non arrivare mai ad una situazione dalla quale non si potesse uscire
con un negoziato, non voleva una guerra totale, come invece la volevano
i papi. Lottò contro i turchi cercando sempre
di arrivare ad una soluzione negoziata e la ragione era sempre la
stessa, non tagliare le gambe al commercio con il levante, ossigeno vitale
per la sua economia.
La conseguenza fu una situazione ambigua, per cui tra Venezia
ed i turchi si era creato uno strano rapporto che qualcuno definì
“frères ennemis” , il turco identificava in Venezia
la civiltà occidentale, che la sua morale islamica lo obbligava
a combattere, ma in fondo al suo cuore l’ammirava e voleva imitare.
Il mio racconto è terminato, è solo un piccolo
ma inedito frammento della storia di una guerra durata più di quattro
secoli tra la Serenissima e l’Impero Ottomano..
Ringrazio Ivica per le ore perdute nel raccontarmi con pazienza quello
che sapeva sull’argomento e per avermi portato nelle varie località
dalmate dove si era combattuto parte di questa guerra.
Tra qualche giorno sarò a Melegnano per consegnare ad Ettore
Rossoni questo mio scritto ed avere un suo giudizio. Andrò,
come sempre, in cimitero per portare dei fiori sulla tomba di mia figlia
Elena che riposa a fianco di sua nonna Esther Mladineo della Brazza, mia
madre e diretta discendente di Juraj. |