Moshè, come dicevo, aveva dovuto fuggire per qualche anno nel deserto di Madian, ed aveva consigliato anche a me un periodo di riposo nel deserto, per chiarirmi le idee, Ma dove lo trovo, al giorno d’oggi un deserto tranquillo ?
I miei deserti erano il Sinai e il Negheb, la valle di Timnà, tutti trasformati in
possibili campi minati. Moshè visse felice nel deserto del Madian, poi dovette tornare in Egitto, perchè il Dio dei suoi padri gli aveva affidato la missione di liberare dalla servitù il popolo ebraico. Organizzò con suo fratelo Aaronne l’esodo senza causare vittime e diventò per quaranta lunghi anni il Grande Timoniere, attraversando con la sua gente l’impossibile e salendo due volte sul Sinai per portare a loro la Legge.
A 120 anni la morte l’aspettava sul monte Nebo, con il rimpianto di poter solo contemplare da lontano la meta agognata, sparendo così dalla storia, perchè Geova aveva dato l’ordine di seppellirlo in un luogo segreto per impedire che il suo popolo commettesse l’errore di una falsa adorazione. Ma Moshè era ormai un mito e persino Maometto lo annoverava tra i grandi profeti del passato.
Parlando della sua vita, avevo recepito il messaggio che Moshè mi aveva trasmesso:
rispetta sempre la personalità degli altri, con gli umili sii sempre giusto e virtuoso, quando parli con il tuo prossimo, la superbia e l’arroganza sono una grave colpa.
Avevo iniziato con un articolo di Tullio De Mauro, di estrazione sicuramente filosofica, il quale, durante una intervista del febbraio 1995 sull' origine del linguaggio, aveva affermato che il problema di per se era piuttosto banale e il suo aspetto caratteristico consisteva nell' enorme numero di lingue esistenti, non per cause ambientali, ma a ragioni culturali e quì tira in ballo Epicuro e Lucrezio con la sua" De rerum naturae ". A questo punto mi ero reso conto che i suoi discorsi non mi portavano a quello che cercavo. Anche l'impostazione degli archeologi del linguaggio non mi andava bene e l'aver trovato in una caverna di Israele un osso ioide non poteva giustificare il linguista russo Vitalj Sevorskin ad arrivare alla conclusione che agli albori dell'umanità esistesse una lingua madre comune e che tutte le tremila lingue già esistenti fossero nate per clonazione di questa. ipotesi affascinante ma
priva di una seria documentazione. Per di più già nel 1786 lo studioso William Jones
giudice inglese che lavorava in India, studiando lo sanscrito, aveva notato che questa antica lingua indiana somigliava non solo al latino ed il greco, ma anche ad alcune lingue nordiche, come il gotico.
William Jones sosteneva anche lui che il fatto era possibile in quanto derivavano da una lingua comune, l'indoeuropeo, che aveva iniziato a diffondersi in tutto il mondo, partendo circa settemila anni fa dall’Anatolia. Anche questa teoria fu dapprima abbandonata e poi ripresa a metà del ventesimo secolo per opera di Vladislav IlieSvitye ed Aaron Dolgopolskij, che avevano individuato una super –famiglia linguistica che andava oltre l'indoeuropeo, chiamata" nostratico ", proto-linguaggio dell'umanità di quindicimila anni fa e a questo "nostratico" appartenevano l'indoeuropeo e tutte le altre lingue europee. Dolgopolskij continuò a seguire questa teoria russa priva di qualunque prova. Era l'epoca in cui il " regime sovietico" voleva avere sempre ragione in tutti i campi. Nel 1961 riuscì a battere gli americani con il primo volo spaziale di Jiuri Gagarin. Atteggiamenti puerili simili li ebbe anche il fascismo, quando l'endocrinologo Nicola Pende inventò, sul modello di "libro e moschetto fascista perfetto" l' italiano atletico e guerriero che Mussolini s'illudeva di aver creato facendogli indossare la camicia nera.
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