Sono convinto che la culla di tutta l’umanità sia la Rift Valley dell’Africa Orientale,
ma non tutti gli studiosi sono d’accordo, per cui, se l’ipotesi “ out of Africa “ fosse valida, l’umanità avrebbe invece diverse origini, l’Africa, l’ Europa, la Cina, forse anche Giava, per la discendenza australiana e la Georgia del Caucaso, con l’antico Homo ergaster di Dmanisi.
Riprendendo il discorso della provenienza africana dell’uomo, l’evento fondamentale fu uno scontro catastrofico delle faglie galleggianti che provocò una trasformazione radicale dell’ecosistema in una parte dell’Africa Orientale, per cui si formò la lunga spaccatura, nota come Rift Valley, che va dalla Turchia alla foce dello Zambesi. Questa Rift Valley coinvolse vaste zone del Kenia, lago Turkana, e della Tanzania, Gola di Olduvai, nelle quali, questi primati rimasti isolati, per sopravvivere furono costretti a cambiare alimentazione, non più consumata sui rami più alti degli alberi, ma raccolta e portata nella tana. Si passò infatti dalla foresta tropicale alla savana, con l’erba alta anche due metri, per cui questi Ramapithecus dovettero anche cambiare metodo di difesa. Per controllare l’eventuale vicinanza di predatori, i erano costretti ad alzarsi molto spesso sulle zampe posteriori, diventando, dopo molti anni di ginnastica , 4 zampe, 2 zampe, 4 zampe e così via, bipedi e in più ebbero le due mani libere. Per quanto riguarda il linguaggio non sarà facile dare una risposta, infatti l’uomo ha molte facoltà che possiede come perfezionamento di funzioni già presenti negli animali, mentre il linguaggio e la coscienza sono prerogative solo sue.
Ultimamente si è parlato di un gene regolatore del linguaggio, il F0XP2, che era alterato in un certo tipo di disturbi, per cui oggi si ritiene che sia questo misterioso gene a dare la parola all’uomo. L’ homo comparso circa 40.000 anni fa nel Paleolitico superiore aveva probabilmente una forma di linguaggio per comunicare con i suoi simili, mentre è un problema capire in quale epoca il linguaggio comparve e cominciò a evolversi presso gli ominidi.
In Europa, nel Paleolitico medio ( 100.000 a.C. ), faceva piuttosto freddo per la glaciazione di Riss, terminata da poco. Verso i 75.000 anni a.C., all’inizio di quella di Wuerm, arrivò in questa zona, con donne, figli e parenti, l’ homo erectus. Veniva chiamato anche Neanderthal perchè i suoi resti furono trovati nei pressi di Duesseldorf in Germania. Era basso di statura, tarchiato, con un cervello del volume di circa 2000 ml, molto muscoloso, dedito alla caccia e raccoglitore.. Vivevano in grandi caverne, aiutandosi molto a vicenda. Gli uomini cacciavano grossi animali, cervi, cinghiali, orsi e conigli, per sfamare tutti giornalmente. Per la caccia usavano pietre levigate, grandi ossa trasformate in punteruoli e i bambini raccoglievano frutti di bosco. Non parlavano, ma s’intendevano con suoni e gesti. I morti venivano seppelliti, adagiandoli su di un fianco e cospargendo il cranio con ocra rossa.
Nel paleolitico superiore ( 40.000 a.C. ) arrivò nella stessa zona l’homo sapiens, con un insieme di nuovi metodi comportamentali (cultura Cro – Magnon con sculture e pitture rupestri, culto dei defunti, lavorazione della pietra). Era più alto dell’erectus, con un cranio dolicocefalo, cioè un cranio con i diametri longitudinali che prevalgono sui trasversali, faccia e naso normale. Tutti questi uomini “ nuovi “, per consolidare le innovazioni comportamentali, si fusero con quelli “ erectus ”, avevano entrambi un cervello sui 2000 ml, cioè l’esperienza dell’ homo erectus si integrò con le novità portate dall’homo sapiens. Andavano molto d’accordo, non parlavano, ma si intendevano emettendo suoni. Dopo qualche decennio i due gruppi si erano praticamente fusi, lavoravano insieme, i bambini giocano tra di loro, emettendo anche loro solo suoni. Ma dopo la fusione, qualcosa era cambiato, sembravano tutti più svegli, più intelligenti, per la caccia avevano inventato trappole, fossati mimetizzati per catturare grossi animali, avevano imparato a pescare e a cacciare insieme, con risultati migliori.
Evidentemente nel loro cervello, man mano che i giovani prendevano il posto degli anziani che morivano, si andava verificando l’effetto computer, cioè il cervello aveva un nuovo sistema operativo, un risultato inaspettato e non prevedibile. Il numero dei neuroni invece non superò mai 150.000 per centimetro cubico, rimanendo tali per tutta la vita. Oggi sappiamo che il nostro cervello mantiene a lungo una “ plasticità “ dei neuroni spiccata, per cui la nostra memoria dipende dalla quantità di connessioni sinaptiche attive, che, con un allenamento continuo, potranno rimanere attive ed anche aumentare. Nel cervello si possono costituire vie preferenzali, che si rinforzano e si ipertrofizzano se i neuroni lavorano, si atrofizzano e muoiono in caso contrario. Ogni emisfero cerebrale è diviso in quattro
lobi. Quello frontale è responsabile del movimento e di alcuni aspetti delle emozioni, quello occipitale riguarda la visione, quello temporale è importante per la memoria, quello parietale integra le informazioni che affluiscono al cervello per i canali sensoriali della visione, dell’udito , dell’olfatto e del tatto. Alcuni scienziati del Colorado hanno suggerito che , per l’affermazione del linguaggio era stata determinante una fase che implicava un repertorio particolare dei gesti. L’abitudine universale di gesticolare quando si parla rappresenta forse un aspetto arcaico dello sviluppo umano del linguaggio. La teoria gestuale delle origini del linguaggio è connessa alla crescente complessità della tecnologia, cioè ad un maggior controllo manuale nella manifattura di utensili, che va di pari passo con la crescente abilità di esecuzione di gesti precisi. In poche parole uno si fa capire meglio con i gesti e fa utensili migliori. Lo studioso Fouts indica la lingua come l’organo chiave nell’origine del linguaggio, per cui, per parlare, si deve essere in grado di bloccare la lingua nella bocca in cinque posizioni diverse. I bambini inventano nuovi giochi e devono inventare anche suoni diversi per distinguere un gioco dall’altro. Da qui nasce l’acquisizione di un prelinguaggio da parte dei bambini, esempio classico di epigenesi, cioè di sviluppo graduale del germe indifferenziato che porterà, con un enorme balzo conoscitivo, dai suoni al linguaggio vero e proprio. Per arrivare a questo risultato avrà contribuito anche l’istinto materno, in quanto ogni madre alla sera avrà preteso di coricarsi accanto ai suoi figli e i primi ma ma, pa pa sono nati dove esisteva una famiglia.
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