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Le invasioni degli Ungari |
La storia degli Ungheresi è
contrassegnata dalle molteplici serie delle loro rovinose devastazioni.
Dall'estate dell'anno 899 a quello del 900 essi scorazzano per la pianura
del Po, da Milano a Piacenza, devastando, incendiando, rapinando, per poi
tornare al loro paese stracarichi di bottino. Ritornano negli anni 921-922.
Eccoli nella pianura padana; e la vicina Pavia, l'anno 924, è rasa
al suolo e incendiata. Che cosa facessero questi barbari lo sappiamo da
un cronista di nome Regino che dice: questi barbari violano e saccheggiano
le chiese, profanano empiamente le sacre reliquie, bruciano le messi e
le foreste, massacrano i maschi, mutilano i fanciulli o, come paurosamente
si sussurra, ne bevono il sangue e ne divorano le carni; questi Magiari,
gente ferocissima e più crudele delle belve, desiderano solo rapinare,
fare bottino, uccidere. L'anno 924 è l'anno del flagello ungherese:
la Sassonia, il Veneto, la Lombardia, il Piemonte, la Provenza, la Borgognona,
la Linguadoca sperimentano la ferocia di quei barbari.
L'accampamento di Corrado il Salico Si creò ancora un motivo di preoccupazione per i Melegnanesi dopo le invasioni ungare: l'arrivo dell'imperatore di Germania e d'Italia, Corrado Il, detto il Salico, un uomo duro e tenace, realistico e deciso. Egli rivolse le sue mira politiche a consolidare il suo prestigio e la sua autorità imperiale in Germania ed in Italia. A Milano l'arcivescovo Ariberto d'Intimiano (+ 1045) era in lotta aperta contro i suoi vassalli su parecchie questioni amministrative ed economiche. E tutte e due le parti continuavano a ricorrere all'imperatore. Corrado fu in Italia. Diede ragione ai valvassori. Accusò l'arcivescovo e lo chiamò a scusarsi; ma, al rifiuto sdegnoso arcivescovile, Corrado tentò di farlo arrestare, senza riuscirvi perchè Ariberto potè fuggire. Allora Corrado, partendo da Piacenza, venne verso Milano. Divise l'esercito in piccoli gruppi ed in ordine sparso, e giunse sotto le mura di Milano, costeggiando la Vettabia. In questa zona, ormai stanco, si fermò, pose il suo accampamento e le sue tende. Contemporaneamente le campagne si erano andate coprendo di castelli: castelli costruiti da vescovi, abati, signori feudali, ricchi proprietari terrieri, che si giovavano della collaborazione volontaria o forzata delle popolazioni locali, a cui il castello avrebbe poi dato rifugio; gruppi più o meno numerosi di vicini compiono il lavoro di costruzione, di propria iniziativa ed a proprie spese. Il castello diventa un elemento di organizzazione territoriale, così che le nuove costruzioni non cessano con il cessare delle incursioni, ma accompagnano e sostengono quasi lo sciamare delle popolazioni che lasciano i centri in cui si erano rifugiate e vanno a popolare la campagna di nuovi villaggi, mentre fuori delle città sorgono nuove chiese, nuovi conventi. E' in questo contesto storico che si dovrebbe inserire anche la costruzione di un castello a Melegnano, dove ora sorge il cimitero comunale, al di là della Via Emilia, sulla Strada Vecchia Cerca; lì sorgeva una costruzione che già nel 1400 era chiamata il Castelvecchio, o Castrovegio, poi gradatamente demolito ed infine del tutto atterrato nella metà del 1500. Lo stesso nome castelvecchio potrebbe riportare indietro di tre o quattro secoli la costruzione sua, precisamente all'epoca degli invasori ungari. Le curtis Noi, purtroppo, ci troviamo nella impossibilità di chiarire la situazione socioeconomica di questi tempi nel territorio interno alle mura di Melegnano. A parte il centro storico, enucleato accanto alla chiesa di San Giovanni, potremmo ritenere che la presenza delle cascine agricole stabiliva e delineava la vita stessa degli abitanti: fino a qualche decennio fa, entro il territorio del Comune di Melegnano, operavano ben quindici cascine, la cui primaria funzione era quella della coltivazione-sfruttamento dei campi. Ma quello che vogliamo evidenziare è questo: la forma delle nostre cascine ha la forma della curtis padronale; era un centro amministrativo del terreno agricolo ed era materialmente formato da una serie di edifici che comprendevano l'abitazione del padrone o del suo amministratore, i magazzini, i depositi di carri e di attrezzi agricoli, le stalle, le officine, le abitazioni dei contadini. I più anziani tra noi ricorderanno la forma di queste cascine a corte: la Pallavicina, la cascina Montorfano, la Palazia, la cascina Carmine, la Maiocchetta. Qui la produzione agricola non era a regime chiuso, ma era convogliata in gran parte al mercato. Nella maggior parte dei casi il residente responsabile della cascina dipendeva da un proprietario più ricco, conte, alto funzionario, vescovo, abate, signore laico, e questi poteva liberamente, a suo capriccio, trasferire il beneficio terriero ad altri. E così troviamo che grandi signori laici, chiese episcopali, capitoli canonicali, abbazie, si circondano di dipendenti vassalli, moltiplicando le relazioni personali. Seniores e capitanei Questo tipo di relazione economica sociale ha dato sviluppo alla formazione di famiglie, di casate, con i quali nomi si volevano indicare non le singole persone, ma la collettività dei vassalli di un signore. Anche la parola senior, che vuol dire il più vecchio, esprime la presenza di un capofamiglia necessariamente il più anziano e che era la massima autorità su tutto il gruppo. Nell'Italia centro-settentrionale, a partire dalla seconda metà del secolo X, il senior riceve il giuramento da parte del vassallo subalterno che promette di difenderlo. In questo periodo il vassallo incomincia a chiamarsi miles, che è la parola indicata per qualificare il subalterno con funzioni di difesa come i soldati nell'esercito. Tra questi milites, vi erano quelli di importanza primaria e capitale, chiamati con il nome di capitanei, che dipendevano da ricchi conti o vescovi e che concedevano, ad altri più piccoli, terre e benefici, italianizzati con il nome di capitani, o cattani. Melegnano nel periodo barbarico Quale fosse l'esatto profilo del nostro paese nel periodo barbarico, o meglio: quale fosse la situazione melegnanese nel suo territorio centrale e circostante, rimane ancora oggi problematico. I resti, se così possiamo dire, sono diversi e quasi tutti del periodo longobardo o poco dopo; cioè essi proverebbero un innesto profondo della cultura longobarda e postlongobarda tra noi. I segni evidenti sarebbero questi: un frammento di scultura, che era murato in una parete della chiesa di Calvenzano, rappresentante un cavaliere a caccia con un cane; le pietre che stanno a fondamento della chiesa di Calvenzano, e che erano tombe o sarcofaghi, di epoca certamente anteriore al 1000; parecchi nomi di persona di origine longobarda che appaiono negli atti giuridici ed amministrativi (Arialdo, Teufredo, ecc.); la navigazione del Lambro e della Vettabia, nelle legislazione del re longobardo Liutprando che regnò dal 712 al 744; la viabilità attiva attraverso la strada romana (oggi Via Emilia) che da Milano portava all'antica Lodi (Laus Pompeia) e che passava per Melegnano; i terreni che un nobile di Milano, Ungeer, aveva a Melegnano, a Gnignano, a Carpiano nell' 836; il frammento di una Crocifissione, graffita su pietra, esistente ora presso il parroco di Vizzolo Predabissi, e che manifesta una fattura del periodo barbarico; forse (ma con scarse probabilità) anche la chiesa di San Giovanni Battista in Melegnano, il cui santo patrono, appunto San Giovanni Battista, era una figura notevole e ben accetta dai convertiti longobardi. Ma tutte queste emergenze storiche o probabilmente storiche non riescono a dare un esatto e ricco profilo della vita melegnanese nel periodo barbarico; ed ogni ipotesi è azzardata. Bisogna arrivare agli anni dopo il 1000 per assistere ad una Melegnano maggiormente presente nel tessuto sociale, o per assistere alle istituzioni sociali italiane, regionali o milanesi nel tessuto melegnanese. |
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