Galeazzo
Maria Sforza tentò di continuare la politica paterna e mantenne anche
buone relazioni con gli alleati, privilegiando la Francia; e non mancava
di buone qualità. Ma, oltre il confronto con l’alta figura del padre,
gli nuocevano i modi superbi e la dissolutezza della vita. Pesò sul
fisco inasprendo le tasse, sbagliò grossolanamente politica estera
con Venezia e con i Fiorentini - era il tempo del famoso Lorenzo il Magnifico
-, non ascoltava la voce dei consiglieri più quotati: il tutto sfociò
in una congiura di nobili milanesi già suoi amici, ai quali si aggiunsero
gli avversari anche per risentimenti personali. Il duca Galeazzo Maria cadde
pugnalato nella chiesa di Santo Stefano il 26 dicembre 1476. Si riapriva
la crisi del ducato. Il suo figlio, Gian Galeazzo II° aveva sette anni.
Rimanevano in vita come pretendenti i cognati di Bona: Sforza Maria, Lodovico
il Moro, Ottaviano, Ascanio. Lodovico il Moro era il più intemperante,
aveva 26 anni, brillante, furbo, tenace, machiavellico: tutti lo davano
come l’aspirante focoso al ducato, a tal punto che chiese alla vedova, Bona
di Savoia, sua cognata, di aiutarla nel comando e nell’amministrazione:
ella acconsentì; in tal modo i destini si maturavano tragicamente:
il segretario Cicco Simonetta fu decapitato; Bona di Savoia dovette ritirarsi
nel castello di Abbiategrasso; il figlio Gian Galeazzo che era il legittimo
duca fu relegato a vivere la giovinezza nel castello di Pavia, sotto la
buona cospirazione tutelativa dello zio Lodovico il Moro, colui che seppe
aspettare e riemergere dalla frana del ducato. Nel 1480 era l’incontrastato
dominatore, dopo due anni di reggenza collettiva. Lodovico il Moro
celebrò le nozze con Beatrice d’Este, figlia del duca di Ferrara;
ottenne il riconoscimento del titolo di duca dall’imperatore Massimiliano
d’Asburgo, ad onore del quale chiamò con lo stesso nome di Massimiliano
il suo figlio primogenito; mentre procurò al giovane nipote Gian
Galeazzo, relegato in Pavia, un clamoroso matrimonio con Isabella d’Aragona,
coltissima ed affascin ante: i due sposi dovettero, però, starsene
in un dorato e neutrale esilio in Pavia - invece lo zio, il re Ferdinando,
forte del suo regno di Napoli, pretendeva che la sua nipote avesse una sorte
migliore ai vertici del ducato -.
Le invasioni straniere contro
il ducato
Già dal secolo XIII la
politica francese si era volta verso l’Italia: ai sovrani francesi si era
appoggiato il papato quando la Germania non gli aveva più offerto
sostegno sicuro; poi l’Italia meridionale era caduta sotto la dominazione
di una famiglia francese; alla Francia si appoggiava Firenze per le esigenze
dei suoi commerci; altrettanto faceva il ducato di Savoia che, d’altra
parte, era di origine francese; la repubblica di Genova aveva più
volte cercato un suo dominio francese; infine il matrimonio di Valentina
Visconti con un principe della Casa di Orleans, avvenuto nel 1389, aveva
permesso ai re francesi, dopo la morte di Filippo
Maria, di vantare diritti sul ducato milanese. A questo si aggiungeva
che la Francia, nel suo organizzarsi e consolidarsi in forma di monarchia
assoluta sotto re di notevole personalità, rimaneva debole dal punto
di vista industriale e commerciale: i suoi commerci dipendevano infatti
in gran parte dalle repubbliche marinare italiane, e dagli operosi Comuni
essa importava gran quantità di manufatti. La conquista sicura e
incontrastata dell’Italia meridionale ed il dominio della Lombardia avrebbero
dunque dato, a quanto sembrava, un grande incremento economico alla Francia. |