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Le Esenzioni fiscali |
Per questo periodo visconteo-sforzesco
sono segnalate alcune esenzioni fiscali per Melegnano, concesse dal potere
ducale milanese. Il duca Gian Galeazzo Visconti
emanò
il 10 novembre 1385 un decreto diretto alla communitati universitati et
hominibus burgi, et villae nostrorum de Melegnano. In pratica il duca usava
termini giuridici antichi: comunità significava il popolo ed i magistrati
come insieme di paese a cui appartenevano anche i contadini; università
significava una entità collettiva ed anche l’intero corpo della
collettività; homines era un termine piuttosto generico che equivaleva
a persone. Comunque nel documento ducale sono termini ormai stemperati
e servivano soltanto a ricalcare la comprensione totale dei Melegnanesi.
Tra costoro erano compresi anche quelli che nel documento si dicono della
villa nostrorum de Melegnano, probabilmente un nucleo di persone separate
dall’abitato in edificio isolato che erano in stretti rapporti o di parentela
o di sudditanza con il duca. Il duca, quindi, fece a noi una gratiam
specialem, così è nel documento. Cioè tolse le imposte
che gravavano sui Melegnanesi: la donazione di foraggio e di biada ai cavalli
del personale ducale; il tributo che ogni magistrato locale poteva imporre
in forza della sua autorità; l’imposta sul diritto di fabbricazione;
l’imposta sulle donazioni; le prestazioni personali di fatica o con soldi
per il godimento di un bene. Gian Galeazzo
ordinava il rispetto rigoroso di tali esenzioni da parte dei responsabili
dell’amministrazione comunale volendo che nullo modo molestare vel inquietare
praesumant, cioè essi non dovevano infastidire o impensierire i
Melegnanesi. Nel 1406 il nuovo duca, Giovanni
Maria, riconfermò il precedente privilegio, anch’egli per far
prosperare il borgo di Melegnano. Queste esenzioni, che erano anche
dette immunità, furono riconfermate il 2 settembre 1412 dal duca
Filippo
Maria Visconti, a soli quattro mesi della sua nomina ducale. Egli si
rivolge alla comunità, al ceto intellettuale, ai suoi famigliari
in Melegnano, ai suoi dipendenti tutti quorum integerrimam et inconcussam
fidem sumus multipliciter experti et experimur in dies, il duca cioè
aveva sperimentato e sperimentava ogni giorno l’incrollabile integerrima
fedeltà che era in Melegnano per lui. Si rivolgeva pertanto
agli assessori delle finanze, al referendario della corte ducale che aveva
l’obbligo di riferire agli impiegati gli ordini del duca, al capitano di
Melegnano che era il vicario ducale, agli esattori perchè‚ anch’essi
osservassero e facessero osservare inviolabiliter et firmiter (con assoluta
precisione e fermezza) il contenuto del decreto. Passò una
generazione, e nel mese di novembre 1463 la duchessa Bianca Maria, anch’ella
riconoscente per la fide et devotione che non erano minori delle precedenti
verso i duchi passati, confermò e convalidò le esenzioni
così come si trovavano, ma aggiunse una ulteriore esenzione, quella
detta ab imbotaturis, che era l’imposta che si doveva pagare per ogni botte
di vino nuovo che veniva riempita dopo la pigiatura del periodo della vendemmia.
Ella stese questo decreto nel castello di Melegnano.
I motivi delle esenzioni Dal tono del testo delle esenzioni si potrebbe, a prima vista, dedurre che i nostri duchi e duchesse fossero sempre mossi da sentimenti buoni e generosi, paternalistici e liberali nei riguardi dei Melegnanesi. In realtà non è così dopo un’indagine critica sulla datazione dei decreti. Infatti il primo decreto del 10 novembre 1385 emesso dal duca Gian Galeazzo Visconti è dello stesso anno tragico della morte violenta procurata dallo stesso duca al famigerato Bernabò Visconti, suo zio e suocero. Questa coincidenza non è casuale. Bernabò lasciò una trentina di figli, tra legittimi ed illegittimi che potevano essere i futuri temibili concorrenti; ma vi e un altro principale motivo: nel suo decreto si legge che l’esenzione valeva anche per quelli della villa dei nostri di Melegnano, quindi potevano esserci in Melegnano familiari o parenti o stretti conoscenti del duca ancora legati a Bernabò e con i quali Gian Galeazzo forse doveva fare i conti. La concessione delle esenzioni fu un atto di fine astuta politica opportunistica perchè‚ tale misura liberatoria delle imposte certamente sarebbe stata accettata dai Melegnanesi, e quindi direttamente i Melegnanesi di tutte le categorie (che nel documento sono specificate in communitas, universitas, homines) avrebbero automaticamente riconosciuto come legittimo il nuovo duca, uscito incolume dal clamoroso colpo di mano con cui si sbarazzò di Bernabò, facendolo aggredire e chiudendolo nel castello di Trezzo. La vittoria per il potere doveva dunque portare l’impronta del riconoscimento dei sudditi, gratificandoli nel settore economico e promettendo che Melegnano doveva crescere e stare bene con l’aumento delle persone e dei beni. Il decreto ducale del 2 settembre 1412 è di Filippo Maria Visconti, salito al potere nello stesso anno dopo l’assassinio del duca Giovanni Maria, suo fratello, avvenuto il maggio 1412. Durante l’estate Filippo Maria fu salutato come duca e si sposò con Beatrice di Tenda, che gli portò una ricca eredità in soldi e in terre. Filippo Maria saliva al potere dopo un decennio di disordini e di sbagli tali che avevano fatto franare la mirabile costruzione politica di un secolo faticoso. Ed il nuovo duca si propose di riedificare, con fierezza e costanza, un regno che fosse robusto e saldo. In questo contesto rientrano le concessioni fatte anche ai Melegnanesi. Quanto alla disposizione fatta da Bianca Maria vi è la maggior probabilità di credere veramente alla benevolenza: riconfermò le esenzioni, alle quali aggiunse, come si è detto, l’esenzione dell’imposta chiamata imbotitura, che era l’imposta che si doveva pagare su ogni botte di vino che veniva riempita di nuovo dopo la pigiatura. Il tono del testo è più disteso e più conciliante: non dimentichiamo che il documento è stato scritto nel castello di Melegnano (Datum in arce nostri Melegnani), nel cuore di un paese che, per altri versi, fu beneficato dalla duchessa. |
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